La scomparsa di Avedon

Richard Avedon, uno dei più noti fotografi del ventesimo secolo, è morto a San Antonio, Texas, venerdì 1 ottobre 2004 all’età di 81 anni, in seguito ad un’emorragia cerebrale.
Avedon è noto soprattutto per aver grandemente influenzato (c’è chi dice “rivoluzionato”) la fotografia pubblicitaria, di moda e di ritratto a partire dagli anni ’40, quando iniziò a collaborare con Harper’s Bazaar. Nel 1966 aveva lasciato quest’ultima testata per iniziare una lunga collaborazione con la casa editrice Condè Nast, ed in particolar modo con Vogue, e poi con GQ e con Self.
Avedon stava lavorando, da vari mesi, ad un ampio progetto dal titolo “Democrazia” commissionatogli dal settimanale The New Yorker in vista delle elezioni presidenziali di novembre.
Oltre ai ben noti sfondi bianchi utilizzati in molti ritratti, Avedon stupì, nel corso della sua sessantennale carriera, per la stravaganza e la creatività di alcune ambientazioni dei ritratti di moda, in cui ha utilizzato dalle piramidi egizie alle rampe di lancio delle navicelle spaziali a Cape Kennedy.
“C’è sempre stata una separazione netta tra le mie foto di moda e quello che io chiamo il mio lavoro più profondo”, ha affermato Avedon nel 1974, in un’intervista. “La moda, certo, è quello con cui mi guadagno da vivere. Non la sto demonizzando: è un piacere guadagnarsi da vivere in questo modo. Dall’altra parte, però, c’è il piacere più profondo di fare ritratti”.
Aggiungiamo che, per il celebrato fotografo, già a metà degli anni sessanta, “guadagnarsi da vivere” significava fatturare oltre mezzo miliardo l’anno (250 mila dollari) e che Avedon è sempre stato considerato il più pagato fotografo al mondo.
Per quanto riguarda i ritratti, sono noti i suoi volumi, da “Nothing Personal” a “Portraits”, a “In the American West”, pubblicati rispettivamente a metà degli anni ’60 il primo, degli anni ’70 il secondo e a metà degli anni ’80 il terzo.
E’ proprio per questi ampi lavori apparentabili alla fotografia documentaria che il nostro sito di fotogiornalismo trova doveroso occuparsi di un fotografo come Avedon, pur essendo egli stato attivo principalmente nell’ambito della fotografia pubblicitaria e di moda.
“In the American West”, che raccoglie un lavoro durato 5 anni, è stato oggetto di critiche molto severe da parte di chi non tollerava che, con lo stesso sguardo glaciale e decontestualizzante applicato alle modelle dell’universo della moda, il fotografo rappresentasse da un lato i “privilegiati” (divi, ricchi e politici in vista), e dall’altro i marginalizzati (lavoratori, “blu collars” e derelitti).
Sui media, in questi giorni, si sono letti molti necrologi pieni soprattutto di sacra ammirazione. Ci permettiamo qui di rompere questo fronte compatto, non per negare la grande maestria del fotografo newyorkese, ma per evitare di farci travolgere unicamente dalla nostalgia, che quasi mai favorisce il desiderio di capire e di approfondire. Abbiamo letto in alcune note biografiche perfino che Avedon “studiava filosofia alla Columbia University” (il manifesto, 02/10/04). In realtà Avedon non ha terminato le scuole medie superiori e, solo per un brevissimo periodo (un anno, nel 1942), ha frequentato alla Columbia dei corsi di poesia e di filosofia, prima di arruolarsi a diciannove anni come fotografo nella marina americana. Il che è cosa piuttosto diversa rispetto a quanto riportato, ma si sa, la costruzione dei miti passa anche attraverso questi dettagli biografici. Ritorneremo, con argomentazioni più pregnanti, sull’argomento.

Marco Capovilla