Informazione, simbolo, emozione

  • didascalia: ADDS IDENTIFICATION OF CHILD Paramilitary police officers investigate the scene before carrying the lifeless body of Aylan Kurdi, 3, after a number of migrants died and a small number were reported missing after boats carrying them to Greek island of Kos capsized, near the turkish resort of Bodrum early Wednesday, Sept. 2, 2015. The Family - Abdullah, his wife Rehan and their two boys, 3-years-old Aylan and 5-years-old Galip - embarked on the perilous boat journey only after their bid to move to Canada was rejected. The tides also washed up the bodies of Rehan and Galip on Turkey’s Bodrum peninsula Wednesday, Abdullah survived the tragedy.
  • firma: AP Photo/DHA (DHA è l’acronimo Dogan Haber Ajansi -Dogan News Agency- l’agenzia turca che ha distribuito le fotografie)
  • fonte: AP Sept. 2, 2015
  • titolo articolo: Turkey Migrants
  • nota: Questo lo scatto originale che comparirà poi tagliato - con il solo poliziotto di spalle - sia nel sito AP che su The Indipendent e altri giornali

La fotografia di Aylan, il bambino siriano annegato insieme alla madre e al fratello maggiore sulla spiaggia turca di Bodrum nel tentativo di raggiungere la Grecia è l’esempio perfetto di immagine simbolica che mostrandoci un particolare può rappresentare il tutto. Questo tutto però o lo dobbiamo conoscere già - l’emergenza del flusso di rifugiati e migranti, da dove fuggono, le loro rotte, i loro sentieri verso il nord Europa - o qualcuno ce lo deve raccontare. Altrimenti la fotografia rischia di essere svuotata di significato per darci solo un’emozione passeggera.

  • firma: Reuters/Nilüfer Demir
  • fonte: Corriere della Sera 3 settembre 2015
  • titolo articolo: Un bambino scuote il mondo

Il Corriere della Sera pubblica in prima pagina, di taglio medio, quasi isolata, quella che Paolo Di Stefano nell’attacco del suo articolo Un bambino scuote il mondo, definisce “la foto più pietosa (l’uomo che tiene in braccio il bimbo) e forse, se è possibile, la meno impressionante” della serie messa a disposizione dall’agenzia Reuters. Ho scritto quasi isolata perché al Corriere è come se avessero staccato la fotografia dagli avvenimenti sia graficamente, mettendola in una specie di riquadro con il fondino grigio, sia per la mancanza di una seria contestualizzazione del fatto che racconta. Certo l’immagine della Tragedia sulla spiaggia in Turchia è sistemata sotto il titolo più importante della prima pagina che tratta di immigrazione Alleanza per l’asilo europeo ma se si legge l’articolo di Di Stefano che continua a pag. 6 - e che cambia il titolo in Le tragedie in uno scatto - non si capisce bene realmente perché questa foto debba essere “conservata a futura (dolorosa) memoria”. Anche se questo scatto è come se “avesse la forza di raccontare la totalità di un genocidio” forse bisognerebbe raccontare al lettore qualcosa di più che non “Il bambino è affogato insieme ad altri dodici siriani che tentavano di arrivare in Grecia. Secondo le autorità greche, fuggivano dallo stato islamico.” come da trafiletto a pag. 6. Non ci sono informazioni nemmeno negli altri articoli da pag. 2 a pag. 5. È come cercare la cronaca di un gran premio di F1 nelle pagine sportive; c’è l’ordine d’arrivo, qualche volta la griglia di partenza, tutti i retroscena possibili ma la gara non te la racconta nessuno. Si dà per scontato che il lettore sappia già tutto anche se forse non sempre è così. Inoltre nella conclusione dell’articolo si percepisce una certa irritazione - non so quanto voluta - verso queste “immagini nelle memorie di tutti”. “Ma intanto, c’è l’immagine della spiaggia di Bodrum, la fotografia che probabilmente ci toccherà [corsivo mio] tenere accanto a quelle delle tragedie talmente incommensurabili che appena le sfiori con le parole diventano retorica.” Perché usare l’espressione ci toccherà? Suona come lo studente che tornando a casa dice: ho passato la giornata a scuola e ora mi toccherà anche fare i compiti. È come una presa di distanza dalla fotografia: mi irrita ma la devo mettere fra quelle storiche.

  • didascalia: Senza vita. Il poliziotto turco raccoglie il corpo del bambino portato sulla spiaggia di Bodrum dalle onde: era nel gruppo di dodici siriani (tutti morti) che ha tentato la traversata verso l’isola di Kos.
  • firma: la Repubblica continua pervicacemente a non firmare le fotografie
  • fonte: la Repubblica 3 settembre 2015
  • titolo articolo: Il bimbo morto che scuote l’Europa

Per la Repubblica la fotografia del poliziotto turco che trasporta Aylan non ha dignità da prima pagina è solo Il caso a pagina 4. È grande, su tre colonne ed è accompagnata da due articoli Il bimbo morto che scuote l’Europa del corrispondente da Londra Enrico Franceschini e da L’urlo di questa foto e i silenzi della politica di Michele Smargiassi. Franceschini scrive della polemica apparentemente nata dal sito del quotidiano The Indipendent che decide di pubblicare “il servizio fotografico, anche se agghiacciante, nella speranza di smuovere il governo britannico, finora preoccupato di chiudere le porte all’immigrazione”. Il quotidiano britannico si chiede infatti “Se queste immagini non cambiano l’atteggiamento dell’Europa verso i rifugiati, cosa può farlo?”. Da qui si da conto di analoghe prese di posizione da parte di altri giornali anche “di destra e tenacemente conservatore” come il Mail, e di quotidiani in Spagna, Italia, Germania e Francia. Michele Smargiassi che evidentemente deve fare un commento, con il suo attacco “Devo proprio farvelo vedere? devo proprio portarvelo lì e deporvelo sotto gli occhi, perché facciate ciò che è giusto e urgente?” prima sceneggia la fotografia, poi passando di metafora in metafora conclude che “Inguardabile non è il corpo di un bambino immobile, è il corpo di una politica immobile”.

Come sul Corriere, a la Repubblica la contestualizzazione della fotografia di Aylan è scarsissima; solo una didascalia che comunque non parla del flusso di rifugiati che dalle coste della Turchia cercano, dall’inizio dell’estate, di raggiungere con piccoli gommoni l’isola greca di Kos a circa 3 miglia nautiche.

  • didascalia: The tide of desperate humanity seeking safety in Europe is rising. Yesterday’s victims include this Syrian boy, drown in his family’s attempt to reach Greece from Turkey. The EU is deadlocked; our Prime Minister is in denial. A vast human catastrophe is unfolding. Do we really believe this is not our problem?
  • firma: Yaşar Anter/Reuter
  • fonte: The Indipendent September 3, 2015
  • titolo articolo: Somebody's Child (il figlio di qualcuno)
  • nota: il testo in didascalia va letto come sommario

Il quotidiano inglese pubblica una fotografia più drammatica di quella proposta da la Repubblica e dal Corriere della Sera.

La foto pubblicata da The Indipendent è stata distribuita da Reuters ma anche da AP sia nella versione originale, che avete visto in alto, sia nella versione tagliata. La presenza della stessa immagine - o immagini molto simili - su piattaforme concorrenti è diventata possibile ormai da tempo con il proliferare di accordi fra fotografi freelance e agenzie di stampa che prevedono la cessione dei diritti di riproduzione per pochi giorni senza l'autorizzazione ad archiviare la fotografia. In questo modo l'agenzia non buca la notizia e il fotoreporter può guadagnare un poco di più.

  • didascalia: Aylan, 3 anni, è morto annegato mentre, con altri migranti, da Bodrum cercava di raggiungere Kos.
  • firma: Nilüfer Demir/DHA/Reuters
  • fonte: la Stampa 3 settembre 2015
  • titolo articolo: La spiaggia su cui muore l’Europa

A la Stampa il corpo del piccolo Aylan è l’apertura a fianco del titolo La spiaggia su cui muore l’Europa, dell’editoriale firmato, del direttore Mario Calabresi. Dopo un primo “«Non la possiamo pubblicare»” la scelta è motivata in prima persona: “ho sentito invece che nascondervi questa immagine significava girare la testa dall’altra parte, far finta di niente, che qualunque altra scelta era come prenderci in giro, serviva solo a garantirci un altro giorno di tranquilla inconsapevolezza.” E in pagina esce la foto fra le più forti di quelle distribuite da Reuters e Ap. È la stessa immagine di cui parla anche Smargiassi nel suo pezzo su la Repubblica “(…) il cadavere di un bambino a faccia in giù nella sabbia (…)” anche se la foto non viene pubblicata dal quotidiano romano.

Calabresi ci mette la faccia e per completare l’informazione a pagina 3 fa raccontare a Niccolò Zancan La storia della fuga dalla Siria, le motivazioni, come avvengono le attraversate dello spazio di mare fra la Turchia e l’isola greca di Kos: il contesto del fatto di cronaca a cui si riferisce la fotografia in prima.

  • firma: Yaşar Anter - Nilüfer Demir - Osman Uras
  • fonte: Dogan Haber Ajansi (Dogan News Agency)
  • nota: Le firme sono tre perché si riferiscono anche ad altre immagini della galleria sul sito dell’agenzia.

A giudicare dalle pagine della Repubblica e del Corriere la fotografia di Aylan non serve a raccontare una delle tappe - spesso tragiche - del viaggio dei migranti o dei rifugiati verso il nord Europa, non è un elemento che può dare al lettore il dramma di quei viaggi. È la fotografia in sé, la sua pubblicazione su altri media, ad essere trasformata in notizia facendone venir meno il primario ruolo informativo. Si disserta se pubblicare o meno questa immagine, sull’uso polemico che ne è stato fatto ma non si racconta il contesto a cui dovrebbe essere riferita - e in cui dovrebbe essere immersa - come per svuotarla del suo valore informativo e renderla solo un simbolo da cui quasi prendere le distanze. E a questo svuotamento di significato contribuisce anche, almeno su Repubblica, la mancanza della firma dell’autore e dell’agenzia che al quotidiano romano - pervicacemente - si ostinano ad omettere praticamente per ogni foto pubblicata. L’autore, l’agenzia che distribuisce la foto servono per qualificare una fonte d’informazione. Questo principio del fornire anche al lettore l’identificazione delle fonti da cui provengono le informazioni è ben presente alla redazione on line del New York Times dove le fonti sono fra le prime cose ben evidenziate nel pezzo Brutal Images of Syrian Boy Drowned Off Turkey Must Be Seen, Activists Say  (Le brutali immagini del ragazzo siriano affogato in Turchia devono essere viste, dicono gli attivisti) di Robert Mackey. “Sono almeno 12 i profughi in fuga dalla guerra in Siria, tra cui due giovani ragazzi, annegati mercoledì mentre cercavano di raggiungere l'isola greca di Kos dalla località turistica turca di Bodrum, secondo l'agenzia di stampa statale turca Anadolu  [corsivo mio]. (...) Il ragazzo, in maglietta rossa e pantaloncini blu, è stato identificato dall'agenzia di stampa privata turca Dogan [corsivo mio], come Aylan, 3 anni. Il corpo di suo fratello, Galip di 5 anni (…)”. Ed essendo l’articolo on line ci sono ovviamente i link alle agenzie.

  • didascalia: Un bimbo marchiato a Praga
  • firma: la Repubblica continua pervicacemente a non firmare le fotografie
  • fonte: la Repubblica 3 settembre 2015
  • titolo articolo: Migranti, i marchi della vergogna UE, ecco il piano
  • nota: La didascalia è sbagliata. La stazione in realtà è quella di Breclav a molti chilometri a sud est di Praga, fra il confine con l’Ungheria e quello con l’Austria; inoltre ad essere marchiato non è il bimbo ma la donna, sul polso.

Il discorso è incompleto per questioni di spazio. Occorrerebbe leggere anche le altre pagine che questi giornali hanno dedicato al problema dei migranti/rifugiati. Si capirebbero meglio le posizioni politiche delle singole testate, la qualità e i toni delle informazioni che vengono dati al lettore con i testi e con le immagini. Sarebbe inoltre da valutare con attenzione la scelta de la Repubblica di mettere in prima la fotografia delle “marchiature” alla stazione di Breclav e relegare il bambino morto solo all’interno. Sembra si voglia privilegiare la fotografia di Breclav anche se di non immediata lettura né particolarmente significativa perché permette di articolare un discorso dove è facile sostenere una semplice tesi - scontata in tutte le democrazie - quella contro la marchiatura di esseri umani. Di fronte a L’emergenza, l’esclusione della fotografia di Aylan dalla prima e l’assenza di qualsiasi rimando alle pagine interne, mette al sicuro, rende univoco il discorso politico - quello scritto - sui rifugiati; lo mette al sicuro dai giudizi che il discorso per immagini sollecita emotivamente. Quindi, come detto sopra, per svuotare di significato la fotografia la si mette in una pagina interna, non la si contestualizza, la si presenta come fonte di polemica all’estero e poi si condisce con una buona dose di retorica.