Der Kalte Krieg (La Guerra Fredda)

  • didascalia: Un vecchio bunker che faceva parte della base navale sovietica di Liepaja. Attivo durante gli anni della Guerra fredda, in Lettonia, oggi galleggia nelle acque del Mar Baltico.
  • firma: foto di Martin Roemers
  • fonte: D - La Repubblica delle donne. n°537, 24/02/2007
“Troppe volte le fotografie vengono usate per illustrare la pagina. Io credo che le fotografie che non abbiano valore giornalistico fanno più male che bene (…). Occasionalmente, si possono usare delle fotografie per la loro bellezza ed il loro charme, ma la maggioranza delle fotografie in un giornale dovrebbero avere un evidente valore giornalistico, altrimenti non dovrebbero stare nel giornale.” Questo il monito che l’ex-magnate dell’editoria americana William Randolph Hearst rivolgeva negli anni venti del novecento ai direttori dei suoi giornali. (1)
Questo principio cardine del giornalismo visivo, al quale ancora oggi, a ottant’anni di distanza si ispira la migliore stampa mondiale, quella anglosassone in testa, è spesso disatteso (o, peggio, ignorato) nei giornali italiani.
Lo dimostra, tra i tanti esempi che si possono fare, e che abbiamo numerose volte già fatto nelle pagine del nostro sito, il servizio pubblicato da D – La Repubblica delle Donne, nel numero 537 del 24 febbraio 2007, alle pagine 128-134.
Nel 2006, nel numero di marzo, la rivista inglese foto8 aveva pubblicato un servizio dal titolo Relics del fotoreporter olandese Martin Roemers, rappresentato dall’agenzia Laif. I resti, i ruderi, che si vedono nell’articolo, sono quelli dell’ex impero sovietico, impegnato nella guerra fredda a partire dagli anni ’50 fino alla caduta, nel 1989, del Muro di Berlino. La guerra fredda (Der Kalte Krieg) è il titolo dato dall’agenzia Laif al reportage.
  • didascalia: non disponibile
  • firma: foto Martin Roemers
  • fonte: http://www.foto8.com/
  • titolo articolo: Relics
Il servizio si apriva con una orizzontale su doppia pagina in cui si vede una costruzione abbandonata di cemento armato ridotta a scheletro in disfacimento, inclinata su un fianco, emergere, cupa e surreale, da un mare sbiancato e reso opalino e uniforme dal lungo tempo di posa utilizzato. Un’immagine di indubbia efficacia e fascino estetico.
Questa la didascalia fornita dall’agenzia: Latvia, at the former Soviet naval base Liepaja an old bunker lies in the Baltic Sea
  • didascalia: Un vecchio bunker che faceva parte della base navale sovietica di Liepaja. Attivo durante gli anni della Guerra fredda, in Lettonia, oggi galleggia nelle acque del Mar Baltico.
  • firma: foto di Martin Roemers
  • fonte: D - La Repubblica delle donne. n°537, 24/02/2007 pagine 128-129
Anche D – La Repubblica delle Donne ha pubblicato, nel numero 537, un servizio basato sulle stesse foto di Martin Roemers. Con una differenza, non da poco. Il titolo, “La guerra (fredda) dell’oblio” è un calembour che fa pensare ad un conflitto per il controllo della memoria, o piuttosto della sua negazione, cioè dell’oblio, e si allaccia al tema della guerra fredda. Il sommario a sinistra, a sua volta corredato da un titolo, precisa il tema.
“Germania. Oggi sui libri di storia sono quasi del tutto assenti notizie attendibili sulla DDR e sul cofronto Est-Ovest. Lo rivela un’indagine. Sconcertante.”
Fin qui le parole utilizzate per enunciare il tema dell’articolo.
  • didascalia: Nella pagina a fianco, uno dei Mig sovietici di stanza nella Ddr. In questa pagina, in senso orario: camion militari abbandonati, un bunker e una palestra del comando sovietico in Germania.
  • fonte: D - La Repubblica delle donne. n°537, 24/02/2007 pagine 130-131
Veniamo ora alle immagini. Nel caso che riportiamo il tema delle foto, come vedremo subito, è del tutto tangenziale rispetto a quanto ci racconta il testo. Ma c’è di più. Le foto, alle quali sarebbe richiesto di illustrare, come minimo, la presenza delle truppe russe e dei loro manufatti militari (e il loro conseguente abbandono) nella ex Germania dell’Est, ci testimonia, in realtà, una occupazione militare geograficamente assai più ampia. Alcune foto, contrariamente a quanto viene sommariamente descritto in alcune didascalie, sono state fatte in Russia, nei paesi Bassi e, come viene apertamente riportato nella didascalia di pag 128, la doppia d’apertura, in Lettonia. (Apriamo una breve parentesi sulla frase involontariamente comica con cui l’anonimo redattore descrive nella didascalia questo scheletro di bunker come qualcosa che “oggi galleggia nelle acque del Mar Baltico”. Galleggia? Sul mare? Un bunker di cemento armato? Ma siamo seri, suvvia!)
  • didascalia: Un altro bunker in disuso nella Germania dell’Est. Sotto, la sala telecomunicazioni, in contatto anche con il comando sovietico, di un bunker antinucleare, destinato ai civili.
  • fonte: D - La Repubblica delle donne. n°537, 24/02/2007 pagine 132-133
Le didascalie corrette, certamente fornite dall’agenzia Laif tramite la distributrice italiana Contrasto, parlano di luoghi precisi, e non si tratta della Germania in almeno tre foto, ma forse anche di più.
  • didascalia: la didascalia si può leggere direttamente accanto alla foto
  • firma: Martin Roemers
  • fonte: http://www.laif.de/
Allora cerchiamo di capire che cosa può essere avvenuto, in un caso come questo. E’ stato fatto un assemblaggio di due prodotti giornalistici tra loro assai poco omogenei, ciascuno portatore di notizie interessanti e forse anche nuove, ma non pensati per convivere in un impaginato che li teneva insieme. Infatti, da una ulteriore ricerca, si può ricavare la fonte dell’articolo scritto dal giornalista tedesco Stefan Theil (non Stephan, come scrive “D”), corrispondente da Berlino per il settimanale Newsweek. L’articolo, intitolato “Coming In From the Cold. Germany exhibits a startling amnesia about its communist past and some revanchist secret police.” pubblicato il 15 gennaio 2007 dalla rivista americana, non si accompagnava con quel servizio fotografico. Le foto che Newsweek aveva scelto erano perfettamente aderenti alla storia raccontata nel testo: una rappresentava l’interno di un carcere di Berlino controllato dalla Stasi, il servizio segreto della DDR di cui si parla nell’articolo. L’altra era una immagine di piazza della “rivoluzione non violenta” del 1989 a Lipsia, tra le tante che hanno portato alla caduta del muro e alla fine della guerra fredda.
  • didascalia: In questa pagina, in senso orario: camion militari abbandonati, un bunker e una palestra del comando sovietico in Germania.
  • fonte: D - La Repubblica delle donne. n°537, 24/02/2007 pagina 131
Nelle foto di Roemers pubblicate da D si possono vedere invece luoghi legati alla guerra fredda sparsi in tutta l’Europa dell’Est, e non solo in Germania. Piegare le foto all’argomento del testo (i testi di storia contemporanea nel sistema educativo tedesco dopo l’unificazione) significa non aver molto chiaro né di cosa parlano le foto né di cosa parla il testo.
  • didascalia: la didascalia si può leggere direttamente accanto alla foto
  • firma: Martin Roemers
  • fonte: http://www.laif.de/
E’ una prova di giornalismo mediocre (da parte di chi ha pensato di farne un prodotto unico). Ma c’è di peggio: sono state volutamente rese ambigue e sono state frettolosamente descritte alcune immagini in didascalia per far credere che ciò che abbiamo di fronte sia una serie di immagini dell’ex DDR. Non è così. Le foto sono state scattate in varie parti della ex-galassia sovietica est-europea, e anche nell’ occidente del patto atlantico, come abbiamo appurato andandoci a leggere le didascalie originali delle foto nel data base dell’archivio di Laif .
Quella appena descritta è una violazione dei princìpi e del codice deontologico dei giornalisti.

Siamo, noi di fotoinfo, degli inguaribili sognatori. Continuiamo ad illuderci che le immagini siano lì, sulle pagine dei giornali, per dialogare con i testi, per aggiungere significato, per contribuire alla costruzione di senso, o almeno, al livello minimo, per illustrare visivamente i contenuti suggeriti dalle parole. E invece qui, in terra italiana, non è quasi mai così.

Uno studioso di giornalismo mi disse qualche tempo fa che la maturità di una società nei confronti del giornalismo per immagini si può verificare quando avviene che i lettori decidono di abbandonare la loro testata preferita anche a causa delle fotografie, oltre che per i contenuti dei testi scritti. Forse questo momento è venuto. Il momento in cui si smette l’acquisto dei giornali che pubblicano foto irrispettose dei canoni minimi di decenza giornalistica, canoni ampiamente noti nelle società dove le pratiche giornalistiche sono più affidabili.

Marco Capovilla

(1) la citazione di William Randolph Hearst è tratta da:
Wolfgang M. Achtner – Democrazia e telegiornali. Il giornalismo come servizio pubblico. (2006) Morlacchi Editore - Perugia, di cui consigliamo la lettura, in particolar modo per il capitolo a pag 209 dal titolo “Le fotografie nei giornali”.