Dobbiamo avere paura degli ayatollah?

  • firma: foto di Ulla Kimmig / laif
  • fonte: Geo, novembre 2007 - copertina
Una donna velata, armata di una gigantesca pistola, ci guarda diritto negli occhi dalla copertina del mensile Geo del novembre 2007. Per riuscire a sapere chi è dobbiamo aprire il giornale e leggere la didascalia di una delle quattro foto che compaiono nella pagina dell’editoriale. Come nei migliori racconti thriller, non vi sveleremo subito la risposta, che possiamo trovare anche a pagina 148 della rivista, dove la stessa immagine viene ripetuta a piena pagina con una didascalia dal titolo rivelatore.

Questo Osservatorio parte da una premessa: nei media, in tutti i media, tradizionali ed elettronici, ciò che colpisce la nostra attenzione di lettori molto prima del testo scritto, sono le immagini. Parole e immagini hanno infatti percorsi diversi nel nostro cervello: per le immagini, la prima decodifica non implica tanto l’aspetto analitico e razionale quanto il coinvolgimento emotivo e affettivo. In seconda battuta, dopo cioè che ci siamo fatti un’idea di ciò che abbiamo davanti tramite le immagini, la nostra mente passa all’analisi dei testi, delle parole, e mette in relazione i significati di queste due principali componenti del “discorso”.

Pertanto, a partire da questo paradigma interpretativo generale, che nel 2007 è ampiamente accettato dagli studiosi e dai ricercatori, proviamo a descrivere quale possa essere stata la prima reazione suscitata dalla copertina in questione.

Vedere una donna con la testa coperta dal tipico velo indossato dalle donne musulmane, in questo caso nero, che brandisce una pistola – una gigantesca pistola - e guarda con aria compiaciuta, se non proprio di sfida, e si mostra sicura di sé nell’inquadratura, leggermente dal basso verso l’alto, induce a pensare, credo senza timore di essere smentiti, “Le donne musulmane si stanno addestrando a qualche missione militare, bellica, hanno imbracciato le armi: si stanno preparando a combattere in guerra”. Possiamo aggiungere che anche altri elementi dell’immagine possono contribuire al rafforzamento di questa prima, frettolosa, interpretazione: l’assenza di riferimenti chiari e riconoscibili nell’inquadratura, ad eccezione di un paesaggio montagnoso, leggermente innevato e di un generale senso di solitudine, di isolamento, contribuiscono ad accrescere l’impressione di attività svolta lontano da occhi indiscreti, diciamo in quasi clandestinità. Vengono in mente addestramenti fatti in montagna, poligoni di tiro non ufficiali, riparati da sguardi indesiderati.

A questo punto possiamo procedere alla lettura del titolo, in rosso, che spicca sulla veste nera della nostra combattente: Iran.
A mitigare, forse, questo impatto drammatico, che suscita ipotesi di scenari non certo rassicuranti, il sottotitolo, in caratteri bianchi, “che cosa cambierà”.
E poi ancora, nei due sommarietti:
Società – Cinema, giovani, vita quotidiana: un paese sorprendente.
Geopolitica – Dobbiamo avere paura degli ayatollah? Gli esperti rispondono.

Insomma, nel momento storico (il mese di ottobre 2007, quando è uscito il mensile di cui parliamo) in cui il mondo sta con il fiato sospeso per le recenti dichiarazioni convergenti di Bush e del ministro degli esteri francese Bernard Kouchner, riguardanti l’inevitabilità e l’imminenza di un’azione militare che fermi l’Iran di Ahmadinejad, il mensile Geo ci propone in copertina una donna iraniana armata, e, promettendo di illustrarci “che cosa cambierà” in Iran, non si perita di sottoporci la domanda (retorica): “dobbiamo avere paura degli ayatollah?”. E’ un atteggiamento responsabile, questo? Io credo di no. E’ fare informazione corretta, tutto ciò? No, io ritengo che questa informazione un po’ furbesca peschi nel torbido delle nostre paure, semini ansia (d’accordo, è il mestiere dei media) alimenti timori profondi. Proprio grazie alla scelta della foto.

Ma insomma, vi chiederete a questo punto, chi è questa signora che ha scatenato questo cataclisma di interpretazioni? E perché campeggia nella “cover” di Geo?

Si tratta di Manijeh Kazemi, campionessa iraniana di tiro a segno, che ha partecipato alle Olimpiadi del 2000 e del 2004. E dunque la sua arma è semplicemente una pistola da tiro a segno, non il simbolo della resistenza della popolazione iraniana alla probabile, o almeno possibile, ennesima guerra preventiva dell’amministrazione Bush.

In casi come questo ci si può chiedere se la valutazione dell’impatto che questa foto avrebbe avuto sia stato adeguatamente preso in considerazione dai responsabili della testata prima di “sbattere il mostro in prima pagina”. La risposta è in parte contenuta nella didascalia che, come dicevamo, appare a pagina 148, assieme alla medesima foto: “Terrorista? No, atleta.” Ciò significa che chi ha scelto questa foto per la prima pagina ha correttamente attribuito al pubblico, ai lettori, la prima e più immediata interpretazione: “Terrorista”, ma anziché decidere di lasciare la fotografia ad un ruolo di illustrazione del cambiamento della società iraniana e posizionarla unicamente nelle pagine interne con didascalia in bella evidenza, l’ha promossa a valore paradigmatico di ciò che sembra riservarci l’Iran e, collocandola in prima pagina, senza didascalia esplicativa e senza altri elementi di identificazione se non gli elementi espressamente richiamati nei testi dei sommari di “sorpresa” e “paura”, ne ha utilizzato il potenziale di curiosità (una donna islamica con la pistola?) e di fascino (un bel volto di donna giovane e determinata) per compiere quel salto di significazione di cui in questo momento storico, con il mondo sull’orlo dell’abisso della guerra nucleare, francamente non si sentiva proprio il bisogno.

Marco Capovilla