Informazione virtuale

  • didascalia: A virtual experience of solitary confinement
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  • fonte: The Guardian
  • titolo articolo: 6x9 Explore Solitary Confinement in 360º
  • nota: http://www.theguardian.com/world/ng-interactive/2016/apr/27/6x9-a-virtual-experience-of-solitary-confinement

Realtà immersiva, realtà amplificata, realtà virtuale. Si fa un gran parlare di queste nuove tecnologie a cui fanno la corte - ebbene sì - numerose testate giornalistiche internazionali. The New York Times, The Guardian e The Economist sono in prima linea nella sperimentazione di quella che ormai chiamano VR (acronimo di Virtual Reality).
In effetti il corto circuito linguistico è dietro l'angolo: è improprio parlare di "virtual", il termine esatto sarebbe "immersivo" perché consente allo spettatore di sentirsi immerso, compreso, facente parte della porzione di mondo che sta guardando. Lo scopo infatti è quello di far sentire lo spettatore (ormai pare fuori
luogo chiamarlo "lettore") al centro dell'evento, della scena, del luogo, insieme a chi lo sta vivendo. Fornendo le cosiddette "Experiences that desktop can’t deliver", esperienze da godere appieno solo sul telefonino, perché questo sta diventando lo strumento più utilizzato per la consultazione dei mass media.
Nella pratica funziona così: un filmato di una ripresa a 360° viene proposto tramite app da vedere su smartphone preferibilmente dotato di un Google Cardboartd.
Tutto chiaro? Beati voi, a me ci è voluto un po' per capire tutto, ovvero sia il processo di realizzazione che quello di fruizione. In buona sostanza si tratta di una ripresa sferoidale di tutto l'ambiente che sta intorno all'operatore, che - opportunamente montata - si potrà vedere tramite una applicazione che trasforma in visore un telefonino inserito in una scatoletta dotata di oculari. Naturalmente si parla di smartphone di ultima generazione perchè senza giroscopio, accelerometro e processori molto veloci pare non si veda proprio nulla.

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  • fonte: The Guardian
  • titolo articolo: 6x9 com.guardian.vr
  • nota: Istruzioni per l'uso dello smartphone su Cardboard tratta dalla pagina promozionale della app 6x9 di The Guardian per la visione di filmati VR

Per farlo occorrono strumentazioni di ripresa qualitativamente e quantitativamente rilevanti, software sofisticati sia per l'assemblaggio (montaggio?) che per la visione, hardware particolari e dedicati. 

Un accrocchio rotante di foto o videocamere produce dei file che devono passare attraverso un software per essere fruiti tramite visore attaccato agli occhi, il quale ti isola dalla realtà circostante per farti immergere in quella distante mostrata dal tuo smartphone. 

Di ognuno di questi componenti ne stanno nascendo a fiotti, sia di camere, sia di software, sia di app, sia di cardboard.

I produttori di fotocamere si ingegnano per trovare meccanismi di ripresa poco ingombranti ma efficaci e con immagini la cui definizione non sia troppo scarsa. 

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  • fonte: Google VR > Cardboard
  • titolo articolo:  
  • nota: vr.google.com/cardboard

The Guardian si prende la briga di scrivere un articolo sulle 10 migliori VR app per il tuo smartphone: come dire che c'è già bisogno di una guida per orientarsi tra questi software. 

I cosiddetti cardboard stanno proliferando e solo sulla pagina web Google Cardboard sono adesso arrivati a una dozzina.

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  • firma:  
  • fonte: Google VR > Cardboard
  • titolo articolo:  
  • nota: vr.google.com/cardboard

Il tutto rende costosissima e faticosissima l'operazione. Almeno per ora. 

La ripresa di un’esperienza standard di VR va da 15,000 a 100.000 sterline, con un’app costa un extra di circa 40.000 sterline o giù di lì. "Non è così lontano da un budget pubblicitario", ha detto Henry Stuart, co-fondatore e CEO dell’agenzia Visualise, che ha contribuito a sviluppare l'applicazione VR del The Economist (fonte 360com.it

Ma le suddette testate ci credono. Ancora non sanno bene cosa farne e come utilizzare questa novità (come si suol dire nel gergo del marketing: “sono alla ricerca di modelli di business per sostenerla”), ma ci stanno lavorando, tanto che ognuno, appunto, ha creato una propria app dedicata. Pare che l'applicazione VR del NYT sia stata scaricata 500.000 volte. Sulle altre invece non ci sono dati verificabili: addirittura l'editore non ha voluto rivelare il numero di download della The Guardian VR App. 

Pare tutto ancora troppo giovane e in fase di sperimentazione, sia tecnicamente che come contenuti. 

Siamo in quella fase di stupore da crollo della mandibola in cui la novità tecnologica sta mettendo in secondo piano i contenuti e le possibilità di utilizzo.

  • didascalia: Un’analisi rivela che molte persone o non la trovano interessante o troppo costosa (marzo 2016)
  • firma: foto non firmata
  • fonte: Wired.it
  • titolo articolo: La realtà virtuale non interessa a nessuno
  • nota: http://www.wired.it/gadget/foto-e-video/2016/03/09/realta-virtuale-non-interessa/

The Economist ha usato la computer grafica per ricostruire un museo distrutto a Mosul, Iraq, per poi realizzare un'esperienza VR (tocca chiamarla così), da fruire sia tramite l'app dedicata che su YouTube (ma l'effetto su quest'ultimo non è certo lo stesso).

 

 

The New York Times ha pubblicato alcune esperienze sulla sua app, ma niente di particolarmente accattivante.

  • didascalia: Put yourself at the center of our stories in an immersive virtual-reality experience.
  • firma:  
  • fonte: The New York Times
  • titolo articolo: nytvr
  • nota: http://www.nytimes.com/marketing/nytvr/

L'esperimento più interessante è stato quello di The Guardian che ha realizzato un inquietante esperienza VR di una cella di isolamento, arrivando a trasmettere allo spettatore tutta l'angoscia e la claustrofobia di una situazione estrema: molto efficace e - soprattutto - un primo esempio di utilizzo intelligente del mezzo, che ne sfrutta le potenzialità, mettendole al servizio dei contenuti e delle idee. Leggo in proposito su RivistaStudio

(...) una strada del genere può essere redditizia. Basta avere un mix di progetti guida e sponsorizzati per renderli trainanti». Il Guardian ha realizzato il tutto grazie a una squadra di 3 persone, guidata dal’editor per i progetti multimediali Francesca Panetta. La Panetta ha intervistato in tutto sei membri maschi e una donna che hanno contribuito allo sviluppo restituendo le proprie testimonianze dirette. A seconda di cosa guarda, lo spettatore può attivare una storia differente, questo significa che tale tipo di esperienza può essere fruita in modi diversi a seconda dell’ordine in cui gli oggetti vengono attivati/guardati. Per quanto può suonare inquietante, siamo noi a scegliere la modalità di isolamento preferita.

 

Per adesso - comprensibilmente - la documentazione visiva e l'informazione non hanno avuto un grande contributo da questi sforzi. 

Tutte le peculiarità del mezzo fotografico vengono meno: luce, inquadratura, profondità, punto di vista, passano in secondo piano. L'approfondimento viene sostituito da una sensazione di partecipazione, paradossalmente non coinvolgente ma tranquillizzante per la consapevolezza di essere al sicuro, dietro il proprio telefono, anche se si sta assistendo alla battaglia di Falluja. 

La visione più attenta cui ti costringe l'immagine fissa viene meno, tutto è più spettacolare e meno riflessivo, tutto diventa video, una nuova immagine in movimento, con il tuo movimento, che fa sembrare obsoleto perfino YouTube. 

L'informazione ci guadagna? Non lo so , anche perché l'intento primario di chi sta studiando queste nuove tecnologie forse non è proprio il giornalismo. Leggo in un interessante resoconto del Google VR Symposium 2016 che 

L’intenzione, dichiarata, è di rendere la realtà virtuale un common tool per i giovanissimi. (...) Il computo è semplice: il 50% dei contenuti di YouTube sono fruiti da cellulare, chi fruisce dal cellulare lo fa per in media 14 (!) minuti al giorno, ed appartiene ad una fascia anagrafica sempre più bassa. (...) Lo scopo di questa riunione non è solo quello di fare da workshop per noi developers, ma è anche un modo per convincere i creatori di contenuti a saltare su queste nuove tecnologie. Perché, come evidenzia correttamente un altro speaker “della tecnologia per la tecnologia non gliene frega niente a nessuno; saranno i contenuti a rendere indispensabile questa tecnologia, non la tecnologia stessa”. E per far fruttare queste piattaforme Big G ha bisogno che la gente inizi a produrre contenuti di qualità, presto: la ricchezza dei social è lo user generated content, e visti i presupposti, ed il punto della tecnologia attuale, è importante convincere chi ha già mezzi consistenti a saltare per primo — e a dare il buon esempio — sul vagone del VR. 

La VR o - meglio - la Realtà Immersiva avrà come destinatario principale l'intrattenimento, non l'informazione. Evito di fare facili battute su quanto essi coincidano in Italia, e dico subito che i videoclip musicali e i videogiochi saranno i destinatari principali di questa nuova tecnologia, sia per le potenzialità del mezzo che per il target. 

Ma nonostante tutto sono fiducioso. Penso che - finita la sbornia da incredulità per lo strumento - la voglia di approfondire trasmettendo sensazioni, propria della buona informazione visiva, possa trovare il modo di utilizzare efficacemente queste nuove tecnologie e regalarci strumenti di conoscenza, alcuni già immaginabili.

Per concludere la segnalazione di una approfondita analisi intitolata Virtual Reality Journalism di Raney Aronson-Rath, James Milward, Taylor Owen e Fergus Pitt, i quali hanno messo insieme esperti di VR, giornalisti e studiosi di mass media per farci sapere qual è la situazione del Giornalismo VR: cliccando qui trovate il pdf completo della ricerca.