The State of News Photography 2016

  • didascalia: Citizen Journalism in Brazil’s Favelas
  • firma: Sebastián Liste / Noor for The New York Times Magazine
  • fonte: http://www.worldpressphoto.org/activities/research/state-news-photography-2016
  • titolo articolo: The State of News Photography 2016
  • nota: Daily Life Stories | 3rd Prize 2016 World Press Photo Contest

La World Press Photo Foundation, che dal 1955 bandisce l’annuale premio internazionale di fotogiornalismo, da due anni ha dato il via a una ricerca denominata “The State of News Photography” basata sulle risposte a un questionario sottoposto a tutti i fotografi che partecipano al concorso. L’edizione del 2016, pubblicata lo scorso 7 novembre, contiene interessanti informazioni su un campione molto ampio e statisticamente significativo della categoria dei fotogiornalisti a livello planetario. Infatti, hanno risposto all’invito di fornire notizie riguardanti la loro esperienza professionale quasi 2.000 fotografi provenienti da più di 100 paesi sparsi sui cinque continenti. Un numero superiore a un terzo dei partecipanti al concorso, che quest’anno ha registrato 5.775 candidature, e decisamente molto alto, se si tiene presente che la maggior parte dei sondaggi di opinione su questioni politiche nazionali e internazionali è basata su campioni numericamente più limitati.
Le aree in cui è suddiviso il questionario permettono di avere delle notizie riguardo a temi quali: formazione e identità professionale, attrezzatura e apparati tecnologici, utilizzo dei social media, sicurezza personale, occupazione attuale e prospettive. Una sezione inoltre prevede l’espressione di opinioni e annotazioni personali a risposta libera.

Una prima macroscopica evidenza riguarda la distribuzione per genere: l’85% dei fotogiornalisti appartiene al genere maschile rispetto al 15% di donne. Disparità percentuale leggermente attenuata in Europa (82% - 18%) e Nord America (77% - 23%), con picchi opposti in Africa, Asia e Medio Oriente (91% - 9%).
Alcune differenze si registrano, a livello geografico, se si analizza il titolo di studio: in Africa ha un titolo di studio universitario il 62% dei rispondenti, rispetto al 64% dei fotogiornalisti europei e al 77% dei nordamericani, fino al picco dell’81% in Asia, Oceania e Medio Oriente.

Dal punto di vista del tipo di impiego e di realtà lavorativa, è stato rilevato che circa i due terzi dei fotoreporter europei e statunitensi sono dei freelance (vedi grafico a torta qui sotto). Viceversa, in Asia, Oceania e Medio Oriente la proporzione tra freelance e dipendenti con contratti a lungo termine si ribalta, con una prevalenza numerica di questi ultimi. In Africa freelance e contrattualizzati più o meno si equivalgono. Ricordiamoci comunque (lo scrivono anche gli studiosi dell’Università di Sterling, in Scozia, che hanno curato la parte metodologica della ricerca) che una più accurata valutazione di questo e altri parametri potrebbe essere fatta solo a partire da un campione che prendesse in considerazione anche i fotogiornalisti che non hanno partecipato al WPP.

  • fonte: http://www.worldpressphoto.org/activities/research/state-news-photography-2016
  • titolo articolo: 3.1 - General Work Information
  • nota: Percentuali di freelance rispetto a fotografi contrattualizzati, divisi per continente

La categoria dei cosiddetti “stringer” (vale a dire dei collaboratori esterni di un’organizzazione o agenzia giornalistica) sembra essere ampiamente presente nel campione. Infatti, il 63% di coloro che hanno risposto al questionario ha esercitato la professione con questa modalità almeno per parte del loro tempo, incluso un 24% che dichiara di lavorare unicamente con questo genere di inquadramento contrattuale.

Una prima cattiva notizia riguarda la percentuale di fotografi che lavorano in maniera esclusiva nel campo della fotografia (attenzione NON del fotogiornalismo, ma della fotografia intesa come professione a 360 gradi): la percentuale, che era del 74% nel 2015, scende – sensibilmente - al 61% nel 2016 (un calo del 18%). Una percentuale corrispondentemente crescente svolge invece anche altri lavori collegati con la fotografia, e la percentuale di coloro che per sbarcare il lunario fanno anche lavori non collegati con la fotografia, come ad esempio lavorare nella ristorazione, aumenta di oltre due volte e mezzo (dal 5% al 13%).

Alla domanda riguardante quali generi di fotografia siano più praticati dai rispondenti, prevale il gruppo di fotografi che lavorano nelle news (63%), ma non essendo per moltissimi un’attività esclusiva, sono indicate, con percentuali decrescenti, anche altre occupazioni tra cui i “progetti personali” (57%), la fotografia documentaria (49%), il ritratto (46%), lo sport (36%), l’ambiente (30%), l’intrattenimento (27%), la natura (26%), la fotografia commerciale (20%) e la moda (15%).

In ogni caso, i fotogiornalisti che lavorano full time sono diminuiti rispetto al 2015 in tutti i continenti con l’eccezione di quelli che operano in Africa, dove, almeno nella categoria che va dai 30 ai 50 anni, c’è stato un aumento di personale assunto con contratti di impiego a tempo pieno.

Su un fronte diverso, quello del tipo di “prodotto visuale” richiesto ai fotogiornalisti dai media e dalle agenzie, c’è stato un significativo aumento (dal 32% al 37%) delle richieste di lavorare producendo video oltre che fotografie (attività che la maggior parte dei fotografi dichiara nel questionario di non amare). Inoltre, a una percentuale crescente di colleghi è stato chiesto di lavorare in team per la produzione di multimedia. La sorpresa riguarda i fotografi ai quali non è mai stato chiesto di lavorare in qualche gruppo per la realizzazione di multimedia: provengono quasi esclusivamente da Europa e Nord America. Questo probabilmente significa che i paesi emergenti (in Africa, Asia, Sud e Centro America) hanno mercati ed economie caratterizzati da una maggiore attenzione e sensibilità per le produzioni multimediali e dunque anche una maggiore richiesta di professionisti disposti a lavorarci.

Quando si parla di fatturato, arrivano le notizie meno confortanti: la percentuale dei fotogiornalisti che, a livello mondiale, guadagna meno di 10.000 dollari l’anno è del 56%. E mentre non viene riportato il valore per l’Europa, i Nordamericani che rientrano in questo scaglione di reddito sono tuttavia solo il 13% .
I fotografi che registrano dei profitti ricavati da cessione del diritto d’autore sono un’esigua parte del campione: solamente il 13%. In altre parole, la fonte quasi esclusiva dei guadagni è rappresentata dalla prestazione d’opera professionale diretta e non dai diritti economici relativi all’utilizzo di opere già realizzate. In compenso due terzi dei rispondenti dichiarano di avere scoperto utilizzi non autorizzati dei loro lavori fotografici, mentre soltanto un terzo di loro in qualche modo è stato poi remunerato per questo utilizzo.
I fotogiornalisti freelance rilevano inoltre la contrazione delle commesse di lavoro sia da parte di organizzazioni non governative e associazioni non profit, sia da parte di aziende non legate al mondo dei media.

Il rapporto analizza naturalmente anche gli aspetti etici della professione: la manipolazione, la messa in scena, la postproduzione, questioni intorno alle quali tante contestazioni si sono susseguite negli anni scorsi, fino alla emanazione di un nuovo codice etico e la proposta di linee guida precise riguardanti il genere di post-produzione ammissibile. E più recentemente, perfino l'annunciata istituzione di un nuovo concorso, separato da quello tradizionale, per permettere al WPP di prendere in considerazione anche lavori fotografici caratterizzati da un utilizzo di tecniche che sono escluse a priori dalle regole ferree del concorso principale. Tornando al questionario, ha risposto di ritenere "importante" o "molto importante" il rispetto delle regole deontologiche la quasi totalità dei fotografi. Tra questi, il 75% dichiara di non manipolare mai le fotografie, nel senso di aggiungere o rimuovere contenuti dalle fotografie. Gli standard etici seguiti si rivelano essere per il 30% dei rispondenti quelli previsti dal committente per cui lavorano (agenzia o organo di stampa), mentre il 56% dichiara di seguire un proprio codice di comportamento etico.

Sempre nell'ambito del rispetto della deontologia, riguardo alla messa in scena di alcune foto, che era costata negli anni scorsi qualche revoca di premi già assegnati, come ad esempio il caso da noi riportato qui e qui, ci sono aree in cui i fotografi la giudicano accettabile, per esempio nel ritratto (più del 60% dichiara di ricorrervi) e nella foto commerciale (39%). A fronte di queste ammissioni, il 31% dichiara invece di non ricorrere mai alla messa in scena o alla richiesta di ripetizione delle azioni che devono riprendere.

Anche il rapporto con i social media è stato analizzato, rivelando che mentre Facebook, il più utilizzato in assoluto (55%), ha conosciuto nel 2016 un leggero declino di popolarità assieme a Twitter, mentre Instagram cresce invece nelle statistiche di gradimento (19%). Sono in ogni caso questi tre in ordine, i primi tre social utilizzati.

Anche la questione sicurezza e rischi viene esaminata, sia sia per quanto riguarda l'incolumità, sia nell'aspetto della stabilità economica, o meglio la sua mancanza. Infine, una parte del questionario è dedicata all’analisi della professione di fotografo di sport (i cui rappresentanti ammontano a quasi un terzo dei partecipanti al sondaggio).

Nonostante questa situazione tutt’altro che rosea dal punto di vista finanziario, a una precisa domanda riguardante il livello di soddisfazione - e di felicità – nella professione, il 62% risponde di essere “soddisfatto” o “molto soddisfatto” di fare questo lavoro.


  • firma: WPP
  • fonte: http://www.worldpressphoto.org/sites/default/files/upload/WPPh16-TechReport.pdf
  • titolo articolo: Top 5 countries with most prizewinners

Sarebbe molto interessante poter analizzare la componente italiana del campione statistico e cogliere eventuali particolarità, tendenze, differenze rispetto ai valori delle medie internazionali. Anche in considerazione del fatto che, dopo Cina (con oltre 1.000 partecipanti) e Stati Uniti (con 512 fotografi iscritti), l'Italia è stato quest'anno (2016) il terzo paese per numero di candati, con 440 iscritti al premio. E ricordando che l'Italia si aggiudica sempre un numero elevatissimo di premi (vedi grafico qui sopra) e occupa attualmente il secondo posto, dopo gli USA, nel "medagliere".

Marco Capovilla