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CCC...chi?

Il nuovo copyright è arrivato: il Creative Commons Copyright.
Avendo ridefinito in parte le normative riguardanti il diritto d'autore nell’ottica di un controllo meno restrittivo dei possibili usi, credo sia legittimo porsi una domanda:- "quale sarà l'importanza residua data all'informazione contenuta nelle fotografie?".
Nel caso queste immagini siano usate da testate giornalistiche, la tutela del lettore è lasciata a dubbie interpretazioni. Volendo l'autore può declinare ogni responsabilità sull'autenticità dell'immagine e di conseguenza, producendo false informazioni, generare reazioni più o meno emotive nelle persone che scelgono la foto da pubblicare (picture editor?).
L'“autore” fornendo materiale "preconfezionato” darebbe avvallo alla già diffusa prassi dove la responsabilità, di chi pubblica l'immagine, si limità “all'interpretazione” (anche artistica) dell'evento. Tralasciando l'importanza giornalistica per esigenze di “rappresentazione”; esaltando quello che è l'immaginario prodotto dagli eventi con la pubblicazione/ripetizione. E i fatti?
Questo tipo di copyright può essere valutato positivamente da alcuni punti di vista, mentre lo è meno da altre prospettive. Può essere oggettivamente un bene per le informazioni e le notizie che si ritenga importante condividere o diffondere; per l'eventuale risparmio generato agli editori; per quanti siano in grado di produrre belle immagini, permettendo a molte persone sensibili di uscire dall'anonimato. Provocando, ora che il mezzo sta diventando popolare, una frenesia immaginifica epocale e, si spera, un aumento della qualità estetica del flusso globale di immagini pubblicate nei media occidentali (Immaginario condiviso?).
Può essere un male nel momento in cui si presentino le solite patetiche dinamiche tese allo sfruttamento di autori sprovveduti (essendo l'industria dell'informazione un sistema ibrido inserzione/informazione, lucro/servizio), come già accade per diversi concorsi o altro.
Vedremo inoltre la diffusione di turisti (...altro che i giapponesi!) epigoni dei vari grandi fotografi che, convinti basti un click per comprendere il mondo, si esprimeranno in una probabile nuova forma di reportage casuale; privi della profondità giornalistica necessaria a comprendere l'alterità e basati sul come "noi turisti" vediamo il mondo. Una sorta di colonizzazione attraverso le immagini, asfaltando tutto con verità proprie. Dando potenzialmente vita alla "diluizione" della fotografia in un mare di figurine con l'unico effetto collaterale di contrastare, con mille rivoli esperienziali, l'omologazione del ricordo e della memoria proposta dal sistema mediatico.
Questo tipo di trattamento del copyright imporrà una maggiore attenzione e responsabilità a carico dei giornalisti che si troveranno a pescare nelle "agenzie - turbo - guardami". Le immagini giornalistiche, già minate dalla televisione, dalla strumentalizzazione e relegate ad ambienti in cui è privilegiato il tempo di fruizione a dispetto della diffusione, subiranno un ulteriore contraccolpo. Cambierà ancora il significato del fotogiornalismo, riducendo la profondità dello sguardo, imponendo un diverso approccio alla realtà: la "verita cromatica" per meglio competere con le altre immagini nella diffusione dell'informazione. Arriveremo anche alla "verità cromo-terapica" o "prospettica-satellitare"?
Mi auguro che nei giornali d'informazione venga prestata la massima attenzione alla distinzione tra l'immagine "testimonianza" e l'immagine "illustrazione". Dove sia riconosciuta una titolarità al fotografo esponendo il nome in quanto testimone oculare di un evento; rivalutando, ove possibile, l'importanza della didascalia (alla ricerca del testo perduto) che nella storia del fotogiornalismo è sempre stata asciutta, descrittiva e per molti versi laconica, senza interpretazioni: data, fotografo, luogo, descrizione.
Con tutte le eventuali valenze legali.
Se vogliamo continuare a parlare di "fotografia E informazione" dobbiamo cominciare a chiederci "chi" ha fatto e diffuso la foto ma soprattutto: "perché" l'ha fatta. Anche se non basterà.

Fabiano Avancini

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