La foto oltre la realtà: il Volto dell'Angioletto.

L'uso della fotografia nel giornalismo è andato oltre la realtà, e non parliamo di elaborazione digitale dell'immagine o della pubblicazione di fotografia microscopica.

Il Gazzettino, il quotidiano del NordEst, diretto da Luigi Bacialli, il giorno 12 Maggio 2006 pubblica in prima pagina la fotografia di Hevan, legalmente: un feto morto di quasi 9 mesi. Alla ribalta nella cronaca di questi giorni perché ucciso, dal padre, assieme alla madre, Jennifer, che lo portava in grembo. In grembo.
Con un sensibile articolo troviamo la spiegazione di una decisione oggettivamente importante: pubblicare in prima la fotografia di un feto, un bambino: morto.
La fotografia è scattata successivamente all'autopsia, dalla nonna con il telefonino, e consegnata - con le parole ”guardi com'è bello il figlio di Jennifer” - “guardi non le sembra che sia un bambino che sta dormendo?” - ai giornalisti del quotidiano, Vittorio Pierobon e Ario Gervasutti, dicendo:-”Pubblicatela. Fate vedere che quello ha spezzato due vite”.
L'articolo di Pierobon si chiude con la frase emotiva:-“questo splendido bambino di cui oggi resta solo una foto”, ponendosi però, alcune considerazioni, forse non sufficienti, sulla portata di questa pubblicazione.
Non è un immagine di cronaca con particolari truculenti, cui siamo ormai abituati dalla pornografia mediatica della morte, e contro cui è giusto lottare, ma altro. Come fa notare l'autore dell'articolo:-“La foto è bella: un neonato, vestito con il completino nuovo, che dorme” - “Pubblichiamo una foto che provoca forti emozioni e sicuramente farà discutere. Ma non è certo una visione raccapricciante.”
Vero, il giornalista ha ragione, questa visione non è raccapricciante: è una mimesi agghiacciante.

Ora credo che questa pubblicazione valga diverse considerazioni nell'ambito della fotografia, del giornalismo, dell'etica e della nostra cultura del simulacro.

- La nonna ha perso una figlia ed un nipote, la tecnologia le ha dato gli strumenti per aggrapparsi ai sogni dissolti dalla brutalità degli esseri umani, la legge le nega qualsiasi evidenza e lei ne scatta la foto. E' legittimo e umano, oggi.
Il ricordo e la memoria le sono necessari per sopravvivere, e la fotografia, quando rimane l'unica cosa: aiuta.

- Un giornalismo, in evidente aria di frizzante scoop, prende dalle mani della nonna, parimenti vittima della cronaca, in comprensibile stato di alterazione emotiva, quell'immagine per affermare ai cittadini (popolo bue?), allo stato e alla legge che quello era un bambino.
Definendo la fotografia “choccante”...ma non raccapricciante.
Non è una foto scioccante ma è scioccante pubblicarla. Ad uso e consumo di un giornalismo emozionale e scandalistico, che non rispetta evidentemente alcun codice deontologico.
Per affermare i diritti del feto si ledono quelli del bambino: non se ne esce.
Di fronte a queste cose la Carta di Treviso non serve più.
L'unico offeso in questa orgia di cattivo gusto rimane il soggetto: ucciso, tirato fuori dal grembo, vestito, fotografato ed esposto al pubblico.
E in quale modo vengono tutelati i lettori dallo sciacallaggio del dolore, e non solo della morte, scomodando gli angeli, messo in atto con un simile gesto? Come opporsi a tanta violenza? Come opporsi a questo abuso professionale che si nasconde dietro scuse quali il "non è mai stato fatto prima (o al "cosi fan tutte")" ovvero dietro un parossistico permesso dei familiari? E allora: la tutela delle vittime di cronaca?
Eravamo abituati ad addomesticazioni estetiche della realtà ad opera di alacri fotoreporter, ovvero a messe in scena allestite dai migliori uffici stampa o eserciti. Ma qui vediamo venire a galla diverse dinamiche, professionali, psicologiche e sociologiche su cui sarebbe interessante, quanto urgente, aprire un dibattito.

- Io come fotogiornalista non avrei mai scattato una fotografia simile. Per “dovere di cronaca” ne ho scattate anche di peggio, non parimenti composte, opponendomi, sempre e con forza, ad ogni richiesta o forma di pubblicazione o diffusione. La pratica del lavoro mi ha insegnato che basta non dare la foto al giornalista (“mettici un disegnino”). Senza la fotografia si può solo pubblicare una vignetta, e la deontologia è salva.
Ora con i testimoni degli eventi a produrre giornalismo, e fotografie, persi in ondate di pulsioni emotive (vanno anche tutelati o solo usati?), sarà da porsi alcune serie domande; internamente all'Ordine dei Giornalisti e nelle facoltà universitarie di comunicazione, relative all'etica e alla modalità di comunicazione e gestione di eventi simili nel teatro mediatico.

- Infine, da quanto scritto, pare che la realtà per essere “vera” e sostenibile debba essere bella, rigorosamente non raccapricciante, e deve aderire alle aspettative.
Riportando gli elementi comuni alle foto di milioni di neonati si afferma che quel bambino “sembra vivo”. L'unico elemento che può darci una lettura reale di questa immagine è il guanto sanitario in cui è avvolta la mano che tiene sollevata la testa del bambino, morto.
La cuffietta ed il completino nuovo ci danno la dimensione familiare e la vicinanza emotiva della realtà “bambino”.
Di quello che vorremmo fosse accolto, anche dalla legge, come un bambino.
Gli occhi chiusi ci danno la sensazione di un sonno felice. Ma è una foto: immobile.
La fotografia trattiene il respiro, qui “vita” è una parola troppo sottile.

Sarebbe interessante anche su questo aprire un dibattito dal titolo: manierismo, situazionismo, giustizialismo e rappresentazione della realtà nel giornalismo italiano.
E sfruttamento e diffusione dell'ignoranza, di ogni tipo, con disprezzo di tutti gli altri valori, per tornaconto personale, potere o vacua ribalta.
Rimane da valutare l'opportunità, in qualsivoglia battaglia sociale, di pubblicare la fotografia di un non-nato, o neonato morto, composto come vivo, in prima pagina di un quotidiano.
Rimarcando, in grassetto, corpo 14, in tutte le pubblicazioni relative all'etica dell'OdG, la risposta a tale valutazione: per cui basta del semplice buonsenso e del sano rispetto.
Non serve altro.

Questo è disprezzo anche verso gli angeli senza volto.