L’etica del fotogiornalismo e la filiera dell’informazione visiva

Il CIFA (Centro Italiano della Fotografia d’Autore) ha organizzato qualche mese fa a Bibbiena una tavola rotonda sul tema Etica e Fotografia. Hanno partecipato all’incontro Uliano Lucas, Mario Cresci, Michele Smargiassi e Marco Capovilla. A quest’ultimo è stato chiesto di intervenire sul tema della pratica fotogiornalistica contemporanea. La sintesi del suo intervento è stata pubblicata in questi giorni sulla rivista Fotoit (disponibile anche on-line ), organo ufficiale della FIAF (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche). Ne pubblichiamo un ampio stralcio.

L’etica del fotogiornalismo e la filiera dell’informazione visiva

Provo ad enumerare alcuni dei principali nodi di riflessione intorno al tema “Etica del fotogiornalismo”, soffermandomi sui più rilevanti e sui più dibattuti tra essi e mescolando assieme “divieti” e “aree di possibili violazioni” da un lato, e prescrizioni e raccomandazioni, dall’altro:

1. la manipolazione (rimozione, aggiunta, alterazione di elementi della foto) con fini “estetici”,
2. la manipolazione (rimozione, aggiunta, alterazione di elementi della foto) con fini ideologici o politici,
3. la decontestualizzazione, l’isolamento, l’inquadratura selettiva al fine di forzare un’interpretazione,
4. la deliberata “messa in scena” dei soggetti e degli elementi costitutivi della foto, con intenti manipolatorî,
5. il rischio che il fotoreporter possa – consapevolmente o in quanto vittima di altrui manipolazioni – avere un ruolo attivo nel realizzarsi di un evento,
6. il rischio che il fotoreporter si sottragga al dovere di soccorrere individui in difficoltà o in pericolo, non impedendo così il verificarsi di sofferenze umane evitabili, pur se in nome di una priorità assoluta del proprio imperativo di fare il proprio lavoro, cioè di informare,
7. il rispetto per gli individui fotografati, la loro dignità, la loro sofferenza, il loro diritto alla riservatezza,
8. il rispetto per i lettori e, più in generale, i fruitori dell’informazione visiva nei media.

È bene chiarire subito che la fotografia di ambito giornalistico, nel suo percorso (a volte tortuoso, certamente lungo, spesso imprevedibile) tra la sua creazione, la sua pubblicazione e la sua successiva fruizione da parte del pubblico, assume tutte le caratteristiche di un prodotto da filiera. Nel senso che tutti gli attori attraverso cui passa la sua lavorazione forniscono un valore aggiunto (che in alcuni casi può però essere un dis-valore, una trasformazione o deformazione del senso), e sono pertanto tenuti a conoscere, rispettare e applicare le norme deontologiche relative all’uso dell’immagine in campo giornalistico.

Chi sono questi attori e quali sono queste regole? Possiamo riconoscere i seguenti soggetti, anche se spesso restano del tutto in ombra dal punto di vista del fruitore finale:

1. i fotogiornalisti, responsabili della produzione iniziale delle immagini e della loro prima scelta,
2. editor e archivisti delle agenzie (che sono responsabili dell’ulteriore scrematura delle foto e della forma finale delle didascalie e dei dati archiviati assieme alle foto),
3. giornalisti, redattori e photoeditor (che all’interno dei giornali quelle foto scelgono e ordinano),
4. art director e grafici (che con l’impaginazione attribuiscono nuovi significati a quelle immagini, giustapponendole graficamente ad altre foto e a grafici, testi, titoli, didascalie).
5. a rigore la filiera produttiva termina qui, ma dobbiamo anche considerare l’impatto decisivo che le scelte dei lettori possono avere come feedback per le decisioni editoriali: massicce preferenze espresse da parte del pubblico per un determinato stile comunicativo, per una specifica scelta di temi trattati, per determinate opzioni grafiche e per l’impostazione iconografica di un giornale possono favorire questo o quel genere di pubblicazione. Si tratta anche in questo caso della cosiddetta tirannia dell’audience, che in molti casi porta ad uno scadimento dei valori etici che dovrebbero sempre ispirare un prodotto giornalistico, spostando l’asse di valutazione più sulle cifre delle vendite che sui doveri morali di chi fa informazione professionalmente.

Nel corso degli anni, a livello internazionale, i princìpi deontologici di cui stiamo discutendo sono stati elaborati e via via perfezionati, proprio a partire dai doveri definiti per il giornalismo più in generale. Purtroppo in Italia non è stato fatto molto a livello normativo per ciò che riguarda un utilizzo consapevole, responsabile e corretto delle immagini nei mezzi d’informazione, anche perché la legge istitutiva dell’Ordine dei Giornalisti del 1963 e il successivo codice deontologico del 1993 prevedono, per tutti i giornalisti, il dovere di attenersi a princìpi di accuratezza, completezza, rispetto della verità, indipendenza, autonomia, giustizia, onestà, senso di responsabilità sociale.
Mentre per ciò che riguarda le fotografie nei giornali e negli organi di informazione si dice e prescrive poco o nulla. Ci si è limitati a sanzionare illeciti anziché percorrere la strada più nobile e matura dell’autoregolamentazione. Come termine di confronto, si provi a considerare, ad esempio, la situazione statunitense, dove la National Press Photographers Association da decenni elabora e propone ai suoi associati un codice etico a cui ispirarsi e attenersi. I princìpi da cui partire sono rintracciabili sul sito dell’associazione oppure anche, in versione tradotta in italiano, sul sito di Fotografia & Informazione .

Qui in Italia, ahimé, siamo in grave e colpevole ritardo rispetto alle elaborazioni teoriche delle pratiche professionali adottate nel giornalismo internazionale e, parallelamente, anche rispetto alla cultura fotografica in senso più generale. Non stupisce quindi che i numerosi casi di violazioni delle norme deontologiche proprio in merito alla fotografia giornalistica, risultino spesso poco presenti o del tutto assenti dal dibattito pubblico, trattandosi del terreno d’intersezione di due settori culturali in Italia poco seguiti.

Marco Capovilla