Fotofinish

  • fonte: Fotofinish, copertina

    Dal 1994 al 2001, Amilcare G. Ponchielli, primo photo editor in Italia ad Amica, poi Max ed in fine a Sette, teneva un piccola rubrica sul magazine del Corriere della sera che si chiamava Fotofinish. Erano le note sollecitate da una fotografia particolare fra le tantissime che passavano sulla sua scrivania. Di recente un libro presenta una selezione di queste «pillole» come le chiama nell'introduzione Barnaba Ponchielli figlio di Amilcare che insieme alla madre Maria Stiffoni hanno voluto fortemente questo piccolo gioiellino. Giovanna Calvenzi che ha curato la selezione di questi brevi pezzi ha scritto: «Amilcare Ponchielli era speciale. Sognava di fotografia. Prendeva la fotografia a pretesto per raccontare le magnifiche storie che solo lui sapeva inventare. (...) È stato uno dei primi giornalisti italiani a occuparsi seriamente di fotografia: vedeva tutte le mostre, tutti i giornali, era un appassionato collezionista di libri di immagine, voleva conoscere i fotografi e con loro approfondire il senso del loro lavoro».
    Si inizia con uno scritto apparso sul n. 44 di Sette del 1994. Lo spunto è una immagine di Gabriele Basilico - Saint Roch, 1944 - che «dei fili elettrici ha fatto una costante delle sue fotografie»; una fotografia della mostra "Nizza in controcampo” che si tiene a Cuneo. Guardandola a Ponchielli è tornata in mente l'ultima scena del film Du rififi chez les hommes di Jules Dassin del 1955, quando Jean Servais «prima di morire dissanguato nella sua automobile, alza lo sguardo e vede i cavi elettrici che attraversano il cielo».

  • fonte: Fotofinish, pagine 16-17

    Qualche numero dopo - nel 48 sempre del 1994 - scopriamo che il nostro, a 9 anni, aveva appesa nella sua camera a Caracas dove viveva, una fotografia scattata a Londra nel 1952 da Robert Frank. «Tutte le notti, nel buio della stanza, l'immagine e quello che c'era dentro si animavano. Le tre signore in fondo  avanzavano e quando arrivavano all'altezza della sedia si fermavano e mi chiedevano cosa facessi tutto solo. Io rispondevo che ero li per vendere lo specchio». Anche in questo caso è un modo per segnalare un autore e la mostra Moving Out alla National Gallery of Art di Washington.
    Sempre "onirica" è la nota - n.2 del 1995 - di fronte alla fotografia di Berlusconi e Mitterrand al summit di Essen nel 1994. Il fotografo Martin Cleaver ha sorpreso il nostro ex Presidente del consiglio «in mezzo ai potenti della Terra che rideva, rideva, rideva e tutti si chiedevano il perché, dato che tutto, nel suo Paese, andava a rotoli. (...) Cavaliere, sia buono, faccia ridere anche noi prima che il famoso sogno svanisca».
    La prima fotografia, La tavola apparecchiata di Nicéphore del 1822, è l'occasione per sottolineare che «Mala tempora currunt per la fotografia. Se ricordate, nella prima rubrica di questa serie mi lamentavo della mancanza del nome del fotografo soprattutto nei quotidiani: i nomi continuano a non esserci però ogni tanto ne appaiono altri come Grazia Neri, Luigi Volpe, Agf, Granata Press, Contrasto, Olympia, ecc. ... che sono agenzie fotografiche. Dicevo tempi brutti per la fotografia. Non solo non esiste chi ha scattato quell'immagine, ma la stessa viene tagliata, scontornata, sovrapposta e confusa con le altre, in modo tale che la foto originale non è più riconoscibile, quasi un massacro. Che cosa fanno i desaparecidos? E le agenzie? Niente. Salviamo la fotografia! Ci sono solo due giornali attualmente, che rispettano la fotografia e sono Il manifesto, e l'Unità. Bisogna dunque che mi arrenda?» Era il 1995.     L'anno dopo, nel numero 9, c'è la reprimenda a Giorgio Bocca che, in occasione dell'uscita de Lo Specchio il nuovo supplemento della Stampa, protesta dalle pagine del mensile Prima comunicazione contro l'invadenza delle immagini nell'informazione. «Possibile che dopo aver lavorato tanto nei giornali e per di più in giornali che contano in questo Paese, il giornalista Giorgio Bocca non consideri l'immagine e la grafica parte dei contenuti, come del resto deve essere, senza sminuire il lavoro di nessuno?»

  • fonte: Fotofinish, pagine 112-113

    Nel 1966 - n. 48 - lo spunto di riflessione è un ritratto di Elisabeth Hurley di Albert Watson. «(...) non è la pupa del capo ma una ragazza inglese cresciuta a Brixton, un quartiere poco raccomandabile di Londra, e allevata nell'aristocratico mondo della moda diventandone, molto presto, una Lady. (...) Fu usata dalla stampa internazionale, come oggetto di scandalo, quando il suo fidanzato Hugh Grant fu sorpreso con la prostituta Divine Brown (questo permise a Lady Diana un lungo periodo di tregua e di riposo). La Hurley è un esempio di come gli esperti d'immagine possono cambiarti da punkettona a Principessa. È quello che sta succedendo ai nostri (ex) grigi politici».
    Mi accorgo che questi Fotofinish andrebbero citati tutti e anche per intero ma ovviamente non è possibile. Ne cito solo un altro - n.28 di Sette, 2000 - perché è sempre attuale e perché qui Ponchielli parla in prima persona per spiegare al lettore la sua posizione. «Non sono né uno storico né un critico della fotografia. I miei scritti non vogliono essere delle recensioni ma semplici opinioni di uno attento all'evoluzione di quest'arte intrigante e piena di contraddizioni. Ho letto una citazione di André Gedalge, maestro del compositore Darius Milhaud, e sono pienamente d'accordo quando dice: "I critici fanno la pipì sulla musica credendo di poterla farla crescere". Il mio rammarico è che questo succede anche nel mondo della fotografia e tutti pisciano nello stesso vaso contemporaneamente, creando solo confusione nei giovani fotografi che copiano i "maestri" osannati dai critici. Il risultato? Tante foto uguali tra loro, che compongono un noiosissimo ed incomprensibile puzzle. (...)»
    Questo elegante e spartano libretto, progetto grafico di Michele Marchetti, formato 10 x 15 cm, con il dorso nudo che mostra i vari sedicesimi di colori differenti classicamente cuciti fra loro da un filo bianco, è stato finito di stampare nel dicembre del 2014 ma purtroppo non è in vendita. Almeno per ora...

Carlo Cerchioli



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