Raffaella Perna e Ilaria Schiaffini (a cura di)

Etica e Fotografia

Interessato al tema, incuriosito dal risvolto di copertina e da una prima rapida scorsa al saggio d’apertura, ho acquistato questo libro che parla, come recita il sottotitolo, di Potere, ideologia, violenza dell’immagine fotografica. 

Il primo saggio della ricercatrice in Storia dell'arte contemporanea, Ilaria Schiaffini - Etica e fotografia: una relazione attuale - traccia rapidamente un quadro del contesto in cui oggi la fotografia viene usata partendo dal presupposto che il punto da analizzare ormai “non riguarda tanto la tecnologia di produzione delle immagini, quanto quella della loro diffusione e ricezione”. Da qui immagino debba prendere le mosse la raccolta di saggi interdisciplinari degli autori Andrea Cortellessa (insegnante di Letteratura italiana contemporanea e redattore culturale), Antonello Frongia (docente di Storia della fotografia), Adolfo Mignemi (storico), Lucia Miodini (storica delle Comunicazione visiva), Federica Muzzarelli (professoressa di Fotografia e cultura visuale), Raffaella Perna (ricercatrice di Storia dell’arte), Antonello Ricci (professore di discipline Demoetnoantropologiche), Michele Smargiassi (giornalista). In realtà questa serie di interventi, forse tenuti in un qualche convegno  (Mignemi lo dice espressamente), non propongono nessuna analisi significativa che risponda alla necessità di una riflessione sulla “complessità delle implicazioni e dei punti di vista sotto i quali considerare l’immagine fotografica e i suoi usi nell’era del Web 2.0” come invece recita in conclusione Schiaffini. Tutti sono concentrati nei loro temi personali senza evidenziare alcun nesso possibile con la nuova era della comunicazione.

Mi soffermo solo su Smargiassi perché nel suo Bugie dell’elocutio parla espressamente di fotogiornalismo e di una tematica sempre attuale e sdrucciolevole: quella della manipolazione delle fotografie. Siamo al 2013 e all’ampio dibattito che suscitò l’assegnazione del World Press Photo Award alla fotografia di Paul Hansen palesemente drammatizzata e vivacizzata nei toni con Photoshop. La foto ritraeva il funerale del 20 novembre del 2011 di due fratellini palestinesi uccisi il giorno prima nel bombardamento israeliano di Gaza City. Smargiassi ripropone la versione del suo primo articolo uscito su la Repubblica il 19 febbraio 2013 aggiornata e arricchita dagli interventi comparsi poi sul blog Fotocrazia quando-il-fotogiornalismo-cambia-colore/; la tesi è che l’eccesso di manipolazione dei toni dei colori, interpretata come stile del fotografo, rischia di svuotare la fotografia dei suoi contenuti informativi.  Questo genere di ritocchi che mirano alla drammatizzazione, nella sua analisi, sono paragonabili agli stili espressivi con cui si può redigere un articolo. Scrivendo la stessa cronaca quattro volte con uno stile di volta in volta sempre più enfatico, Smargiassi vuole dimostrare come è possibile arrivare, via via che aumenta la retorica, a svuotare di contenuto informativo il pezzo proposto al lettore. (Più correttamente nel saggio, facendo riferimento ai tre stadi della retorica “inventio, dispositio, elocutio”, si parla - come da titolo - di elocutio.) Allo stesso modo gli artifici tecnici con cui si può trattare una fotografia di reportage la possono connotare a tal punto da trasformarla in un dipinto svuotandola di denotazione.  La conclusione è che “C’è un patto fra (foto)giornalista e lettore, un patto di veridicità condizionata, in cui io credo debba rientrare anche lo stile. C’è una clausola di questo patto che include l’autorizzazione a utilizzare dispositivi retorici, in gradi diversi, ma esclude le deformazioni deliberate delle informazioni e salvaguardia la funzione fondamentale delle fotografie giornalistiche: suscitare domande su quel che avviene nel mondo.” p.125

Rimangono due domande in sospeso relativamente a questo saggio. Smargiassi definisce il World Press Photo “l’Oscar olandese del fotogiornalismo”: nel primo articolo comparso su la Repubblica del 2013, più volte nel suo blog e nuovamente sul quotidiano nel tradizionale articolo che da conto dei premiati nel 2014. D’accordo, la fondazione che presiede al premio ha sede in Olanda ma - con l'aggettivo olandese - si ottiene di sminuire l’importanza. È forse un eccesso di elocutio?

Ben più di sostanza il fatto che non venga citato il report prodotto nel novembre 2014 dal WPP The integrity of image dove si documentano la prassi e gli standard accettati nel mondo in tema di manipolazione delle immagini nel fotogiornalismo e nella fotografia documentaria.

Il libro risulta deludente. I vari saggi hanno una loro specifica dignità scientifica ma non aiutano il lettore - ribadisco - ad orizzontarsi fra i problemi e i risvolti etici posti dai ruoli che la fotografia può giocare nei nuovi processi comunicativi legati al web 2.0.