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  • firma: (c) Khamenei_ir
  • fonte: Instagram

“A Khamenei_ir piace la foto di Khamenei_ir.”

“A Khamenei_ir piacciono due foto di Khamenei_ir.”

“ Khamenei_ir. ha scattato due foto presso east Azarbajan, Iran”

e poi di nuovo: “A Khamenei_ir piacciono due foto di Khamenei_ir.”

Tenetevi forte perché il grande Ayatollah di Persia ha sposato i social network e scorrendo il suo account possiamo notare un buon grado di autosoddisfazione: si piace in questa nuova veste digital popolare ed ha scelto Instagram come mezzo favorito per farsi vedere dal popolo della rete. Belle immagini, non c'è dubbio, un po' pochine (10), sotto la media i follower (1024), i gradimenti delle foto bassini (dai 90 ai 145).

  • firma: (c) Khamenei_ir
  • fonte: Instagram

Il cambiamento è “epocale” considerato che durante le elezioni presidenziali del 2009 e dei moti di protesta che ne seguirono la prima cosa che fecero le autorità iraniane fu proprio quella di tagliare le comunicazioni on line (e i social network di conseguenza) per impedire che le sollevazioni si propagassero e soprattutto che le immagini della repressione e delle violenze che imperversavano nelle maggiori città arrivassero al di là dei confini. Instagram è figlia del grande Satana ma i giornalisti in Iran entrano tuttora con il contagocce e supercontrollati, mentre durante le elezioni di cui sopra tutti quelli accreditati furono invitati, una volta scaduto il visto, a lasciare il paese. Colleghi raccontarono di aver dovuto cancellare le schede di memoria per il timore di finire con l'accusa di spionaggio nel famigerato carcere di Evin (come accadde per Clotilde Reiss la ricercatrice francese “trattenuta” per nove mesi).

  • firma: (c) Khamenei_ir
  • fonte: Instagram

Ora mi chiedo, perché mai una figura così eterea ed infallibile, una guida spirituale, decide di celebrarsi, o meglio di sfruttare la visibilità di un social network? Non lo so, ma lo posso immaginare, c'è spazio per tutti, anche per un regime che fa impiccare la gente per strada. Però è sospetto il rapporto tra 13 foto pubblicate ed il numero di followers, io ne ho 13 e mi seguono in 5.

  • firma: (c) Tiaichima
  • fonte: Instagram

A pensarci bene, tutto sommato la grande guida della rivoluzione iraniana si trova in buona compagnia. L'autoreferenzialità, infatti, su Instagram impera: nella stessa settimana nella quale ha pubblicato le foto che (lui?) ha fatto e che gli piacciono, il gatto di Tiaichima ha conquistato 3666 “mi piace”, il padre di annecurtismith sorridente seppur in un letto di ospedale piace a 3556 persone, mentre quel povero ed inconsapevole cane (un bulldog, prognato, ça va sans dire) di smokenboo piace a ben 9354 persone (nel frattempo ha scalato le classifiche arrivando a quota 15mila e rotti ) E che dire di Richforever a quota 13.435: li vorrei conoscere quei 13 mila e chiedere loro: perché? (E poi i nomi! Difficile trovarne uno normale e tutti impronunciabili, anche qui ci sarebbe da tirar fuori un manuale di psicanalisi).

Dire “mi piace”, o meglio, premere un bottone per dirlo non costa fatica, mentre i no dovrebbero essere motivati. Perché posso soltanto scegliere di dire sì, perché non c'è un pulsante per dire no? Voi direte: c'è lo spazio per i commenti. Ma non c'è il pulsante per dire no. E questo è più di un fatto: dire no costa fatica, se lo dici devi giustificarlo, non altrettanto vale per il sì. (Avete mai sentito il destinatario di un “bravo” chiedere al “mittente” il perché?)

E' una logica non lineare. I no che aiutano a crescere, diceva il titolo di un libro, per questo esistono torme di genitori incapaci, bambini fastidiosi e trasmissioni come "S.O.S Tata".

  • firma: (c) Smokenboo
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Dire sì ad una fotografia diventa un gesto cortese, non è un assenso a un tema estetico o infomativo, diventa ”Nice”, non costa nulla, e non importa se il contenuto del soggetto non ne contenga alcuno. Di certo verrò ricambiato, se gradisco il tuo gatto farai altrettanto con le mie unghie o la mia acconciatura.

Le fotografie non sono un mazzo di fiori o una scatola di cioccolatini. Un mio amico, pianista, colto e ottimo cuoco ha pubblicato sulla sua pagina Facebook una foto di una pasta alla carbonara. La foto faceva ovviamente pena ed il piatto di pasta non risultava di certo invitante, molto meno del cane prognato, se non altro perché fotografare il cibo è una specializzazione forte, intensa e sulla quale è molto difficile improvvisare. Ma tant'è, le parole non bastano, ci vogliono i fatti, ed una foto a quanto pare lo è.

I social network sono una grande ricchezza, il popolo della rete ha innescato le rivoluzioni in Egitto ed in Tunisia, peccato che però lì adesso governano i “Fratelli”, che avranno usato Twitter anche loro, ma hanno una solida organizzazione dietro ed è con quella che sono arrivati dove volevano. La carta è importante, ma se non hai molto da dire e soprattutto quel dire non lo organizzi.....

  • firma: (c) Richforever
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La rete è un gran vortice ed i social network sono degli ottimi pollai dove ritrovarsi, dove regno Io, i miei amici/amiche, Il mio gatto, il mio cane, le mie scarpe ed un panorama ogni tanto. Il racconto non esiste, neanche l'emozione di vedere qualcosa che impressioni la mia immaginazione: soltanto un gigantesco purea di fotografie tecnicamente ben costruite, ma prive di senso, svuotate di quella ricchezza che la rende regina. Deborda solo questo strano rimando attraverso il quale sono i tuoi oggetti la testimonianza del tuo esserci su questa terra e non quel che hai da dire. Non esisti se non fai vedere la prova di quel che possiedi. Mi chiedo: ma una volta, prima, come si faceva? Davvero ci si doveva adoperare per testimoniare la propria esistenza in vita? C'erano soltanto le noiose foto delle vacanze altrui, il matrimonio, i compleanni dei figli, ma finiva lì. Erano soltanto dei ricordi. Adesso tutto deborda. Una volta le immagini personali, quelle di famiglia, contenevano in sé un pudore, venivano conservate in una scatola e doveva essere proprio un'occasione speciale quella in cui venivano mostrate. C'era bisogno di aprirsi, dovevi aver conquistato almeno un po' di fiducia per poter vedere pezzi di vita degli altri. E quelle immagini significavano molte cose: una registrazione di un momento della propria storia, con quei vestiti andati di moda, o la prima automobile, un matrimonio, la vacanza in famiglia. Era un rito, bello o noiso che fosse.  Instagram è invece un gigantesco panopticon senza passato, senza futuro e senza pudore: senz'altro senso che non sia la precarietà dei gesti/cose/persone che sono il solo lusso che di mio posso mettere in mostra (nudità e pornografia compresi ora, a quanto pare!) e di questo, il grande Ayatollah da cui siamo partiti come scusa per questa divagazione magari non sarà contento!