"Thing as they are": 50 anni di World Press Photo

"Things as they are" è il nome della mostra - e relativa pubblicazione – che raccoglie 50 anni di fotografie premiate dal World Press Photo Award. Il titolo scelto è significativo e suona un po’ come "così stanno le cose", evidentemente per richiamare l’attenzione su una realtà "vera" della quale il premio annualmente si ergerebbe a testimone attraverso le fotografie premiate. La domanda che sorge spontanea è : le cose stanno davvero così? La storia è ben più complessa.

World Press Photo è un’organizzazione senza fini di lucro fondata nel 1955 in Olanda allo scopo di promuovere e sostenere il fotogiornalismo professionale nel mondo.1

Così recita il frontespizio del volume, tradotto in sette lingue, che raccoglie le fotografie premiate annualmente. Al concorso partecipano ormai migliaia di fotogiornalisti provenienti da più di cento nazioni. Nel 1986 i fotografi partecipanti furono 817, appartenenti a 53 paesi. Nelle ultime edizioni i numeri sono lievitati esponenzialmente, imponendo già dal 2003 la creazione di una seconda giuria che operasse un primo sfoltimento del materiale. Parliamo infatti per il 2005 di 4,266 fotografi di 123 paesi diversi, per un totale di 69,190 immagini2. Le maglie della selezione sono per forza di cose strettissime, tuttavia osservandone il risultato si evince lo sforzo di restituire almeno parte della complessità dei punti di vista dei fotogiornalisti sul mondo.

Il WPPh è sicuramente l’unico premio ad avere un tale afflusso di immagini ed un pubblico così ampio per le sue mostre e cataloghi, divenendo così esso stesso un importante veicolo di diffusione della cultura fotografica, capace di incidere sulle mode estetiche e sui valori tanto dei professionisti del settore quanto dei fotoamatori. Altri premi dedicati al fotogiornalismo non raggiungono una tale diffusione e fama. E’ il caso del pur importante Visa pour l’image , manifestazione nata nel 1989 e dedicata soprattutto agli addetti ai lavori, incentrata sul reportage più che sulla fotografia di cronaca. Anche il ben noto premio giornalistico intitolato a Joseph Pulitzer, annovera ormai dagli anni ’50 del secolo scorso una sezione dedicata alla fotografia di attualità. In quest’ultimo caso le immagini sono selezionate tra quelle pubblicate dalla stampa internazionale ed i fatti di cronaca la fanno da padrone.

La struttura del premio è plasmata sui criteri di notiziabilità applicati dalle redazioni giornalistiche nel trattamento delle notizie. Criteri rintracciabili sia nella distinzione temporale tra spot news e general news, che in quella di contenuto tra cronaca ed approfondimento, con nette differenze stilistiche tra i due generi. Se il primo richiede alla fotografia di restituirci l’evento "duro e puro" secondo il dictat dell’obbiettività giornalistica, il secondo si esprime attraverso il commento e l’analisi, schierandosi se necessario.

Nel confronto tra i due tipi di fotogiornalismo possiamo sottolineare un’evidente opposizione tra inquadrature complete ed incomplete, tra nitidezza e sfocato, tra chiarezza espositiva ed enigmaticità. Se nel caso della notizia di approfondimento pesa molto sulla fotografia lo stile dell’autore, in quello della spot news gli stilemi sono ben noti e condivisi e c’è poco o nessuno spazio per l’interpretazione personale. Ci basti ai fini della nostra analisi comprendere come esistano diversi modi di fotografare, che fanno capo a pubblicazioni e pubblici diversi, in quanto si incasellano in categorie differenti di quelle routines produttive che le redazioni e le agenzie fotografiche utilizzano per la valutazione degli eventi e delle immagini ad essi collegate. Il World Press Photo, che intende essere una selezione del meglio della produzione dei fotogiornalisti a livello mondiale, non potrebbe non tenerne conto.

La composizione della giuria.

La giuria del World Press Photo Award è infatti costituita da personalità rilevanti del panorama del fotogiornalismo mondiale, fotografi ma soprattutto redattori fotografici di riviste o agenzie fotografiche. Tra i giurati si sono alternati negli anni personaggi di spicco della storia della fotografia e suoi studiosi. Basti citare Howard Chapnick, fotoreporter e presidente dell’agenzia newyorkese Black Star, autore di numerosi saggi di argomento fotogiornalistico ; Christian Caujole, uno dei fondatori del quotidiano francese Libération ; Stephen Mayes, fotoreporter e collaboratore di diverse riviste fotografiche inglesi ; Roberto Koch, fotoreporter e fondatore dell’agenzia italiana Contrasto ; Grazia Neri, fondatrice dell’omonima agenzia.

Se la provenienza professionale dei giurati può far si che chi voglia immergersi nella collezione completa dei cataloghi si confronterà con l’immagine che i redattori fotografici professionisti hanno costruito del loro lavoro3, tuttavia il sistema di rotazione annuale degli stessi assicura che punti di vista anche contrastanti sul ruolo della fotografia - e di conseguenza diversi criteri di premiazione - siano sempre rappresentati.

Inoltre le fotografie partecipanti, non portando il nome dell’autore, sono teoricamente non identificabili. Tuttavia, nei casi in cui le immagini siano già state pubblicate raggiungendo un elevato grado di notorietà, il metodo dell’anonimato dell’autore risulta inefficace a garantire pari opportunità a tutti i partecipanti. Ciò non toglie che lavori ancora inediti possano essere premiati. E’ questo il caso di un reportage realizzato da Antony Suau in Bulgaria nel 1995, o delle fotografie scattate da Riccardo Venturi in Afghanistan e premiate nel 1997. Non bisogna inoltre trascurare gli equilibri e gli accordi che si vengono a creare all’interno della giuria tra i rappresentanti delle diverse agenzie, per le quali molti dei fotografi in concorso lavorano.

I criteri di selezione.

Anche se non formalmente esplicitati, sono due i criteri applicati nella valutazione delle fotografie partecipanti al WPPh. Il primo è di natura estetica e fa riferimento alle qualità visive dell’immagine e alla sua capacità ed efficacia nel veicolare il proprio messaggio attraverso le tecniche di ripresa e di stampa. Il secondo è quello giornalistico, e si basa sulla valutazione dell’importanza accordata all’evento attraverso l’applicazione dei "valori notizia". Il bilanciamento tra questi due metri di valutazione non è sempre facile, e rispecchia in modo fedele quello che avviene effettivamente nelle redazioni di quotidiani e riviste. Come spesso un evento di scarsa rilevanza ha buone possibilità di essere "notiziato" poichè esistono buone immagini su di esso, così d’altra parte eventi giornalisticamente importanti sono corredati da fotografie qualitativamente scadenti. Nella storia del World Press Photo ha prevalso la valutazione giornalistica fino alla metà degli anni ’80 del secolo scorso, portando spesso alla premiazione di professionisti di dubbia abilità fotografica, ma dotati della qualità di trovarsi "al posto giusto nel momento giusto", ossia al centro di eventi ampiamente seguiti dai media occidentali. E’ il caso ad esempio dell’ immagine scattata da Charlie Cole, fotografo di Newsweek Magazine, a piazza Tienanmen il 4 Giugno del 1989 e premiata con il riconoscimento di Foto dell’Anno 1990. Il fotogramma è diventato una vera e propria icona dei tempi moderni. Pochi sanno che altri due fotografi, in compagnia di Cole nello stesso ufficio prospicente la piazza, realizzarono la medesima immagine4. Videro tutti e tre la stessa opposizione binaria. Nonostante l’immagine reppresentasse un evidente stereotipo nato durante le manifestazioni contro il Vietnam del 1967 negli USA, ed in particolare dalle fotografie di Marc Ribound e Bernie Boston, la giuria del World Press Photo decise di premiarla in ossequio al grande risalto dato dalla televisione alla sequenza filmata dell’evento.

Tuttavia proprio la crisi del settore del fotogiornalismo, incalzato dalla televisione e dall’inflazione del mercato delle immagini favorita dalla tecnologia digitale, ha portato al cambiamento della seconda metà degli anni ’80 del 900 di cui sopra. Per il premio in particolare questo ha significato una maggiore attenzione per l’aspetto estetico delle fotografie, valorizzando soprattutto il reportage d’autore, che era da tempo scomparso dalle pagine del World Press Photo. Non potendo inseguire la televisione sul piano della immediatezza della presentazione degli avvenimenti, il fotogiornalismo di qualità ha seguito una strada simile a quella dei quotidiani, dedicandosi all’approfondimento e all’ esaltazione dello stile personale degli autori.

Soprattutto a partire dagli ultimi anni ’90 si è reso evidente il confronto del World Press Photo con il circuito dei grandi media sul piano dell’ agenda. Confronto che ha spinto verso un utilizzo anche polemico del criterio giornalistico di selezione delle immagini, portando nel 2003 alla premiazione delle fotografie del terremoto in Turchia di Erik Grigorian (Polaris Images, USA). Dietro la scelta per la Foto dell’anno di un’immagine inerente ad un evento quasi del tutto trascurato dal circuito dei grandi media internazionali, attratti quell’anno soprattutto dall’impegno americano in Afghanistan, si cela un’evidente desiderio di affermare l’indipendenza del premio da pressioni esterne. Ed anche forse la volontà, già riscontrabile nelle precedenti edizioni, di porre enfasi sull’aspetto umano della notizia, premiando soprattutto i reportage che sottolineano la minaccia all’integrità della vita umana.

Uno specchio critico?

Appare evidente in conclusione come il World Press Photo Award, nonostante le proprie pretese di obbiettività nel rappresentare la memoria collettiva dell’umanità, sia in realtà una doppia selezione: la prima avviene tra gli eventi degni di essere ricordati, la seconda sulle fotografie più adatte a raccontarli. Per dirla con le parole di Cristian Caujolle: il World Press Photo è uno specchio critico della realtà contemporanea?

Se le fotografie di attualità, più dell’avvenimento in sé stesso, spesso rappresentano la tradizione iconografica dei media occidentali e la sua egemonia planetaria5, è anche vero che l’avvenimento esiste soltanto all’interno di un sistema di riferimento che lo riconosce come degno di nota, e da esso non si può prescindere. Il WPPh è pienamente all’interno di tale sistema, ne utilizza i principi per la selezione degli eventi e delle immagini. Ed anche nel momento in cui, come nelle edizioni degli ultimi anni, si pone in modo polemico nei confronti di tale sistema, di fatto, per restrizioni di spazio e per la sua natura di competizione, riesce solo a presentare qualche eccezione alla regola. L’ambizione del WPPh di essere una memoria visiva dell’umanità6 si scontra con queste evidenze che, al contrario, ne rimarcano la parzialità e la sudditanza alle regole del giornalismo, restituendoci un’immagine del mestiere di fotoreporter ben distante dal mito del paladino della verità spesso declamato sulle pagine del premio stesso.

Per l’osservatore attento una plausibile via di uscita da questa empasse mi sembra quella, in parte qui delineata, di considerare la fotografia in maniera non ingenua, ovvero non un semplice riflesso della realtà, ma uno specchio deformante di fronte al quale siamo posti, attraverso le cui distorsioni è possibile davvero riuscire a ricostruire la nostra immagine di osservatori. Più che degli altri, la fotografia ci parla del nostro modo di guardare ad essi.

Massimiliano Clausi

Note

1 AA.VV. , "World Press Photo 03", Contrasto Roma, 2003.

2 I dati relativi al numero dei partecipanti al concorso sono pubblicati annualmente sui cataloghi della mostra.

3 Caujolle C., "Il World Press Photo, la stampa e gli stereotipi, una grammatica visiva o semplicemente un clichè?", in Mayes S. (a cura di), ThisCritical Mirror, Thames and Hudson, London,1996.

4 Edgar Roskis in Le Monde Diplomatique, Gennaio 2003: tra i fotografi presenti nell’appartamento vi era anche il più noto Stuart Franklin dell’agenzia Magnum.

5 Gilles Saussier, "La disciplina del tempo, in Problemi dell’Informazione", Il Mulino, Bologna, n°2/ 2003.

6 Salgado S., in Mayes S.(a cura di),"This critical mirror", Thames and Hudson, London, 1996.