Incontro con Ando Gilardi

Questa intervista è stata prodotta nel 1997 ma è a tutt’oggi inedita. La ripropongo in occasione della riedizione di “Storia sociale della fotografia”. Il libro si può acquistare online su hfnet.it . Altre informazioni nella FototecaStorica Nazionale Ando Gilardi
ANDO GILARDI…

Ando Gilardi: geniale distruttore di miti. Ando Gilardi: se conosci i suoi scritti lo prenderesti a calci.

Si autodefinisce come un vecchio fotografo invidioso eun po’ maligno, rimbambito, cinico, morboso, voyeur, nichilista, sionista,narcisista, ribelle stalinista, velenoso, retorico e perfino zoppo, con unacoscienza equina, afflitto da schizzofrenia critica con sdoppiamento dellapersonalità e rotolante nel grasso come i ciccioli di maiale alla turca.
Sostiene di non essere più capace discrivere un testo serio su ordinazione, e quando ci prova diventa “estremista,manifestando tutta la velenosa retorica di chi non distingue ciò che davveropensa dalla massa celebrale di tutto quel lo che pensa”.
I suoi testi sono dichiaratamente scrittiin “barocco”, ovvero con parole che quasi non esistono e includono appena unframmento di lingua reale, allo scopo di “epatare il lettore”, cioè distrabiliarlo.
Gilardi ha appena la metà dell’eta’della fotografia e da almeno mezzo secolo si interessa attivamente a tutto ciòche è immagine ed iconografia, dal graffito ai moderni libri elettroniciinterattivi di cui lui stesso è stato ideatore e primo realizzatore, affogandonella propria presunzione Gilardi arriva a pretendere di “svolgere nel Paesedella fotografia la stessa funzione di Gorbaciov nel Paese dei Soviet”, diessere “l’ origine della fotografia” e al tempo stesso “la prova viventeche la fotografia non esiste”.
Gilardi può essere definito senza timoredi smentita, un caso limite di un essere relegato ai margini della societànonchè la rappresentazione quotidiana degli elementi dissonanti e di disturbo,dell’equilibrio sonnolento e perbenista delle società del vecchio e nuovomondo.
Un critico e uno storico che arriva adammettere di ripetersi, perchè non ha più nulla da dire anche perchè quelloche ha detto lo ha quasi sempre detto “contro”. Se l’è presa con tutti:persone, istituzioni, ideologie. Ha “demolito” Cristoforo Colombo,Stieglitz, i fotografi della Farm Security Administration e perfino la poveraRoberta Valtorta. Ando Gilardi è tutto questo e forse anche di più.
La sua cultura enciclopedica l’haportato ad essere autore di innumerevoli articoli, saggi e testi, tra cuiricordiamo “Storia sociale della fotografia”, “Sillabario fotografico perla prima elementare” e “Fotografie di maciari e della loro clientela”splendido saggio pubblicato sulla rivista “Ferrania”, e ritenuto “fondamentalesulle applicazioni sociologiche della fotografia” dal critico dellafotografia, di fama internazionale, prof. Italo Zannier.
Lo stesso Zannier riconosce ad AndoGilardi il merito di aver osservato con occhio “nuovo” la storia dell’immaginein generale, e non soltanto della fotografia, e di averla fatta riscoprire aipiù giovani “...in una dimensione meno noiosa e accademica”.
Ando Gilardi dichiara di aver letto nellasua lunga vita professionale, almeno un milione di libri sull’immagine e diaverne recensiti oltre cinquecento (nell’arco di dieci anni) per la rivista“Progresso Fotografico” il cui direttore non manca di descriverloapertamente, come “una persona scomoda e sostenitore di posizioni spessocontrocorrente ma comunque una voce importante della fotografia italiana”.


Abbiamo intervistato questo personaggio per sapere qualcosa di più sul “suo”modo di vedere l’immagine e tutto il mondo che ad essa ruota intorno.


INTERVISTA:Sig.Gilardi, Lei ha sempre scritto sulla fotografia con taglientidurezze, aspri commenti intrisi di vetriolo, stroncature, turpiloqui,fini ironie, ma sempre con una lucidità geometrica delle idee. Ledomandiamo: qual’è la “sua” fotografia?


Gilardi:
La “mia”fotografia cambia nel tempo, ma è naturale. La regola: a 30 anni unovede 2000 fotografie e ne apprezza 100, a 40 anni ne vede 10.000 e neapprezza altre, ma sempre 100, a 70 anni ne ha viste 100.000 e neapprezza sempre, altre, 100. Ma questo vale per i libri, i film, lemusiche, i quadri, eccetera. Qual’è oggi la “mia” fotografia?Quella spontanea e anonima dello Sterminio degli Ebrei in Europa.

INTERVISTA:Quando e se, secondo lei, la fotografia diventa arte e il fotografoartista?


Gilardi:
La fotografia diventasicuramente arte e il fotografo è sicuramente artista, quando è inbuona fede.Se uno ha come me (purtroppo(c) mezzo secolo di mestiere,riconosce la buona fede e dunque l’ arte vera, alla prima occhiata.

INTERVISTA:Si afferma che la fotografia possa contribuire a cambiare il modo divedere della gente e quindi il mondo...lei cosa ne pensa?

Gilardi:Penso che non sia vero, ma che è vero il contrario. E’ la “gente”che potrebbe cambiare il modo di fotografare, se la gente cambiasse. Lafotografia nella norma vale poco perchè la “gente” non cambia.

INTERVISTA:A chi serve la fotografia?

Gilardi:C’è la fotografia come prodotto (pubblicità, cronaca, scienze...) c’èquella come consumo (amatoriale, artistica...). La prima serveovviamente a chi la fa, per vivere e a chi la compera per usarla, laseconda a chi la fa e a chi produce apparecchi e materiali perfotografare.

INTERVISTA:Lei ha affermato che l’utilità dei critici e degli storici nonconsiste in quello che dicono ma in quello che non dicono, e che il loroscopo essenziale risiede nella legittimazione “spirituale” delpotere... Come definisce il suo ruolo specifico, qual’è la suautilità?

Gilardi:Gli storici e i critici, ma non solo e non tanto della fotografia, ma ingenerale sono come quel dottor Linguetta di Striscia la Notizia, alcunileccano meglio, altri peggio, ma leccano tutti. Non è un “tradimento”della loro mansione ma è proprio la natura stessa del loro mestiere.

INTERVISTA:A chi servono i critici e chi sono i “suoi” “critici di regime”?

Gilardi:La critica serve a far campare il critico, come la musica il musicista,la pittura il pittore, e così via: è un lavoro come tanti. Tutti icritici sono di regime come tutti i giornalisti,gli insegnanti, tutti ipittori, tutti i magistrati, eccetera. Quelli che non sono direttamentedi regime (come mè servono a dare un minimo di chiaroscuro al regime,che altrimenti sarebbe troppo piatto. La società e la cultura ingenerale, sarebbero semplici da spiegare: troppo. Complichiamo lespiegazioni per darci delle arie.

INTERVISTA:Le gallerie, a suo avviso, aiutano la fotografia o servono solo pergestirla meglio?

Gilardi:Le gallerie servono all’utopia fotografica, servono a dare “importanza”alla fotografia di consumo di tanta brava gente. Rendono felici moltifotografi e per me, naturalmente, questo va benissimo.

INTERVISTA:Nella sua prima mostra fotografica personale: “Memorie di un fotografopentito” (riproposta nell’estate 1997 a Villa Pomini (Va) ndr) sidice pentito per aver umiliato la fotografia, mettendola a serviziodelle utopie sociali, ed autoaccusandosi di aver usato la fotografiacome un’arma, che ha definito dolorosa e fonte di ridicolo. Perchè lepiace perseverare?

Gilardi:Mi sono pentito della mia attività fotografica dei primi vent’anni eanche un poco vergognato, ma senza dramma, anzi ¡ Con un poco dinostalgia. Come siamo stati presi in giro ¨ a me è successo anchequesto). Ma per essere sincero fino in fondo, non posso anche fare ameno di pensare che se mi fossi dedicato subito alla fotografiacommerciale, invece che a quella sociale, oggi potrei rendere felicicento cani invece due. Comunque è andata bene così: mi pento però nonmi lamento.

INTERVISTA:Lei ha letto e criticato moltissimi libri sulla fotografia, qual’è asuo avviso lo stato di salute dell’ editoria fotografica italiana,anche rispetto ad altri Paesi europei o americani?

Gilardi:L’editoria fotografica italiana è molto modesta, ma lo è l’editoriaitaliana in generale,cosí lo è il nostro cinema, la pittura,lescienze, eccetera. Credevamo di essere bravi almeno nel gioco delpallone, ma ha visto com’è andata? (il riferimento è ai CampionatiEuropei del 1996). Siamo un Paese con una storia grossa grossa, ma unpresente piccolo piccolo. Ma io ci invecchio volentieri. Certo, seavessi vent’anni, partirei per New York anche per fare lo spazzino.

INTERVISTA:A Milano esiste una Fototeca Nazionale che porta il suo nome, ce ne puòparlare?

Gilardi:La “Fototeca Storica Nazionale archivi Elettronici Iconografici”delle sorelle Patrizia e Elena Piccini, alla quale hanno voluto dare ilmio nome, e ne sono orgoglioso, è la societa’ più avanzata in Italianel campo della registrazione, trasporto e imballaggio delle immagini,nelle vecchie forme analogiche e nelle nuove forme digitali. Puòsembrare strano, ma è proprio così.

INTERVISTA:In conclusione: chi è veramente Ando Gilardi “Fotografo esemplare”?

Gilardi:Un vecchio contento di essersi occupato di immagini, e non solo diquelle fotografiche, per tutta la vita. E’ un lavoro difficile efaticoso, ma molto bello.

Roma, 25 gennaio 2001 LucaPagni