Mass Media: il falso nell'informazione

Sappiamo tutto senza conoscere niente. Ritoccare, scontornare, tagliare, cancellare sono le tecniche usate dai media per \"ridefinire\" la realtà, come spiega questo articolo e come illustra una recente mostra del Centro Documentazione Solidea di Milano.
\"Una stanza del quartier generale della BBC a Londra contiene, allineati contro i muri, i box corrispondenti a tutti i giorni dei tre anni prossimi venturi. E in ogni box i nastri o i progetti di ciò che quel giorno verrà trasmesso per riempire le ventiquattro ore di programmazione televisiva. A prescindere da quello che sarà successo. A prescindere da quello che i mesi e gli anni avranno portato […] A prescindere dallo stato delle cose del giorno\".
Il brano è tratto da un articolo di Irene Bignardi (\"La Repubblica\" 7/7/1994), e sintetizza efficacemente le riflessioni di George Steiner, tra i massimi storici della letteratura viventi, sullo stato dell\'informazione oggi.
Milioni di notizie quotidianamente invadono le redazioni, le agenzie, i network, e infine bombardano la curiosità di noi, passivi spettatori dello spettacolo-mondo. Frammenti di storie mai collocate in contesti precisi, dove il rapporto tra notizia, evento, sfondo, si esaurisce ben prima di essere consumato. Le tessere del \"puzzle-mondo\" ci sono tutte, ciò che manca è il quadro di riferimento, il contesto, l\'orizzonte entro cui i fatti-notizie si sviluppano. E solo questo orizzonte è in grado di fornire strumenti interpretativi e possibili percorsi di analisi.
Sappiamo tutto per non conoscere niente.
Paradossalmente il sistema dei media produce ogni giorno cumuli caotici di notizie che diventano notizie bianche, vuote, invisibili perché irrecuperabili al loro contesto. E quando le notizie sono bianche muoiono subito o possono, indifferentemente, essere utilizzate fra anni.
In questo contesto anche il confine tra ciò che è vero e ciò che è verosimile o addirittura falso diventa diluito, indecifrabile, labile. L\'esempio del servizio girato dalla troupe della BBC con siringhe e profilattici sparsi ad arte per testimoniare il degrado di Reggio Calabria; o il caso Joey Skaggs, inventore e distributore di notizie false molto apprezzate dai media statunitensi, sono la testimonianza che, come dice Furio Colombo in un suo articolo, \"le notizie vere saranno (nel prossimo futuro) del tutto intollerabili. Forse bisognerà toglierle dalle ore di maggiore ascolto. Oltretutto disturbano\". (\"La Repubblica\", 14/8/1994).
Le parole di Steiner, ricordate prima, sintetizzano efficacemente le condizioni dell\'informazione (di tutta l\'informazione, visiva e scritta) nel mondo: notizie e immagini che restano nuove per anni, notizie e immagini che si erodono nel loro stesso prodursi. È tra questi estremi emblematici che naviga oggi l\'informazione tramite media.
Mai si è guardato di più il mondo, mai se ne è saputo di meno.
Per dirla con le parole del sociologo Franco Ferrarotti \"i mass media non mediano. Tendono a fagocitare […] non elaborano i dati fino a renderli significativi […] I mezzi di comunicazione di massa restano esterni al processo comunicativo, non entrano nel sottile gioco trasformativo che esso implica. In una parola la comunicazione di massa non comunica.\" Perché ciò che manca è sempre il quadro di riferimento, il contesto, l\'orizzonte.
Come dice ancora Ferrarotti: \"la verità non è mai data da una sequenza di fatti, per quando accertati e accreditati […] La verità è significativa e pienamente raggiunta e quindi in grado di aiutare la comprensione delle situazioni umane globali solo nella misura in cui i fatti a cui si riferisce sono organizzati e, per così dire, decantati e fatti parlare all\'interno di un quadro di riferimento condiviso da un dato gruppo umano\". Durante la guerra del Golfo \"la comunicazione elettronica era immediata, precisa, audiovisivamente documentata, e nello stesso tempo, stranamente priva di significato\".
Quella guerra ha rivelato, forse per la prima volta e in modo così netto, l\'inadeguatezza dei mass media a comunicare perché incapaci di elaborare, di trasformare sequenze di fatti e di immagini in dati significativi di un evento.
Quelle immagini sono state diffuse per sollecitare emozioni negli \"spettatori\", non per informare: si pensi al finto attacco missilistico su Israele durante il quale l\'inviato della CNN parlava concitatamente indossando una maschera antigas mentre sullo sfondo alcuni tecnici, in tutta tranquillità e a viso scoperto, svolgevano il loro lavoro ignari di essere ripresi; si pensi al cormorano incatramato da un petrolio sbagliato; si pensi alla cattura dei \"prigionieri iracheni\" ricostruita, come in uno studio televisivo, con l\'aiuto di false comparse kuwaitiane.
Come le notizie anche le immagini concorrono a svuotare e a rendere priva di senso l\'informazione e dunque la nostra storia.
Il libro di Alain Jaubert sulle fotografie che falsificano la storia riporta in apertura un passo tratto dal romanzo di George Orwell 1984: \"C\'erano le immense stamperie con i redattori e gli esperti di tipografia, e gli studi muniti delle sofisticate attrezzature per la falsificazione delle fotografie...C\'erano i vasti depositi dei documenti corretti, e le fornaci, ben nascoste, dove si distruggevano i documenti originali... \". Questo volume testimonia il ruolo che le immagini hanno avuto e hanno nei meccanismi di distorsione della realtà in questo secolo. La fotografia da grande macchina di \"riproduzione del reale\" si è trasformata in uno strumento di inganno per produrre consenso. Ritoccare, scontornare, tagliare, cancellare sono le tecniche usate per \"ridefinire\" la realtà.
Sociologi e massmediologi amano ripetere spesso quanto il nostro modello di vita sia legato alle immagini, di come queste ci portino dentro agli eventi, li rendano reali e presenti anche se accaduti a enorme distanza da noi; anzi, accadono solo se teleripresi: la guerra del Golfo è scoppiata soprattutto nella case di milioni di cittadini in Europa e negli Stati Uniti una notte di gennaio del 1991 attraverso la rete televisiva CNN.
Niente è più falso!
Le immagini trasmesse o stampate che vediamo quotidianamente hanno un grado di informazione prossimo allo zero, non informano, non commentano, quasi sempre sono estranee all\'evento descritto. Se il loro valore di documento di cronaca è scarso, quando non mistificatorio come nel caso di una famosa fotografia del campione USA O.J. Simpson (ieri eroe sportivo, oggi imputato di omicidio) manipolata dal prestigioso \"Time\" per rendere più sinistro e minaccioso il volto del protagonista attraverso una tecnica computerizzata di annerimento dell\'immagine, il loro valore di documento storico è annullato dalla superficialità e inattendibilità di chi le usa.
È paradossale che proprio la civiltà delle immagini, pronta a registrare ogni evento in ogni angolo della terra, si dimostri poi incapace di dare di sé documenti attendibili.
Sempre meno testimonianze di fatti, le immagini come le notizie, sono talvolta rappresentazioni simboliche di eventi, ma più spesso sono relegate al ruolo di semplici \"tappabuchi editoriali\".
Esiste uno scontro in atto tra le ragioni linguistiche di chi usa lo strumento fotografico e le ragioni dei media che ha lontane origini e che trova in Eugene Smith, il grande fotoreporter di \"Life\", il suo caso emblematico: l\'immagine in concorrenza con la scrittura. Come afferma Anna Detheridge in un articolo apparso sul \"Sole 24ore\" in occasione di una mostra dedicata proprio a Eugene Smith \"La lotta per il controllo del materiale e dell\'inserimento delle immagini in un testo […] rimane un nodo insormontabile\". Il ruolo della fotografia, all\'interno di una logica editoriale, è determinata da un team di giornalisti e di grafici che possono esaltare o comprimere il \"messaggio\" del fotografo, contestualizzarlo all\'interno della narrazione oppure utilizzarlo in ambiti affatto diversi rendendo così vani i contenuti informativi e gli sforzi narrativi di chi scatta.
Le fotografie che appaiono quotidianamente sui giornali non hanno quasi mai alcun riferimento ai fatti che dovrebbero illustrare, sono solo sfondi occasionali che accompagnano gli articoli, quasi sempre \"arricchite\" con didascalie sommarie quando non arbitrarie o palesemente false.
Esemplare a questo proposito quanto è stato pubblicato in Italia sulla Somalia durante tutto il periodo dell\'operazione Restore Hope. Da uno studio comparativo effettuato su una gran mole di materiale fotografico emerge quanto scarso sia il valore di informazione presente nelle immagini proposte dai giornali. La maggior parte di quelle fotografie non raccontano il dramma della Somalia, non ne hanno la forza simbolica, ma ancor meno descrivono gli eventi a cui sono state frettolosamente e spesso arbitrariamente affiancate. È del tutto assente il contesto, manca il valore documentale, negano, quelle foto, di fatto il mito dell\'informazione in diretta.
Poco importa chi siano o cosa in realtà stiano facendo i protagonisti di queste fotografie. L\'importante non è informare ma sollecitare una specie di \"voyeurismo\" puntando solo sull\'emotività del lettore. Le immagini che ci giungono dall\'Africa, capaci solo di riproporre gli stessi stereotipi tragici della fame, della guerra, della malattia, possono allora essere usate indifferentemente per la Somalia, per il Ruanda, per il Sudan: lo shock emotivo deve essere comunque garantito.
L\'abuso selvaggio di immagini e notizie svuota l\'informazione del suo contenuto documentale e del suo valore di testimonianza rendendola indifferenziata dunque buona per tutte le stagioni. E la biblioteca del futuro della BBC sta lì a dimostrarlo.

* Responsabile del Centro di Documentazione Solidea - Fax 02/2822853 - E-mail: Solidoc@enter.it
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