Fusione Fredda

Iniziare un discorso così complesso è abbastanza, almeno per me: difficile. E anche finirlo. Io mi limito a buttare un sasso nello stagno poi vediamo quali possono essere gli interventi che si aggiungono, se se ne aggiungono, se qualcuno trova l’argomento interessante.
La spinta tecnologica, attraverso i bisogni commerciali delle aziende produtrici, ha mutato chi produce le immagini. La diffusione della fotografia digitale ha creato schiere di appassionati che si tuffano nella fotografia commerciale, giornalistica e di reportage.
Una sorta di democrazia tecnologica dal basso dove se hai i soldi puoi giocare. Ovvio che per anni chi ha avuto i mezzi ha anche decretato l’andamento dei mercati. Ora i mezzi sono a disposizione di tutti. L’accesso al credito fornito da banche e finanziarie, da una parte, e la riduzione del costo delle “devices” digitali ha diffuso le possibilità di raccogliere e diffondere testimonianze visive, o informazioni per creare profili marketing utili ad algoritmi di calcolo sulle preferenze di consumo (pare arabo ma ha un senso, e la privacy quando sei un numero vale poco).
Tutti possono essere professionisti, sottovalutando la deotologia professionale necessaria per esserlo.
Senza nulla togliere ai valori personali ricevuti in educazione credo si porrà il problema quando l’unica discriminante sarà il denaro, e l’abilità ad ottenerlo scegliendo scorciatoie più o meno civili. Spesso nascono collettivi di fotografi per fronteggiare le multinazionali dell’immagine , contrastando la limatura e l’omologazione dei contenuti.
Spesso nascono anche agenzie che sfruttano il fotografo (senza nulla togliere alla sua bravura) che ha fatto debiti per aprire partita iva, comprare l’ultima macchina fotografica “prosumer” di turno e il portatile pieno di software, craccati, per la spedizione e per la creazione di contenuti internet. Sfruttando il panorama diviso in singole “devices di ripresa” che partono dai rispettivi “soho” (small office=home office) a pubblicare le “loro” idee sul sito www.tifacciovederechisonoio.com .
Il punto.com (commercial) su un’etica che si acquisisce negli anni con la sensibilità e l’attenzione nella professione, non solo con l’acquisto di una macchina, o di un software non credo ci debba andare. Sull’individuo neppure, credo.
O vogliamo aspettare il punto.org per la vendita degli organi?
Ora credo sia giunto il momento, per tutti, di confrontarsi, parlando, scrivendo, o attivando le risorse possibili per tentare una fusione fredda. Non un cartello economico ma un manifesto etico.
La fusione delle professionalità (giornalisti-grafici-pictureeditor-commercalisti-fotografi- in pieno delirio di onnipotenza da freudiano dio protesi) ha spostato la linea del fronte nelle retrovie. Come l’avvento delle armi da fuoco (J. Hillman – “Un terribile amore per la guerra” – Adelphi) a suo tempo, in Giappone, ha tolto valore ai Samurai e ha creato eserciti di carne da cannone nobilitando la precisione e l’inventiva dell’artigiano costruttore delle armi, il sistema digitale ha creato “lavatrici” da ripresa guidate da “geni del software”. Sostituendo l’autore con il “portatore” della macchina.
Esemplare è stata la provocazione della Canon di far accreditare direttamente la macchina fotografica con cavalletto alla biennnale del cinema di quest’anno.
http://blog.panorama.it/culturaesocieta/2007/08/31/a-venezia-accreditano-una-macchina-fotografica-e-non-e-un-film/
Trasferendo l’intelligenza, la scelta, l’abilità, i valori al “desk” che ha ingranaggi strutturati in funzione delle esigenze di consumo della rivista e dell’editore. Mediando la realtà, producendola esclusivamente nella sua rappresentazione.
Forse tra professionisti (fotografi, giornalisti e picture editor) è arrivato il momento di fare molta più attenzione ai danni di una concorrenza malsana (propongo un corso di fotografia col telefonino per i giornalisti), e cominciare a pensare di dare una svolta alla professione.
Alcuni professionisti non esisteranno più, ovvio, è una svolta epocale, ma iniziamo a distinguere le illustrazioni fotografiche dalle fotografie e dal fotogiornalismo.
Se siamo in un posto dove ci sono più fotografi che soggetti ovvio che i mezzi (velocità in primis, si possono croppare le foto dal desk direttamente nella macchina del fotografo per trasferire files più piccoli e adatti alla domanda) determinano la “qualità” dell’immagine, ma volendo mantenere alto il valore documentale e indicale della fotografia giornalistica, sociale, antropologica cerchiamo di sottolineare le differenze tra i soggetti.
In fotogiornalismo non si fanno foto senza soggetto e il soggetto, quando deve aderire alle regole di marketing editoriale, viene defraudato delle sue qualità essenziali, che il reporter deve saper cogliere e trasmettere oltre il monopolio Photoshop. Oltre il monopolio binario.
Non volendo vincere alcuna “Corona” facciamo quattro chiacchiere sulla nostra professione o vogliamo continuare a subire questo “divide et impera” che produce “lavatrici a tasso zero” capaci di iperprodurre figurine per alimentare “l’iconoclasma” nel fotogiornalismo?
E mordere la coda al cane?


Fabiano Avancini