Due parole sui vincitori del WPP 2009 (assegnati nel 2010)

  • firma: Tommaso Ausili, SIME
  • fonte: http://www.worldpressphoto.org/
  • titolo articolo: Slaughterhouse, Italy
La conta finale ci consegna dieci premi assegnati a nove fotografi italiani su 63 premi totali (Masturzo, oltre che vincitore del primo premio assoluto, si è anche aggiudicato un altro premio).
Cioè, fermandoci alla contabilità spicciola, un sesto, quasi, dei premi se lo sono portato a casa gli Italiani.
Congratulazioni!
Vogliamo andare un po’ al di là dell’aritmetica e considerare qualche altro fattore, oltre a quello strettamente numerico?
Tralasciando per ora il fatto che un paio di questi fotografi vivono all’estero: uno in Argentina e l’altro in Giappone, crediamo sia utile andare a vedere da vicino i temi dei reportage o delle foto che hanno permesso ai nove fotogiornalisti italiani di vincere. Li nominiamo alla rinfusa, senza distinguere tra foto singole o storie, tra primi, secondi o terzi premi.

Masturzo: Iran - Teheran
Vernaschi: Guinea Bissau
Borzoni: Kashmir - Srinagar
De Luigi: Kenya
Giusti: Congo Brazzaville
Santese: Usa - Detroit
Ausili: Italia - mattatoio
Imbriaco: Italia - Roma — campo nomadi del Casilino
Patrizi: Italia — volo uccelli

Riassumendo: due terzi dei fotografi vincitori di un premio (sei su nove), hanno partecipato al WPP con dei reportage realizzati in località lontane dal nostro paese, in qualche caso in terre decisamente remote.
Due soli erano invece i reportage sull’Italia, in aggiunta al vincitore con foto singola dal titolo “volo d’uccelli”.

Confrontando questo dato con quello, ad esempio, dei “padroni di casa”, gli olandesi, se ne ricava che solo una storia su sei è stata realizzata certamente all’estero, forse anche un’altra, non è chiaro, mentre le altre raccontano l’Olanda. (ringrazio Matteo Bergamini per l’intuizione e l’opportuna verifica).

  • firma: Alessandro Imbriaco, Contrasto.
  • fonte: http://www.worldpressphoto.org/
  • titolo articolo: Casilino 900 camp, Roma

E’ dunque ancora vero che, in massima parte, i nostri fotografi, quando decidono di realizzare un reportage, molto spesso prendono in mano, per iniziare, il mappamondo, anziché la cartina dell’Italia e i nostri giornali o i dati Istat.
E’ quasi un riflesso di tipo pavloviano: ci si sente veri fotoreporter soltanto se ci si occupa di “storie dell’altro mondo”, se per raggiungere le località da fotografare si vola su numerose tratte aeree, se sul passaporto ci si ritrova strani timbri più o meno esotici. Come se in una nazione come la nostra, contraddittoria, in grave crisi economica, orfana di una decente rappresentanza politica, con episodi sempre più frequenti di disfacimento della moralità pubblica, attraversata da gravi conflitti sociali, con crescenti attriti tra la popolazione autoctona e gli immigrati e, se non bastasse, anche di questi ultimi tra loro, caratterizzata da un suolo gelogicamente instabile e sismico, con un paesaggio deturpato da nefandezze edilizie ovunque diffuse, come se in Italia, dicevo, non ci fossero mille storie interessanti da raccontare senza dover andare in altri continenti a rischiare pallottole e gastroenteriti. Anche perché, a volerle cercare ad ogni costo, queste ultime sono ampiamente disponibili anche sul suolo italico.

Congratulazioni, comunque, a tutti i fotogiornalisti italiani vincitori del WPP 2009 per aver dato all’Italia un posto di primo piano nel panorama del fotogiornalismo mondiale, ma un applauso particolare ad Alessandro Imbriaco per essersi occupato dei campi Rom del quartiere Casilino, a Roma, e Tommaso Ausili, per aver raccontato e documentato con le immagini le atrocità di un macello nostrano.

E’ pur vero che nel nostro mercato dell’editoria in crisi (soprattutto d’idee, ancor più che di inserzioni pubblicitarie) il reportage è diventato un’attività che si possono permettere quasi solo quelli che campano d’altro, ma, ragazzi miei (e in redazione mi suggeriscono di scrivere anche: photoeditor, direttori e grafici miei), che ne direste di tornare a rivolgere lo sguardo alle numerose storie italiane, che sono lì che aspettano solo di essere scovate e raccontate?


Marco Capovilla