Stand your ground

  • didascalia: A "No Photography" sign, commonly placed in properties where the owner objects to or it is illegal to take photographs (though in some jurisdictions, this is not a legal requirement).
  • firma: This file is ineligible for copyright and therefore in the public domain
  • fonte: http://en.wikipedia.org/wiki/File:Prohibition_of_photographing.gif

In occasione del London Street Photography Festival, che si sta svolgendo nella capitale inglese nella zona di King's Cross e che prevede mostre, incontri, dibattiti ed eventi per l’intero mese di luglio, è stato presentato in questi giorni il documentario “Stand your ground”, visibile anche online sul sito del quotidiano The Independent.

Di cosa si tratta, in breve:  sei "street photographers"  inglesi si sono accordati per "scendere sulla strada" a Londra lo stesso giorno (il 21 giugno scorso). Durante queste camminate per le vie della City  si sono fatti filmare da colleghi videomaker mentre venivano avvicinati da agenti in borghese della security di varie società ed aziende i cui uffici si trovano nei palazzi circostanti. Le guardie  intimavano ai fotografi di smettere di riprendere palazzi e persone (e di filmare, ovviamente) per "motivi di sicurezza". I fotografi facevano notare con grande gentilezza ma anche con altrettanto decisa fermezza che si trovavano sul suolo pubblico e non c'era alcun motivo legale che potesse impedire loro di continuare il loro lavoro. In tre casi su sei i "vigilantes" hanno chiamato la polizia che, sentite le legittime ragioni dei fotografi e riconosciuta la inaccettabilità delle richieste dei "gorilla aziendali", senza esitazione ha confermato ai fotografi che potevano continuare a svolgere il loro lavoro, con grande scorno dei vigilantes (e delle aziende che li pagano per tenere lontani occhi - e Cmos - indiscreti).

Com’è noto negli ultimi dieci anni in Gran Bretagna la legislazione riguardante la “street photography” si è fatta particolarmente restrittiva al limite della paranoia: si è arrivati al punto di suggerire ai cittadini di segnalare alle autorità di pubblica sicurezza eventuali individui “sospetti” còlti nell’atto di fotografare con insistenza qualche edificio o parte della città. I fotografi britannici hanno più volte denunciato con articoli e azioni di sensibilizzazione l’inutilità di questa legislazione e il danno causato allo svolgimento del loro lavoro di fotoreporter. Adesso hanno iniziato una parallela protesta con strumenti audiovisivi, come appunto quello qui presentato. Per una panoramica sulla situazione nel Regno Unito si veda ad esempio il breve documentario trasmesso da Current TV (disponibile tuttora al link: http://current.com/technology/88856223_you-cant-picture-this.htm). O anche la voce "Photography and the law" su Wikipedia.

In Italia la situazione è per certi versi simile, ma sicuramente meno esasperata: capita spesso a chi fotografa nelle strade di sentire qualche richiesta di non fotografare per motivi quasi sempre risibili del tipo: “Questo palazzo non si può riprendere perché è privato” oppure “La vetrina del negozio non la può fotografare per motivi di privacy” e stupidaggini di questo genere. E certamente agli agenti della Polizia o dei Carabinieri non piace molto essere ripresi dai fotografi o dai videoperatori. Com’è noto, tuttavia, per la legge italiana tutto ciò che è visibile in luogo pubblico è anche fotografabile. Soltanto i "luoghi militari” e altri luoghi di importanza stregica segnalati con appositi cartelli sono interdetti all’uso di fotocamere e telecamere. Inoltre i fotografi non possono essere obbligati dalle autorità di pubblica sicurezza a consegnare schede di memoria o rullini di pellicola relative a riprese che hanno fatto in luoghi pubblici.
In teoria.
Naturalmente non dimentichiamo che anche qui da noi, specie in momenti particolarmente “caldi” e concitati come manifestazioni, scioperi, cortei, è capitato - e capita - che qualche membro delle forze del’ordine particolarmente poco sensibile al lavoro dei fotoreporter e particolarmente ignorante in materia di diritto di cronaca e di fotografia in luogo pubblico abbia preteso la consegna delle pellicole o la cancellazione delle schede flash.

Infine ci chiediamo quale sito di quotidiano italiano avrebbe ospitato con altrettanto risalto una analoga inchiesta video fatta dai fotogiornalisti italiani.

(Ringraziamo il collega Fausto Giaccone per lla segnalazione dell'articolo e del video "Stand your ground")