Libera universita' di lingue e comunicazione

Facoltà di Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo

Corso di Laurea Specialistica in Giornalismo, Editoria e Comunicazione Multimediale

A.A. 2003-2004

GUARDARE L’IRAQ: LA STAMPA ITALIANA E IL CONFLITTO, DALLA SEMIOTICA DELLA PRIMA PAGINA ALLE IMMAGINI-EMBLEMA


Indice

  • Francesca Micheletti
  • GUARDARE L’IRAQ: LA STAMPA ITALIANA E IL CONFLITTO, DALLA SEMIOTICA DELLA PRIMA PAGINA ALLE IMMAGINI-EMBLEMA

Indice

Premessa
Un’icona della sofferenza umana

Introduzione…………………………………………………………VII

PRESENTAZIONE

I. Il metodo: tra semiotica e sociosemiotica….....…p.1
II. Il corpus: perché i quotidiani?
III. Perché la prima pagina?
IV. La fotografia di cronaca
V. Icona, indice, simbolo: la terminologia
VI. La denominazione: immagini-emblema

PARTE PRIMA: LA SEMIOTICA DELLA PRIMA PAGINA

1. La costruzione del discorso di testata attraverso il dispositivo fotografico…..................................................................…p. 11

1.0. L’osservazione
1.0.1 Un diario mediatico
1.0.2. Quotidiani italiani
1.0.3. Quotidiani esteri
1.0.4 I telegiornali
1.0.5 Le “immagini del giorno”
1.1 Il formato: classico o tabloid…………………………………………p.14
1.2 La distribuzione degli spazi nella pagina
1.3 L’estetica di testata
1.4 Spazi fissi e variabili
1.4.1 Il manifesto
1.4.2 Il Giornale
1.4.3 Libero
1.4.4 La Repubblica e il Corriere della sera

2. Una mappa dei contratti di lettura……………………………………p. 24

2.1 La testata come brand

3. La fotografia di cronaca nella stampa italiana: linee, figure, temi e valori .p. 27

3.1 La fotografia di cronaca
3.2 Elementi plastici
3.3 Il bagaglio figurativo: l’ “iconografia della sofferenza”
3.4 Icone cristiane
3.5 Temporalizzazione e spazializzazione
3.6 Patemizzazione
3.7 Livello metacomunicativo: i credits fotografici

4. Le tipologie……………………………………………………………p. 34

4.1 Tre categorie di referenti
4.2 Foto notizie, foto topic e foto evocative
4.3 I luoghi comuni della fotografia

5. Sequestri ed esecuzioni: le immagini dal 20 settembre al 3 ottobre 2004……............................................................p. 37

5.1 Le “due Simone”
5. 2 La liberazione e le polemiche
5.3 Esecuzioni e filmati terroristici
5.4 Le polemiche sulle immagini: mostrare o non mostrare?

6. Le due Simone………………………………………………………p. 44

6.1 Una interessante dicotomia
6.2 I fotogrammi della liberazione
6.3 Un ritratto
6.4 Livello verbale: i titoli
6.5 Temi: la festa e il pericolo
6.6 Le strategie
6.7 Completezza informativa ed evocatività
6.8 C’è un’immagine-emblema?
6.9 I retroscena

7. La narrazione di un sequestro: fra incertezza e speranza..p. 58

7.1 Una narrazione in assenza
7.2 I volti
7.3 Metonimia e metafora

8. L’esecuzione degli ostaggi occidentali: una messa in scena accuratamente studiata………………………........................…p. 66

8.1 Il Corriere
8.2 La messa in scena: il motivo, la reiterazione, la simbologia islamica
8.3 L’enunciatore delegato
8.5 Informatore e osservatore
8.6 Esibizione e riserbo: una doppia strategia
8.7 Temi e figure
8.8 La metafora della vendetta
8.9 Lo sguardo dell’ostaggio: un impedimento della visione
8.10 Notizia potenziale e terminativa
8.11 Un micro-racconto condensato di simboli

8/I. Gli altri quotidiani………………………………………………………………p. 77

8.I.1 La Repubblica
8.I 2 Il Giornale
8.I .3 Il manifesto
8.I.4 Alcuni morfemi iconici
8.I 5 L’immagine-emblema è quella del Corriere


9. Media e terrorismo: il potere delle immagini………………………p. 85

9.1 La scenografia del terrore
9.2 Un rito
9.3 Qualche opinione
9.4 Da ubriacone a re del terrore
9.5 Tornando alla semiotica
9.7 Violenza visiva e voyeurismo: Il Foglio
9.8 Pornografia di guerra


PARTE SECONDA: VERSO LE IMMAGINI-EMBLEMA

10. La circolazione delle immagini…………………………………………p. 93

10.1 La ripetizione
10.2 Nassiriya
10.3 Notiziabilità e importanza del referente
10.4 Una scelta condivisa
10.5 Immagini “autonome”
10.6 Lo statuto
10. 7 Il fattore temporale e la luce
10. 8 Immobilizzazione: gli annuari
10.9 Il World press Photo: una giuria internazionale per le immagini-emblema

Approfondimento: l’etimologia di “emblema”

11. Padre e figlio: uno stilema……………………………………………p. 105

11.1 Livello plastico e figurativo
11.2 Temi e valori
i. Pubblico e privato
ii. Vita e morte
iii. Fuga e solitudine
11.3 Titoli e didascalie
11.4 Una buona fotografia
11.4 Il fattore spaziale: la nazionalità delle immagini-emblema
11.5 Di nuovo padre e figlio


PARTE TERZA: L’IMMAGINE IN REDAZIONE

12. L’immagine in redazione……………………………………………p. 117

12.1 Una verifica “sul campo”
12.2 Il redattore iconografico
12.5 I criteri “americani”: l’immagine a colazione
12.3 PeaceReporter
12.4 Avvenire
12.4 Il manifesto
12.6 Dalla parte dell’obiettivo: i fotoreporter

CONCLUSIONI


13. Abu ghraib……………………………………………………………p. 133

13.1 Abu Ghraib, aprile 2004
13.2 Un’immagine allusiva
13.3 La violenza enunciativa
13.4 La circolazione intertestuale dell’immagine: vignette, manifesti, citazioni
14.Conclusioni………………………………………………………… p. 143
14.1 Il type
14.2 Considerazioni finali
14.3 Sviluppi futuri
Congedo
APPENDICI
A. I: Diario di un fotoreporter………………………………………i
A. II: L’altra faccia della medaglia………………………………v
BIBLIOGRAFIA…………………………………………………………p. 148

Introduzione

  • Francesca Micheletti
  • GUARDARE L’IRAQ: LA STAMPA ITALIANA E IL CONFLITTO, DALLA SEMIOTICA DELLA PRIMA PAGINA ALLE IMMAGINI-EMBLEMA

Introduzione

Dall’Iraq alle immagini-emblema

E’ probabile che durante l’invasione dell’Iraq, dal marzo al maggio del 2003, sia stato prodotto il più alto numero di immagini – in televisione, fotografie, su Internet – che in ogni altro periodo analogo della storia. Lo sviluppo della tecnologia fotografica e di trasmissione, unito a nuove pratiche giornalistiche come il fenomeno dei reporter embedded, permettono che il flusso di immagini provenienti dallo scenario iracheno sia intenso e costante. Ogni giorno le redazioni di giornali, tv e altri media hanno a disposizione un quantitativo enorme di materiale visivo, che essi utilizzano per “illustrare” i loro servizi di informazione, con una consapevolezza a volte solo intuita delle potenzialità delle immagini fotografiche.
Qualsiasi spettatore minimamente mediatizzato avrà di certo in mente l’immagine cui fa riferimento il brano di A.S. Widding riportato in apertura. Quel “fantoccio” nero, il detenuto iracheno sospeso fra i cavi elettrici, è l’immagine in assoluto più citata per indicare lo scandalo delle torture di Abu Ghraib, esploso nell’aprile del 2004. L’abbondanza degli scatti operati dai marines nel “carcere delle torture” durante il famigerato inverno del 2003 non ha fatto altro che crescere di giorno in giorno dopo la rivelazione iniziale, ma la fotografia che si è imposta tra tutte è stata solo una. Quella fotografia è Abu Ghraib. Perché? Perché proprio quella e non, ad esempio, le centinaia di altre sicuramente più informative e dettagliate?
È da questo “mistero” che nasce l’idea della nostra ricerca. Come mai certi scatti sembrano stagliarsi al di sopra degli altri, e rimangono a lungo nella memoria collettiva? Dove stanno la potenza, la pregnanza, l’incisività di un’immagine di cronaca?

Il nostro oggetto di studio sarà dunque la fotografia di guerra. Ma non prenderemo direttamente in esame gli “scatti d’autore”, così sovente raccolti in preziose pubblicazioni e premiati con mostre e concorsi come il World Press Photo. Partiremo invece dalle fotografie che tutti i giorni compaiono su un supporto artisticamente umile, quello della stampa quotidiana. La durata della maggior parte di queste immagini non supera le ventiquattro ore, prima che la carta ruvida che fa loro da supporto diventi spazzatura. Altre invece, superano i confini della giornata, dell’anno e del decennio, e si preparano ad entrare nella storia, come è accaduto ad esempio con Abu Ghraib. O, per citare altri esempi del recente Iraq, al fotogramma dell’attacco a Baghdad, o all’immagine del crollo della statua di Saddam Hussein, simbolo potente quanto ormai stereotipato per rappresentare la caduta di un regime.
Scopo della nostra analisi è dunque capire come avviene questa trasformazione, questa elevazione di
status, per cui una fotografia assurge al ruolo di “pietra miliare” nella memoria collettiva di un’epoca. Nella storia del Novecento non mancano gli esempi illustri, più volte celebrati e riportati alla memoria: il ragazzo con il carro armato in piazza Tienamnen, il bimbo nel ghetto di Varsavia, la bambina vietnamita che fugge dal villaggio bombardato al napalm.

Per essi è sovente utilizzato in ambito divulgativo il termine “icona”. Nella prospettiva semiotica, che è quella che abbiamo scelto di adottare, abbiamo preferito utilizzare un vocabolo meno inflazionato ma altrettanto significativo: “emblema”. La scelta è stata compiuta anche per evitare sovrapposizioni con una terminologia specifica in cui icona, indice e simbolo hanno significati ben precisi e non del tutto coincidenti con l’uso comune.

Nel corso del lavoro è emerso con insistenza un interrogativo laterale rispetto al nostro percorso, e tuttavia avvertito come urgenza: qual è il ruolo delle immagini in questa guerra? È davvero diventato, come molti sostengono, così importante da indurre a considerarle un’arma? L’antropologo Marc Augé, e con lui numerosissimi altri studiosi e critici, in una recente intervista ha affermato che “la guerra affidata alle immagini non è nuova. Ed è una vera guerra: alcune immagini combattono contro altre immagini”.
Il problema assume nel nostro caso i contorni specifici dei comunicati
terroristici diffusi via internet, i cui fotogrammi sono stati riportati in prima pagina da tutti i quotidiani, anche nel periodo da noi preso in considerazione. Le scene di esecuzione, con gli ostaggi in tuta arancione che leggono i proclami della jihad islamica, sono ormai parte della routine dell’informazione sull’Iraq, e spingono ad un’analisi attenta e approfondita di questa nuova strategia terroristica, la quale sembra avere nei media e in particolare nelle immagini una delle sue componenti più rilevanti.
In alcuni casi il terrorismo sembra in grado di instaurare un vero e proprio rapporto parassitario con i media, sempre in bilico fra il diritto di cronaca e la volontà di non amplificare intenzioni criminali. Quello che anche i terroristi, ormai divenuti dei veri esperti di media, hanno ormai imparato, è che in molti casi le immagini sembrano avere il potere di formare l’opinione pubblica in maniera ancora più incisiva delle parole, in virtù di alcune caratteristiche proprie del medium fotografico, come universalità, immediatezza e potenzialità simbolica.

La nostra riflessione muove dunque dall’ipotesi che esistano davvero delle immagini che aiutano lo spettatore a fissare nella memoria un particolare evento storico, un’epoca o un personaggio. Immagini dense di significato, altamente simboliche, che abbiamo scelto di chiamare immagini-emblema. Identificarle con un minimo di oggettività, come vedremo, è molto difficile, anche perché non è possibile prescindere dalla contingenza della loro diffusione e dall’evento storico che le ha generate. Il nostro percorso si compierà dunque scegliendo come oggetto i quotidiani e utilizzando gli strumenti della semiotica testuale di stampo greimasiano, per poi aprire ad elementi di sociosemiotica, in un viaggio che parte dal testo “prima pagina” per approdare alla circolazione dei significanti visivi ben oltre i confini della stampa tradizionale.

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PRESENTAZIONE
Il metodo e il corpus

Non siamo in grado di concepire nulla se non con immagini. Senza di esse non possiamo formulare un’analisi astratta, un ragionamento metafisico. È solo e attraverso le immagini che possiamo usare la nostra memoria. Conviene averlo ben presente al momento dell’adozione del calendario. […]Tenendo conto del dominio delle immagini sull’intelligenza umana, abbiamo perfino cercato di sfruttare gli elementi imitativi inerenti al linguaggio per creare queste parole […].

Rapporto tenuto alla Convenzione Nazionale nella seduta del secondo mese del secondo anno della Repubblica francese in nome della commissione incaricata di redigere il calendario, Parigi, 1791

I

Il metodo: tra semiotica testuale e sociosemiotica

Abbiamo cercato le risposte ai nostri interrogativi utilizzando il metodo di analisi semiotica di stampo greimasiano, unita ad elementi di sociosemiotica. Da un lato, si è resa infatti necessaria un’analisi puramente testuale dell’immagine all’interno del dispositivo “prima pagina”, che ne svelasse i meccanismi di funzionamento e gli effetti di senso derivanti dall’impaginazione. D’altro canto, ci siamo resi conto in un secondo momento che non era possibile prescindere da alcune considerazioni riguardo alla circolazione delle immagini nel contesto socioculturale in cui si insediano, e alle pratiche di fruizione che ne determinano lo statuto finale. Il nostro percorso, partito dal testo, è dunque giunto a considerare alcuni aspetti riguardanti la sua circolazione all’interno di una rete di testi, e infine di una cultura.

La prima parte del lavoro è dedicata ad un’analisi plastica e figurativa delle fotografie che compaiono sulla stampa italiana: linee, colori, spazi di impaginazione, bagaglio figurativo, retorica. Emergono in questa fase le differenti strategie discorsive di cui ciascun quotidiano è portatore. Viene evidenziato in particolare il legame fra l’utilizzo dell’immagine e il perseguimento di determinati effetti espressivi a lungo termine (discorso della testata).
Nella seconda parte si cercano di delineare gli elementi di universalità di alcune immagini. A fronte dei casi un cui un’immagine viene ripetuta e citata con grande frequenza, si cerca di scoprire quali siano le proprietà che le permettono di mantenere il suo nocciolo di significazione resistendo alle deformazioni enunciazionali dei vari contesti in cui è citata.
L’analisi si estende dunque alle modalità di circolazione intertestuale dell’immagine, con l’introduzione del concetto sociosemiotico di statuto. La resistenza a diversi contesti enunciazionali è posta come una delle condizioni di “emblematicità”.
Giungiamo in conclusione a delineare una tipologia (type) di immagini, che abbiamo scelto di denominare immagini-emblema. I criteri di individuazione di tali immagini, applicabili a livello generale, si concentrano poi sullo specifico nucleo tematico di partenza, l’Iraq.

II
Il corpus: perché i quotidiani?

Da più di un anno lo scenario iracheno occupa una posizione di assoluto predominio nei media di informazione italiani e internazionali. La sua notiziabilità, per utilizzare un termine giornalistico, rimane alta: La nostra riflessione si sviluppa scegliendo come corpus di riferimento le prime pagine dei principali quotidiani italiani, nel periodo circoscritto di due settimane (settembre-ottobre 2004). Il campione che utilizziamo è scelto in maniera casuale nell’arco temporale del dopoguerra iracheno. Fulcro dell’analisi sono le immagini fotografiche “di copertina”.
L’analisi sceglie dunque una forma di testo sincretico, che utilizza due codici (verbale e visivo) in maniera a volte complementare, a volte parallela. Partendo dalla ricerca degli effetti di senso complessivi, scenderemo in un secondo momento a scomporre il testo nelle due componenti costitutive, per concentrarci finalmente sull’immagine fotografica nelle sue modalità di circolazione indipendente.

i. Immagini fisse

Per scoprire come le immagini si instaurano nella memoria individuale e soprattutto collettiva, e come funzionano, avevamo bisogno di fotografie. Fotografie di attualità, che vantassero una diffusione di massa e fossero in qualche modo connotate come “importanti” nell’agenda tematica della giornata. Per questo la scelta è ricaduta sulle fotografie di quotidiano, e in particolare su quelle contenute nella prima pagina.

Uno dei presupposti che hanno guidato la scelta del corpus è stato infatti quello che le immagini fisse si prestino maggiormente ad essere ricordate rispetto a quelle in movimento. Nell’incessante flusso televisivo l’occhio vede milioni di immagini, ma solo pochi fotogrammi rimangono impressi nella memoria dello spettatore. Un concetto ben espresso da Susan Sontag [2003], che afferma: “la memoria ricorre al fermo immagine. La sua unità di base è l’immagine singola. In un’epoca di sovraccarico di informazioni, le fotografie forniscono un modo rapido per apprendere e una forma compatta per memorizzare”.

ii. Semplicità e autorevolezza

Abbiamo scelto i quotidiani anche per una questione di semplicità. In un panorama mediatico sempre più variegato e dispersivo, di cui ormai anche internet fa parte a pieno titolo, abbiamo individuato la stampa quotidiana come un “punto fisso”, in virtù della sua tradizione e del ruolo che le viene riconosciuto all’interno della società e dello stesso sistema dei media. Ancora oggi i quotidiani sono visti come il mezzo di informazione più autorevole , anche se da tempo non il più diffuso. Se consideriamo il rapporto che essi intrattengono con il medium che vanta il primato di diffusione, la televisione, possiamo constatare il ruolo di legittimazione che ancora oggi i quotidiani ricoprono nei confronti dei contenuti che passano sul piccolo schermo [Violi 2004].
Abbiamo in sostanza formulato l’ipotesi che il quotidiano, e ancora di più la sua prima pagina, abbia l’autorevolezza e la capacità riconosciuta di “fissare” l’immagine più importante del giorno, sottraendola all’incessante flusso televisivo delle immagini in movimento.
A sostegno della nostra ipotesi ricordiamo un quadro estremamente generico delle modalità di fruizione di un quotidiano e del contratto di lettura che esso instaura con il suo pubblico: in generale i quotidiani sono portatori riconosciuti di una certa dose di autorevolezza e di competenza. In essi è inscritto un sapere, che si articola, secondo sfumature diverse a seconda della testata, in un voler informare, e in un poter informare. Sul lato del pubblico si verifica un generale voler essere informati e un’iscrizione di fiducia nell’oggetto informatore.
Vedremo con precisione più avanti come queste modalità si declinino secondo varie sfumature a seconda del tipo di quotidiano considerato. Accontentiamoci per ora di questa macro-definizione, sufficiente a spiegare i motivi della nostra scelta.


III
Perché la prima pagina?

Un testo è decomponibile praticamente all’infinito. Una volta scelto un testo composito come un quotidiano, è possibile scomporlo in ulteriori porzioni, o “sotto-testi”: pagine, articoli, fotografie, unità minime di informazione. Isolando la prima pagina, abbiamo voluto focalizzare una sezione che reca proprietà in parte diverse dalle altre: la “copertina” ha il ruolo di presentare in maniera immediata l’identità di un quotidiano, ricorrendo perciò più di ogni altra all’elemento visivo. E’ facile supporre che la cura per l’immagine di prima pagina sarà elevata rispetto alle pagine interne, visto il suo ruolo anche pubblicitario di comunicare al pubblico un’identità e una posizione rispetto al mondo.
Troviamo un riscontro in quanto scrive Mario Garcìa, studioso di media e designer dei più importanti quotidiani statunitensi:

“Indiscutibilmente i lettori non dedicano più di dieci secondi alla prima pagina di un giornale. Le prime pagine dei giornali non sono oggetti da studiare, sono degli stimoli ai quali reagire. Sfortunatamente questo tempo si è ulteriormente accorciato negli ultimi anni. Per superare il “test dell’edicola” o “del tavolino da bar”, una prima pagina di quotidiano deve essere dotata di un forte impatto visivo e il 99 per cento delle volte questo poggia sull’uso di una buona fotografia. […]Niente, ripeto niente, può essere efficace come una foto per farci reagire da un punto di vista emotivo”
(da www.poynter.org , sito statunitense di studi sul giornalismo)
Da queste parole si deduce facilmente che la prima pagina è la porzione del quotidiano dove l’attenzione all’elemento visivo è esasperata. E’ qui che abbiamo maggior probabilità di trovare una “buona fotografia”, un’immagine di qualità, particolarmente accattivante e significativa.
Nella pratica di fruizione che caratterizza il quotidiano, la prima pagina assume un ruolo particolare, in parte diverso da quello di tutte le altre pagine: essa ha il doppio compito di presentare l’identità della testata, rendendola riconoscibile in mezzo alle altre, e insieme di presentare gli eventi del giorno, assolvendo così la funzione di agenda setting.
Questo termine indica uno degli effetti a lungo termine più studiati nei media di informazione, e consiste nella capacità di isolare alcuni temi di riflessione e dibattito rispetto alla massa indistinta dei fatti quotidiani, concentrando l’attenzione del pubblico esclusivamente su di essi. Nel nostro caso, abbiamo potuto osservare che ai primi posti dell’agenda di ogni giorno si collocano spesso le vicende irachene. L’effetto dell’insistenza dei media su questo tema è di spingere in cima alla priorità del lettore il dopoguerra in Iraq, come se non esistesse al momento argomento più importante su cui riflettere e formarsi delle opinioni.
Nella prima pagina si mescoleranno perciò elementi legati al marketing, alla pubblicità, alla retorica dell’immagine, con elementi più strettamente legati alla cronaca, alla narrazione dei fatti quotidiani.
In conclusione la prima pagina si trova all’incrocio di varie esigenze enunciative e ricopre diverse funzioni di rilievo nel panorama informativo quotidiano: selezionare gli avvenimenti della giornata, posizionarli (tramite l’impaginazione) secondo una gerarchia significativa, illustrarli (visivamente) a dovere badando nel contempo a catturare l’occhio del potenziale lettore in edicola tramite espedienti estetici e retorici.

IV
La fotografia di cronaca

i. Semiotica della fotografia e semiotica dei media

Lo studio delle immagini fotografiche riportate sulle pagine di un quotidiano combina inevitabilmente due ambiti di applicazione della semiotica testuale. L’oggetto del nostro studio non è infatti la fotografia tout court, ma la fotografia all’interno dello specifico discorso giornalistico.
Questo spiega la necessità di integrare l’analisi semiotica plastica e figurativa con un approccio sociosemiotico che renda conto della circolazione e delle pratiche di produzione e fruizione dell’immagine.

ii. La fotografia in semiotica: messaggio connotato o analogico perfetto?

Ricco è il dibattito riguardo alle proprietà semiotiche della fotografia, in particolare riguardo allo suo statuto ontologico e alla sua costituzione o meno in linguaggio. Linguaggio a sé stante o riproduzione speculare della realtà, “analogico perfetto” come scrive Roland Barthes [1980] o solamente icona, secondo la tripartizione di Peirce [1931-58]. Queste alcune delle questioni riguardo alle quali tuttora gli studiosi, semiologi e non, discutono.
C’è chi, come René Lindekens, ha tentato di considerare la fotografia come un vero e proprio linguaggio composto di tratti pertinenti paragonabili ai morfemi della lingua parlata. Tra gli esempi di “morfemi iconici” che lo studioso belga ha fornito vi sono le categorie significanti di sfumato/contrastato, oppure chiaro/scuro. Anche noi tenteremo di delineare alcuni tratti pertinenti riguardo al genere della fotografia di cronaca: elementi del linguaggio visivo che possono essere leggibili e decifrabili come lettere dell’alfabeto o sillabe. A livello figurativo ricercheremo invece gli stilemi e le forme ricorrenti.

iii. Cronaca e reportage: una distinzione

Le fotografie del nostro corpus rientrano in un genere ben preciso, quello della fotografia di cronaca: genere la cui definizione verrà meglio definita, specificata, e arricchita nel corso di tutto il lavoro. Una distinzione preliminare si rende tuttavia necessaria per isolare la fotografia che ci interessa da altri generi più o meno confinanti, in particolare la fotografia di reportage e quella “artistica”.
Una prima differenza si riscontra a livello di diffusione: considerando il particolare tipo di supporto comunicativo su cui lavoriamo (il quotidiano) si presume che le fotografie di cronaca vantino una diffusione più propriamente di massa rispetto a quelle di reportage, che raggiungono un pubblico più selezionato. Luogo del reportage sono infatti i periodici più o meno di nicchia, le riviste illustrate, spesso patinate e connotate di preziosità e ricercatezza. Il reportage, per isolare in breve alcune proprietà rilevanti, reca una marca molto forte di autorialità: esso costituisce esplicitamente lo sguardo del fotografo che ne è autore, il cui nome viene sempre specificato e spesso enfatizzato. Le fotografie di reportage sono spesso connotate di soggettività, in esse la retorica dell’immagine è utilizzata per ottenere determinati effetti che propongono uno sguardo preciso sul mondo. In alcuni casi i reportage acquisiscono un vero e proprio statuto artistico, quando recano proprietà estetiche degne di nota.
Anche se il confine può essere labile, non è in genere così per le “umili” fotografie di cronaca, connotate innanzitutto dalla loro appartenenza ad un supporto comunicativo materialmente “povero”, effimero, come la carta di giornale. Scopo della fotografia di cronaca è mostrare al pubblico gli eventi della giornata, più spesso riempire i “buchi” visivi tra un articolo e l’altro, fungendo da semplici illustrazioni all’interno di un regime discorsivo sincretico, in cui è ancora la parola a fare da padrona. Il loro primo scopo non è essere “belle”, ma è più spesso “colpire” o “illustrare”. Sempre meno spesso, come avremo modo di osservare, è “informare”.
La fotografia di cronaca ricalca dunque un genere “medio”, che non ha spazio per la ricercatezza espressiva e deve essere invece improntato all’obiettività, all’istantanea, al “cogliere l’attimo”. Non dimentichiamo poi che il supporto dell’immagine di cronaca le consente di essere in cima alla classifiche di diffusione: se vogliamo trovare quale è l’immagine più diffusa in una giornata o anche in un determinato periodo, è alla fotografia di cronaca che ci dobbiamo riferire. Anche in virtù del rapporto sempre più stretto che di recente lega televisione e stampa, che fa sì che spesso i quotidiani ripropongano le immagini della tv, amplificando ulteriormente la loro diffusione.
Solo qualche cenno infine alla fotografia “artistica”, per dire che si tratta di un genere libero di sfruttare al massimo le potenzialità espressive del medium: libero da vincoli di obiettività e informatività, libero dall’enfatizzare a tutti i costi le proprietà indicali della fotografia, che la rendono innanzitutto documento e testimonianza di un “esserci stato”.

Le distinzioni appena compiute non vogliono essere rigide né screditare l’ottimo lavoro e la qualità di alcuni scatti “d’agenzia” che potrebbero benissimo essere di “reportage”. Il confine fra cronaca e reportage, così come l’abbiamo inteso noi, è sottile, e spesso risiede esclusivamente nello statuto di circolazione dell’immagine. Molti sono infatti i casi in cui fotografie di cronaca, inserite in determinati contesti di furizione, assumono le vesti del reportage, e raggiungono statuti di artisticità. D’altronde nel nostro stesso corpus avremo modo di incontrare esempi di scatti di ottima qualità, nonostante siano stato concepiti per la “carta di giornale”.

Per inquadrare meglio l’argomento, citiamo di seguito alcune definizioni della fotografia di cronaca date da studiosi che prima di noi ne hanno fatto oggetto di studio.
Per Barthes [‘94], la foto di cronaca è quella che più di ogni altra è epurata da eventuali utilizzi linguistici del mezzo, perciò quella che più di ogni altra assomiglia al suo referente, arrivando ad essere definibile (discutibilmente) un “messaggio senza codice”. Scrive in “Miti d’oggi”“Le sole fotografie-choc della mostra sono per l’appunto le fotografie di agenzia, in cui il fatto ripreso esplode nella sua ostinazione, nella sua letteralità, nell’evidenza stessa della sua ottusa natura. La naturalezza di queste immagini obbliga lo spettatore ad un’interrogazione violenta […] senza essere intralciato dalla presenza demiurgica del fotografo.
Claudio Marra [2001] segna un netto spartiacque fra fotografia “artistica” e “di cronaca”, affermando che dovremmo riconoscere alla seconda “il primato di una qualche finalità pratica rispetto alla cosiddetta inutilità dell’arte”. Finalità che si specifica in primo luogo come testimonianza del tempo presente.
Susan Sontag [2003], più efficacemente, afferma che le fotografie di cronaca “scelgono di volare basso, dal punto di vista artistico[…] pertanto tali fotografie vengono considerate meno manipolatorie e meno suscettibili di provocare una facile compassione o identificazione”. Anche se non possiamo dimenticare che certe testate, come ad esempio il manifesto, tendono a sfruttare la retorica dell’immagine e a enfatizzare le potenzialità espressive del mezzo, allontanandosi anche in maniera rilevante dal genere di “pura” cronaca.

V
Icona, indice, simbolo: la terminologia

In questa sede torna opportuno definire chiaramente l’utilizzo di alcuni termini, frutto di una scelta interpretativa a priori riguardo a certe questioni ancora al centro del dibattito. E’ bene chiarire l’utilizzo dei termini icona, indice e simbolo. Parole che in ambito divulgativo vengono utilizzate impropriamente o come sinonimi, mentre in semiotica indicano fenomeni ben distinti, come insegna Peirce .
Un’icona è un segno che rinvia al proprio oggetto di riferimento mediante una sorta di similarità, condividendone alcuni tratti. Risulta insomma una semplificazione rispetto alla complessità del reale. Un indice rinvia al proprio oggetto per contiguità. Banalmente possiamo citare l’esempio del fumo per il fuoco, ma anche la fotografia è portatrice di proprietà indicali. Essa intrattiene infatti un rapporto di causa-effetto col proprio referente, che le conferisce lo status di testimonianza, accrescendo uno degli effetti più importanti per la cronaca che è quello di presenza.
Infine il simbolo è un segno collegato con il suo oggetto di riferimento mediante una relazione convenzionale e arbitraria. In certi casi il simbolo è un segno il cui piano dell'espressione e quello del contenuto hanno la stessa suddivisione (ad esempio i colori del semaforo sono tre, e tre sono i significati corrispondenti). Per alcuni è un'associazione stabile fra due segni, in modo che il referente del primo è estraneo al secondo (es. una macchina costosa simboleggia uno status sociale, estraneo al segno automobile).

Altri termini spesso abusati sono iconografia e iconologia. La prima organizza i temi contenuti in un’opera, la seconda riguarda il significato intrinseco o contenuto [Volli; ‘94], i valori in essa inscritti. Se parliamo, come Sontag, di un’ “iconografia della sofferenza”, stiamo indicando le varie figure iconiche (un padre con un bambino morente in braccio, un soldato ferito) che compongono l’universo figurativo “guerra”. Se parliamo di “iconologia” ci riferiamo ad un livello più profondo, quello dei rimandi alla sfera dei valori messi in gioco dal conflitto bellico: ad esempio bene/male, giustizia/ingiustizia, sopraffazione/debolezza/innocenza. A questo livello possiamo poi parlare di investimento assiologico delle polarità tramite modalità euforiche o disforiche.


i. Le radici cristiane dell’icona: la tradizione iconografica

Prenderemo anche in considerazione ad un altro significato del termine “icona”: quello che si riferisce agli antichi dipinti sacri della religione cristiana. Un elemento cui faremo spesso riferimento per giustificare la potenza di alcune immagini sono gli stilemi della religione cristiana, dalla Pietà alla Crocifissione. Un’associazione già ampiamente sfruttata (si veda ad esempio Sontag; 2003, p.70), che nasce anche dalla constatazione del ruolo didascalico delle immagini-emblema, paragonabile ai loro “precedenti figurativi” in ambito ecclesiastico. Ruolo che ha sicuramente portato nel passato alla ricerca di forme espressive pregnanti che costituiscono oggi il nostro bagaglio figurativo, e continuano ad organizzare alcune modalità di lettura dell’immagine.
Alcuni elementi figurativi che caratterizzano la tradizione iconografica occidentale ancora oggi dominano il sostrato della nostra cultura visiva, fungendo da vere e proprie “linee guida” nella lettura delle immagini. Una considerazione da tenere ben presente nel rintracciare immagini emblematiche, che ci aiuterà a comprendere quali siano gli elementi figurativi potenzialmente “forti” e incisivi.

VI
La denominazione: immagini-emblema

Abbiamo già accennato come in ambito divulgativo le immagini particolarmente significative vengano spesso definite “icone” oppure “immagini-simbolo”. Per non creare confusione sceglieremo una terminologia tutta nostra per indicare queste immagini, che chiameremo immagini-emblema. Il loro statuto e l’etimologia del termine “emblema” verranno chiariti nella Seconda Parte del nostro lavoro (cfr. cap. 10).

Conclusioni

  • Francesca Micheletti
  • GUARDARE L’IRAQ: LA STAMPA ITALIANA E IL CONFLITTO, DALLA SEMIOTICA DELLA PRIMA PAGINA ALLE IMMAGINI-EMBLEMA

CONCLUSIONI


Raffigurare un male, rappresentare un pericolo, simboleggiare un’angoscia, significa già, attraverso il dominio del cogito, dominare tutto ciò .

14.1 Il type

Come un raggio luminoso che si genera in un punto e poi circola e si spande, così abbiamo assistito alla trasformazione dello statuto di alcune immagini: da documentario, nella cronaca di tutti i giorni, fino ad emblematico, fissato nella memoria collettiva. Al termine di questo percorso non possiamo che vedere le immagini-emblema come il prodotto di una serie di fattori: testuali, intertestuali ed extratestuali. Che riguardano cioè sia il testo fotografico nelle sue componenti plastiche e figurative, sia nel suo regime interdiscorsivo, sia infine la sua circolazione all’interno di una rete di testi.
Prima di creare una tabella che illustri type che cercavamo, sintetizziamo in dieci punti il percorso compiuto:

1) Siamo partiti da un genere e da un tema: fotografia di cronaca, guerra in Iraq
2) Abbiamo analizzato il suo funzionamento all’interno del discorso giornalistico, prendendo in esame le prime pagine della stampa quotidiana
3) Abbiamo confrontato diverse testate rintracciando le relative strategie enunciative, attraverso le modalità di rappresentazione visiva delle notizie sull’Iraq
4) Abbiamo tratto delle conclusioni sui meccanismi di funzionamento dell’immagine in prima pagina
5) Ci siamo chiesti quali fossero le immagini “più importanti”, emblematiche tra quelle esaminate
6) Ci siamo dati delle risposte in base al testo: proprietà estetiche, simmetria della composizione, potere evocativo.
7) Non soddisfatti, abbiamo trovato qualche esempio che ci è parso illuminante: la ripetizione di un’immagine su più testate
8) Abbiamo imboccato la pista sociosemiotica, introducendo la variabile della diffusione e delle modalità di circolazione delle immagini
9) Abbiamo definito le immagini-emblema in base al loro statuto di circolazione
10) Abbiamo delineato il type che ricercavamo all’inizio

Qualità, genere, referente, circolazione, casualità. Ecco in conclusione i cinque fattori chiave, che intersecandosi in misura variabile contribuiscono a definire una immagine emblema:

¯ PROPRIETA’ ESTETICHE testuali (“qualità”): valorizzazione della qualità percettiva del testo fotografico nell’organizzazione della superficie espressiva, a livello plastico e figurativo; densità semantica, polisemia, capacità di evocare contenuti universali, efficacia comunicativa;

¯ STATUTO di provenienza: documentario; genere cronaca; attestato dalla sua inserzione in dispositivo testuale “stampa quotidiana”

¯ Valenza EXTRATESTUALE: importanza e notiziabilità del referente rispetto ad una data cultura in un determinato periodo storico. In parte costruita dallo stesso ruolo di agenda setter dei media principali.

¯ CIRCOLAZIONE E DIFFUSIONE: resistenza alle deformazioni enunciazionali della singola testata (autonomia), circolazione a livello intertestuale, ripetizione, citazione ed eventualmente inserzione in dispositivi di fruizione specifici. Acquisizione “ufficiale” dello statuto di circolazione di immagine-emblema, a volte performativamente attribuito tramite l’inserzione in un luogo istituzionale (annuario, raccolta, mostra).

¯ Ai fattori precedenti si aggiunge una certa dose di CONTINGENZA, di casualità dovuta al processo produttivo dei dispositivi di cui sopra

14.2 Considerazioni finali

Le immagini emblema sono tali per la società che le guarda. Sembra essere l’affermazione più adeguata per chiudere questo lavoro, nel corso del quale abbiamo riscontrato la necessità di un’apertura dell’analisi tradizionale del testo alle sue modalità di circolazione all’interno di una cultura (che poi non è altro che una rete di testi).
Oltre alla delineazione del type che ricercavamo sin dall’inizio, il percorso ha aperto numerose questioni interessanti riguardanti le immagini di guerra e la pratica giornalistica ad esse connessa. Alcune sono state solo accennate, di altre non abbiamo saputo resistere al richiamo e le abbiamo approfondite. Abbiamo dedicato un capitolo al rapporto che lega media, immagini e terrorismo, visto come utilizzo delle potenzialità di violenza pragmatica del video. Abbiamo accennato alle potenzialità di un’analisi semiotica per “smontare” quelli che sono i grandi ispiratori delle più recenti teorie del complotto: l’autenticità del video delle due Simone, ad esempio, o alcuni filmati terroristici.
Si è sempre tuttavia mantenuta ferma la volontà di non allontanarsi troppo dallo scopo principale, che era capire quali sono e come funzionano le immagini-emblema.
Colpiti dai celebri scatti che hanno “fatto la storia” abbiamo insomma tentato di rintracciare anche per la nostra epoca significanti visivi di pari valore. Forse si è trattata di un’esigenza di mettere qualche punto fermo, di cercare un ordine nel caotico scenario presente. Come se individuando le immagini-emblema potessimo in qualche modo catalogarlo, riordinare l’esperienza visiva sempre più varia e frammentata che i media generano nello spettatore odierno. Di sicuro si è trattato della volontà di occuparsi di un argomento che si ritiene importante, urgente, mettendo a disposizione i mezzi che si posseggono dopo aver seguito un corso di studi sulla comunicazione di massa.
Dominante rimane la fede nelle possibilità di un’applicazione “pratica” e “attiva” della semiotica, intesa come strumento per decifrare i testi che fanno parte della cultura contemporanea. E svelare in questo modo i significati più complessi e reconditi che possono condurre ad un’interpretazione del presente. Una pretesa tra le altre era quella di fornire anche agli addetti ai lavori un riferimento in più su cui basarsi, una teorizzazione esplicita del mestiere che molti redattori iconografici esercitano da anni seguendo talenti spontanei come il gusto, la sensibilità, l’occhio per la foto-notizia.
In situazioni di conflitto bellico come quella dell’odierno Iraq, le immagini possono avere una funzione didascalica, alfabetizzando, seppur in maniera approssimativa, su ciò che accade in un mondo lontano dallo spettatore. Non è tuttavia altro che un effetto di senso l’impressione che esse abbiano la capacità di riportare ogni cosa ad un dominio razionale: lo spettatore cade nell’illusione di essere lì e vedere ogni episodio, partecipando al “dolore degli altri” , come recita il titolo dell’ultimo libro di Susan Sontag, cui questa ricerca deve molto. Nicholas Mirzoeff la definisce “illusione della trasparenza”. Il giornalista Michele Serra, in un efficace corsivo sull’argomento, la definisce l’illusione di un controllo democratico sulla violenza.
Illusioni, specchi, de-realizzazione : un rischio è credere che tutto ciò che vediamo sia legato al referente non più di quanto un videogioco sia legato ai simulacri che esso dispiega. Semplicemente, perdere il contatto con la realtà e credere che tutto ciò che passa sul video abbia da tempo abbandonato la realtà extratestuale.
Di fronte ad un’esposizione frequente e ripetuta a immagini di guerra è infine alto il rischio di perdere sensibilità, se non per quelle immagini che presentino veramente caratteri di nuovo, rottura e stranezza che sono gli ingredienti principali di ogni immagine-emblema. Abbiamo rimarcato come produrre immagini veramente significative sia paradossalmente più difficile oggi, in epoca di panvisibilità, rispetto al passato, quando gli scatti dal fronte non erano così numerosi. Dalle ultime osservazioni è chiaro una buona fotografia in sé non basta per divenire immagine emblema. Essa può benissimo risultare un elemento illustrativo topicalizzante e mantenere un semplice statuto documentario, seppure con proprietà estetiche notevoli. Elementi inscindibili da un’immagine-emblema, abbiamo ormai imparato, sono le modalità di diffusione e l’extratestualità afferente.

14.3 Sviluppi futuri

Abbiamo già sottolineato come ci siamo più o meno volontariamente collocati in una fase germinale del processo che porta uno scatto a divenire emblema: la sua prima diffusione, paragonabile al punto di una luce che viene accesa. Naturale quindi l’apertura del nostro lavoro ad essere completato e rivisto in una prospettiva diacronica anziché sincronica come quella che abbiamo considerato. Il corpus di analisi da cui siamo partiti era tra i meno articolati e valorizzati esteticamente: erano immagini la cui principale funzione quella di illustrare i fatti di cronaca quotidiana. Ci ha dunque colpiti piacevolmente rintracciare qualche esempio (vedi “padre e figlio a Falluja”) di buona qualità, nonostante la resa visiva appena sufficiente, dovuta al supporto cartaceo.
L’ideale sarebbe a questo punto seguire lo sviluppo della diffusione dell’immagine in un arco temporale assai più esteso, per verificare, all’interno di un determinato sistema, quale sia la sua circolazione.
Il lavoro potrebbe privilegiare la dimensione sociale del testo, utilizzando gli strumenti della sociosemiotica o semiotica delle culture [Basso; 2002], in modo da rendere conto anche delle pratiche e del contesto in cui si inserisce il nostro oggetto d’analisi. Sarebbero in tal caso maggiormente utilizzate categorie di analisi come il gusto, l’apprezzamento, il giudizio del pubblico, che sono rimaste marginali nella nostra analisi, in quanto proprie di un approccio interpretativo.
L’attenzione si sposterebbe poi su dispositivi testuali diversi dalla stampa quotidiana, tipicamente quelli che abbiamo indicato come “dispositivi di immobilizzazione”, ovvero di attribuzione performativa dello statuto: annuari, mostre, lo stesso catalogo dei vincitori del World Press Photo.

Congedo

Giunge poco prima della conclusione di questo lavoro l’ennesimo rapimento, cui si accompagna l’ennesimo video-comunicato terroristico. Cerchiamo di guardarlo con occhi diversi, gli occhi dell’ “analista semiotico”, ma scopriamo che serve a ben poco a smorzare il nostro turbamento. Osserviamo la luce, la spazializzazione e la temporalizzazione, la qualità amatoriale come traccia dell’enunciazione: un’enunciazione malvagia, che reca in sé le modalità dell’odio, che ancora una volta vuole terrorizzare, vuole iper-mostrare, e utilizza proprio l’immagine, il significante visivo, come arma di guerriglia. Il video ci ferisce profondamente anche perché è proprio in quella redazione che ci siamo recati pochi giorni prima dell’accaduto, a chiedere “come fate a scegliere l’immagine di prima pagina?”.
Sono immagini che preferiremmo non ricordare, che si fondono in un unico motivo ricorrente dai volti che finiscono per assomigliarsi, sfigurati dal terrore. Immagini-emblema, sicuramente, un emblema contemporaneo del terrore.

Milano, 17 febbraio 2005

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  • Francesca Micheletti
  • GUARDARE L’IRAQ: LA STAMPA ITALIANA E IL CONFLITTO, DALLA SEMIOTICA DELLA PRIMA PAGINA ALLE IMMAGINI-EMBLEMA

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