UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI BOLOGNA

FACOLTA' DI LETTERE E FILOSOFIA

CORSO DI LAUREA IN Scienze della Comunicazione

A.A. 2000-2001

BLOW UP KOSOVO. IL RUOLO DELLE IMMAGINI NELL’INNESCO DI UNA CRISI INTERNAZIONALE


Indice

  • Chiara De Franco
  • BLOW UP KOSOVO. IL RUOLO DELLE IMMAGINI NELL’INNESCO DI UNA CRISI INTERNAZIONALE

INTRODUZIONE 1

PARTE I
INTERVENTI UMANITARI ARMATI E RUOLO DEI MEDIA 9
1.INTERVENTI UMANITARI 15
1.0 Autodifesa e sicurezza collettiva 15
1.1 Autodifesa 16
1.1.1 LA NATO 17
1.2 Sicurezza collettiva 22
1.2.1 La Santa Alleanza, la Società delle Nazioni e l’ONU 25
1.2.2 Il modello cosmopolitico della Santa Alleanza 31
1.3 Nuovo ordine mondiale e Stabilità egemonica statunitense 33
1.4 Ridefinizione del ruolo della NATO 36
1.5 Interventi umanitari armati 44
1.5.1 Morale internazionale e Jus ad bellum 51
1.5.2 Universalità dei Diritti umani e cosmopolitismo giuridico 56
1.5.3 Ingerenza umanitaria e sovranità statale 61
1.6 Democrazia, Opinione pubblica e ruolo dei media 64
1.6.1 Democrazia 64
1.6.2 Opinione Pubblica 65
1.6.3 Il ruolo dei Media 68

2. IL RUOLO DEI MEDIA 71
2.0 Il quarto potere 74
2.0.1 Far/non far sapere Far/non far vedere 74
2.0.2 Creare 81
2.0.2.1 Pseudo-eventi 83
2.1 News Making 85
2.1.1 Routines Produttive 87
2.1.1.1 Raccolta 88
2.1.1.1.a Fonti 89
2.1.1.1.b Uffici stampa 95
2.1.1.1.c Agenzie di pubbliche relazioni 98
2.1.1.1.d Agenzie 100
2.1.2 Selezione 107
2.1.2.1 Notiziabilità 108
2.1.2.2 I Valori notizia 109
2.1.2.2a Valori sostantivi 111
2.1.2.2b Valori relativi al prodotto 112
2.1.2.2c Valori relativi al mezzo 112
2.1.2.2d Valori relativi al pubblico 113
2.1.2.2e Valori relativi alla concorrenza 114
2.1.3 Presentazione 115
2.2 RaiNews24 117
2.3 L’informazione in tempo di guerra 122
2.3.1 Raccolta 126
2.3.2 Selezione 127
2.3.3 Presentazione 129
2.4 Interventi umanitari armati 130

PARTE II
LE IMMAGINI 133
1. PER UN APPROCCIO SEMIOTICO 139
1.1 Approccio semiotico, critiche, soluzioni 141
1.1.1 Critiche 143
1.1.2 Soluzioni 152
1.2 L’analisi testuale 157
1.3 L’approccio greimasiano 160
1.4 Il noema della fotografia 163
1.5 Testimonianza, documento, memoria 170
1.6 I filmati 173

2. FOTOGIORNALISMO E GUERRA 177
2.1 Un po’ di storia 179
2.2Lo specifico delle immagini giornalistiche 183
2.2.1 Immagini e parole 185
2.3 Il percorso delle immagini 186
2.3.1 Preparazione 187
2.3.2 Realizzazione 192
2.3.3 Commercializzazione 194
2.3.3.1 Agenzie fotografiche 195
2.3.3.2 Agenzie fotografiche in italia 200
2.3.3.3 Agenzie Video 201
2.3.4 Archiviazione 204
2.3.5 Utilizzazione 207
2.4 Immagini in guerra 213
2.4.1 Dalla guerra di crimea alla prima guerra mondiale 214
2.4.2 Guerra civile spagnola, fascismi e seconda guerra mondiale 216
2.4.3 Vietnam 223
2.4.4 Seconda guerra del golfo 225
2.4.5 Timisoara 233
2.4.6 Libano, Somalia, emergenza curda e… 235
2.4.7 … America’s new war 237


PARTE III
IL KOSOVO IMMAGINATO 241
1.L’INTERVENTO UMANITARIO IN KOSOVO 243
1.1 Dal conflitto alla guerra 244
1.2 Episodi salienti 249
1.2.1 Gli antefatti 250
1.2.2 L’escalation mentale: la creazione dell’immagine del nemico 253
1.2.3 Discriminazione e resistenza non violenta 255
1.2.4 Appelli alla comunità mondiale e resistenza violenta. 257
1.2.5 Internazionalizzazione del conflitto: escalation coercitiva 259
1.2.6 La guerra 262
1.3 Giustificazioni del conflitto 265
1.4 Incoerenze 268

2. IMMAGINI DAL KOSOVO 277
2.1 Scelta del campione e metodo d’analisi 277
2.2 Il contesto produttivo 279
2.3 La Repubblica ed il Corriere della Sera: identità di testata ed uso delle immagini 283
2.4 Per una tassonomia delle fotografie 289
2.4.1 La dimensione verbo-visiva 289
2.4.2 Dimensione plastico-figurativa 291
2.5 L’analisi 293
2.6 Sembrare vs. essere 294
2.7 Il Corriere 309
2.7.1 Gli attori 310
2.7.2 Temi e ruoli tematici, attanti e programmi narrativi 311
2.7.2.1 Kosovari albanesi vs. serbi 313
2.7.2.2 Serbia vs. NATO 334
2.7.3 Il livello profondo 343
2.7.4 Conclusioni 343
2.8 La Repubblica 346
2.8.1 Attori 347
2.8.2 Enunciatori 349
2.8.3 Temi e ruoli tematici, attanti e programmi narrativi 353
2.8.3.1 Milosevic vs. kosovari albanesi 354
2.8.3.2 Milosevic vs. NATO 359
2.8.3.3 NATO vs. Serbia 351
2.8.4 Il livello profondo 362
2.8.5 Conclusioni 363


CONCLUSIONI…………………………………………………365
RINGRAZIAMENTI…………………………………………….369

APPENDICE FOTOGRAFICA
BIBLIOGRAFIA

Introduzione

  • Chiara De Franco
  • BLOW UP KOSOVO. IL RUOLO DELLE IMMAGINI NELL’INNESCO DI UNA CRISI INTERNAZIONALE

Non è vergogna che i Teucri e gli Achei schinieri robusti,
per una donna così soffrano a lungo dolori:
terribilmente, a vederla, somiglia alle dee immortali!
(Omero, Iliade, Canto I, versi 156-158)

In un anno imprecisato di un secolo che indizi incerti vorrebbero essere il VI a.c., qualcuno, dopo secoli di trasmissione orale, affidò alla memoria delle tavolette d’argilla il primo racconto di guerra della storia umana.
Questa ricerca non riguarda l’Iliade, né la guerra di Troia. Eppure è da qui che partirò, e non per un mero gusto archeologico, assolutamente fuori luogo rispetto alle finalità di questo lavoro, ma per introdurre l’ipotesi all’origine di tutto ciò che verrò a scrivere. La musa omerica è qui chiamata a testimoniare che con il racconto di una guerra, con la traduzione in segni dei fatti bellici, nasce anche la giustificazione di quei fatti, anzi le giustificazioni, e che esse sono manipolazioni di parte della realtà, costruite come menzogne, elementi di una strategia più ampia.
E’ una suggestione, e non è un artificioso parallelo tra l’epopea omerica e un contemporaneo reportage di guerra, ad essere qui proposta.
Certo Omero non era uno storico, né un giornalista, ma un aedo errante, un affabulatore da banchetto, condizionato dal personale desiderio di affascinare il pubblico piuttosto che dal dovere di raccontargli la verità. Né Omero riferisce di fatti recenti o contemporanei, tanto meno fa propaganda, ma richiama vecchie storie di un mondo ormai mitico in cui non bisognava necessariamente credere. Sappiamo, però, che i poemi omerici furono a lungo usati in Grecia per educare all’eroicità i giovani della classe aristocratica e che nell’educazione i greci vedevano il più alto atto politico.
Ho, così, trovato affascinante il fatto che il più significativo documento di una civiltà di circa tremila anni fa, sia uno straordinario racconto di guerra e che in esso una piccola guerra commerciale sia stata trasformata nell’impresa epica di un esercito guidato da eroi gloriosi, in difesa dell’onore di uno di loro. Una fuga d’amore e la conseguente necessità di rimediare ad essa facendo prevalere il valore della fedeltà e gli obblighi coniugali, diviene così motivo di una guerra tra popoli in pace, almeno sul piano d’azione umano, perché al livello superiore, quello degli infantili dei omerici, sono rancori, invidie e vendette reciproci a condizionare gli eventi.
Ma allora perché stupirsi se oggi, nell’era della comunicazione globale in cui informazione e fiction si fondono, le motivazioni concrete delle guerre sono nascoste da cause idealistiche esposte e abilmente imposte alla pubblica opinione?
Già, perché stupirsi. Forse proprio perché si parla di processi in atto in paesi democratici, e che colpiscono la pubblica opinione, ovvero la massa critica su cui la legittimità della democrazia si fonda?
Questa ricerca è nata come indagine sulla più attuale modalità di racconto e di comunicazione delle guerre, quella che sfrutta le immagini, catturate dall’obiettivo di una macchina fotografica o di una cinepresa, con specifico riferimento ai fatti della guerra in Kosovo, ma si è ben presto trasformata, specialmente nella mente della sua autrice, in una più generale riflessione sui processi di informazione e comunicazione delle guerre nei sistemi democratici contemporanei e quindi in una non sempre velata critica a questi ultimi.
Questa ricerca, condotta secondo strumenti propri alla cosiddetta communication research, ma con una vocazione eminentemente politologica, è un tentativo di ricostruire, a partire dal comportamento dei media, le strategie mediatiche messe in atto dagli attori dell’intervento umanitario armato in Kosovo. Si giungerà, così a rileggere il fenomeno dei conflitti umanitari armati secondo un’ottica comunicativa ed a mettere in luce la rilevanza della dimensione comunicativa sulla loro progettazione, a far emergere un vero e proprio nucleo forte di caratteristiche di tali interventi che rendono la componente umanitaria imprescindibile per ogni futura azione militare, anche di natura diversa da quella presa in esame. L’osservazione del ruolo che gli aiuti umanitari stanno avendo anche nell’intervento armato che gli Stati Uniti, insieme all’Inghilterra e con il sostegno di una larga alleanza internazionale extra-NATO, stanno conducendo contro il governo afgano a seguito degli attentati alle Twin Towers ed al Pentagono dell’11 settembre, è un argomento conclusivo a sostegno della mia prospettiva d’analisi.
Il blow up fotografico sarà al tempo stesso il mio strumento d’indagine, in omaggio al film di Antonioni, e la mia chiave di lettura rispetto alle connessioni tra informazione e strategia politico-militare, in ossequio all’intrigante doppio significato del verbo inglese che, riferito alla macchina fotografica, significa “fare zoom” e, riferito ad una crisi internazionale, significa “innescare”.
Nella prima parte, incrociando la riflessione teorica sugli interventi umanitari e gli studi condotti sugli attori dell’informazione (testate giornalistiche, uffici stampa, agenzie stampa) ho cercato di spiegare in che senso i primi siano una risposta alla gestione strategica dell’attività dei secondi. Non mi è dato sapere con che grado di consapevolezza, rispetto a tale situazione, i decisori politici abbiano scelto la forma umanitaria degli interventi armati (la mia idea è che siano partiti da un’osservazione generale del loro probabile effetto emotivo e quindi delle loro potenzialità propagandistiche), ma in ogni caso ho voluto mettere in luce in che modo, a vari livelli, essi si prestino ad essere portati avanti con un largo margine di controllo delle reazioni dell’opinione pubblica.
Nella seconda parte, risolvendo alcune ambiguità presenti nella riflessione semiotica sulla fotografia, e sulle immagini più in generale, con qualche accenno alla teoria gestaltiana della percezione , ho cercato di fissare lo statuto semiotico della fotografia e quindi di individuare le caratteristiche dell’oggetto fotografia, così definito, che si dimostrano importanti ai fini della mia ricerca. Ho così individuato la necessità di procedere ad un’analisi testuale delle fotografie, ma anche l’opportunità di indagarne le condizioni di produzione. Alla luce di tale considerazione ho fatto un passo indietro, a quanto scritto nella prima parte, per descrivere le condizioni di produzione e distribuzione delle fotografie di guerra.
Nella terza parte ho cercato di articolare quanto scritto sino a quel punto per procedere all’analisi del ruolo che le immagini hanno ricoperto nel panorama dell’informazione della guerra in Kosovo e dimostrare che esse hanno contribuito a favorire la versione ufficiale, o meglio anglo-NATO-americana, della guerra.
Più in particolare, nel primo capitolo della prima parte ho descritto le principali caratteristiche degli interventi umanitari armati, cercando di capire quale sia il contesto su cui essi insistono. Ho così innanzitutto precisato che il sistema internazionale è un sistema anarchico e che quindi il problema della sicurezza è centrale per le sue unità, gli stati. Ho poi chiarito la differenza esistente tra autodifesa e sicurezza collettiva e quindi tra il modello di riferimento della NATO, da una parte, e quello dell’ONU dall’altra. Tale precisazione è stata necessaria al fine di comprendere quali sono i limiti del sistema di sicurezza collettiva dell’ONU e di come essi lavorino, al pari delle azioni NATO, alla affermazione di un governo mondiale che sia espressione delle grandi potenze, secondo quello che è stato definito “modello cosmopolitico della Santa Alleanza” . Questa lunga premessa si dimostra necessaria per spiegare in che senso gli interventi umanitari armati sono funzionali ad un più ampio piano strategico il cui obiettivo è la realizzazione di un vertice mondiale con a capo gli USA per la stabilizzazione del sistema internazionale e la conferma dell’egemonia statunitense. Ho, infine, riservato l’ultimo paragrafo alla caratteristica degli interventi umanitari armati che si rivela decisiva ai fini della mia ricerca, cioè il loro eccezionale appeal mediatico che li rende straordinariamente accettabili anche agli occhi dell’opinione pubblica dei paesi democratici, generalmente contraria alla guerra.
Nel secondo capitolo della prima parte ho tentato di indagare il modo in cui i mezzi d’informazione operano la trasformazione degli eventi in notizie. In particolare mi sono concentrata sull’influenza che, sui prodotti d'informazione finali, hanno alcune caratteristiche dei media stessi, a livello di organizzazione interna del lavoro, routine produttive, formati e modalità narrative dei prodotti d'informazione. Questi, infatti, non fanno parte della conoscenza comune, né di quella dei giornalisti, ma ad una attenta analisi si rivelano cruciali in quanto finiscono per favorire o almeno per fare corto circuito con l’uso strategico dei media da parte di governi o altri gruppi di potere ed interesse. All’analisi di tale strategia, che si rivelerà centrale rispetto alla mia ricerca relativa agli interventi umanitari armati ed alla loro componente propagandistica, è dedicato l’ultimo paragrafo del capitolo.
La seconda parte della ricerca è dedicata alle immagini. Così, se nel secondo capitolo della prima parte mi ero soffermata sulle problematiche connesse all’industria massmediatica ed ai testi mediatici in generale, in tempo di pace e in tempo di guerra, nel primo capitolo della seconda parte mi sono concentrata sulla specificità delle immagini intese come testi informativi. Ho cercato, nel primo capitolo, di chiarire in che senso concepisco ogni fotografia e ogni filmato come un testo ed in che senso individuo lo specifico di tali testi nella loro capacità di dar vita a quello che ho chiamato “effetto di realtà”. Per far questo ho tentato innanzitutto di risolvere le divergenze oggi esistenti tra semiologi e fenomenologi circa lo statuto della fotografia ed individuare un percorso che, inserendosi nel solco delle ricerche semiotiche, tenga però in conto tutte le giuste critiche mosse ai lavori esistenti. Una volta assegnata al nostro oggetto una definizione precisa ho potuto poi soffermarmi sulle caratteristiche che di esso tale definizione mette in luce. Ho poi operato, nel secondo capitolo, un’ulteriore specificazione della mia indagine, incentrandola sulle immagini di guerra e sul modo in cui esse entrano nel circolo massmediatico. Ho così preso in considerazione i contesti di produzione, distribuzione e infine di presentazione di fotografie e filmati video tenendo sempre a mente le riflessioni già condotte lungo il Capitolo 2 della prima parte di questo lavoro.
La terza parte della tesi è dedicata all’analisi organica di una parte significativa delle immagini in circolazione durante l’intervento umanitario in Kosovo e che della situazione kosovara hanno cercato di fornire un resoconto. Tale analisi prenderà le mosse da quanto impresso sulle pagine della seconda parte, ma si ripropone di esserne soprattutto una decisiva verifica ed una valida integrazione. Ho pensato di tenere distinte le due sezioni evidentemente non perché vi sia tra esse la scarsa continuità che ha caratterizzato i precedenti capitoli, perché anzi costanti sono stati nella scrittura i feedback tra le due sezioni, e continui i rimandi dall’una all’altra che costringeranno la memoria del lettore a qualche acrobazia, quanto per isolare l’analisi del caso che è un po’ il cuore della ricerca e che necessita di una preliminare analisi storico-politica del conflitto che implica, questa sì, una soluzione di continuità e un salto indietro al primo capitolo della prima parte.

Conclusioni

  • Chiara De Franco
  • BLOW UP KOSOVO. IL RUOLO DELLE IMMAGINI NELL’INNESCO DI UNA CRISI INTERNAZIONALE

Il mio scopo fin qui è stato accumulare dati, opinioni, teorie e prove a sostegno di una ipotesi e, più in generale, di un metodo e di un campo disciplinare.
Dopo aver spiegato quale sia la rilevanza della dimensione comunicativa, e quindi dell’impatto sull’opinione pubblica, nella definizione strategica degli interventi umanitari armati ho cercato di dimostrare come, focalizzarsi su di essa, possa contribuire ad un significativo arricchimento della descrizione di un fenomeno destinato a caratterizzare variamente i conflitti prossimi venturi in cui siano coinvolti la potenza egemone ed i suoi alleati.
Credo di aver dimostrato che gli interventi umanitari armati sono dotati di un eccezionale appeal mediatico e di una straordinaria fotogenia. Credo anche di aver correttamente individuato, nei limiti del racconto massmediatico, nelle sue varie fasi produttive, e nella formidabile attività di news managing messa in atto dagli attori principali, le cause prime del successo nell’opinione pubblica della versione ufficiale delle motivazioni, delle finalità e quindi della legittimità degli interventi.
A tali conclusioni sono arrivata grazie ad un excursus quanto più possibile ricco e preciso tra le teorie relative all’organizzazione ed alle routines produttive dei media, e ad una successiva analisi, meticolosa e fondata sul più rigoroso strumento interpretativo dei testi mass mediatici, e non solo, oggi a disposizione degli analisti, la semiotica greimasiana. Il tutto, ovviamente, inserito nel quadro di una indagine che prende l’avvio ed ha le sue fondamenta su ipotesi eminentemente politologiche.
Lo studio del caso, del modo in cui le immagini, variamente prodotte e diffuse attraverso i due principali quotidiani italiani, hanno contribuito alla affermazione della legittimità dell’intervento ed allo stabilizzarsi di questa nella memoria collettiva italiana mi ha permesso di confermare tutte le ipotesi avanzate nel primo, nel secondo e nel terzo capitolo.
È, infatti, emerso chiaramente che finiscono col circolare soprattutto le immagini in linea con la carica idealista ed etica di tali interventi, che danno forma e sostanza alla drammaticità degli eventi cui essi sono chiamati a rispondere, favorendone una comunicazione largamente in linea con la prospettiva ufficiale, che nel caso dell’intervento in Kosovo equivaleva alla prospettiva anglo-NATO-americana.
Tale situazione si è determinata, in parte, grazie alla diffusione di varie immagini diffuse dall’OSCE e dalla NATO. Si tratta sia di immagini tese a creare la motivazione dell’intervento, quelle relative ai massacri ed alle persecuzioni dei serbi ai danni dei kosovari, sia di immagini volte a proteggere la guerra “giusta” quando in svolgimento, quelle che caratterizzano i “danni collaterali” come “errori inevitabili”, sia di quelle che danno forma visiva alla guerra “intelligente” e super tecnologica.
Anche i media hanno però giocato un ruolo altrettanto importante favorendo la pubblicazione di immagini in linea con il punto di vista istituzionale, per le ragioni che ho provato a spiegare nel capitolo 2 della prima parte. Mi riferisco al diluvio di immagini di profughi in fuga ed in lacrime, di bambini kosovari assunti a simbolo dell’innocenza del loro popolo, di immagini di repertorio relative ad altre fosse comuni, per rimandare a quelle serbe, non visibili, al diluvio di fotografie di profughi ritratti come fossero in campi di concentramento. Mi riferisco anche alla mancanza di altri diluvi, quelli raffiguranti le sofferenze serbe ed i morti serbi.
Spero di aver così dimostrato anche la validità di una filosofia di studio in cui credo molto: l’interdisciplinarità. All’inizio della mia ricerca speravo che una prospettiva “comunicativa” su un fatto generalmente indagato con strumenti politologici potesse arricchire la definizione di quel fenomeno, oggi sono convinta che ciò è possibile.

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  • Chiara De Franco
  • BLOW UP KOSOVO. IL RUOLO DELLE IMMAGINI NELL’INNESCO DI UNA CRISI INTERNAZIONALE

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