Universita' degli Studi Roma Tre

Facolta' di Lettere e Filosofia

Corso di Laurea in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo

A.A. 2009-2010

Fotografia tra realta' e finzione - Dalla pellicola all’era del sospetto


Indice

  • Paolo Ippolito
  • Fotografia tra realta' e finzione - Dalla pellicola all’era del sospetto

Introduzione     p. 4

 

I.       La rappresentazione fotografica
I.1.    L’illusione della fotografia-verità     p. 8
I.2.    Prima e durante lo scatto     p. 16
I.3.    Falsi storici d’autore     p. 27

II.      Il fotoritocco come struttura della fotografia
II.1.   L’antica arte della post-produzione     p. 35
II.2.   Sviluppo storico della manipolabilità     p. 45

III.     Analogico versus digitale: due emisferi a confronto
III.1.  Come cambia l’accessibilità al mezzo     p. 55
         fotografico nell’era del sospetto
III.2.  I fantomatici super-poteri di Photoshop     p. 67

Conclusioni     p. 77

Appendice
Intervista al fotografo Claudio Martinez     p. 80

Bibliografia e Sitografia     p. 86

Introduzione

  • Paolo Ippolito
  • Fotografia tra realta' e finzione - Dalla pellicola all’era del sospetto

Una fotografia ci mostra ciò che avremmo visto in un certo istante da un certo punto di vista se avessimo tenuto la testa immobile e un occhio chiuso e se noi potessimo vedere come attraverso un obiettivo da 140 o da 40 mm e se vedessimo in Agfacolor o in Tri-X sviluppate con un D76 e stampate su carta Kodabromide n.31.

Un'opinione abbastanza sarcastica quella di Joel Snyder e Neil W. Allen riguardo al pensiero comune per cui la fotografia ci mostra le cose come le vedremmo se ci trovassimo sulla scena ripresa al momento dello scatto. Si tratta di un falso stereotipo che nasce insieme alla fotografia, una falsa credenza che sarà analizzata in maniera approfondita nel primo saggio del mio lavoro.
È un percorso, prettamente teorico, che nasce con l’intenzione di voler chiarire, nei limiti del possibile, alcuni preconcetti che sono parte integrante della storia della fotografia.
Da sempre, infatti, le viene attribuita la capacità di poter rappresentare il vero, niente di più errato. È la sua stessa natura a privarla di tale caratteristica, infetta da quell'infantile malattia che non trova corrispondenza tra raffigurante e raffigurato. Del resto non potrebbe essere altrimenti dato che ci troviamo di fronte a una trasposizione bidimensionale di un'immagine tridimensionale.
Basterebbe esclusivamente questo concetto per capire che la fotografia è predisposta a mentire e lo fa attraverso un lungo percorso che va dalla visualizzazione allo scatto, in un processo in cui ci sono distinte responsabilità tra uomo e macchina e nel quale l’unica verità è quella dell’autore.
Si passa, quindi, a un discorso che vede nella pratica il suo nucleo centrale, in cui spiegherò i limiti del mezzo e ciò che porta il fotografo a non dichiarare sempre la verità, inducendo l’osservatore a crearsi false opinioni, specie se quest’ultimo non dimostra di avere il giusto atteggiamento mentale di fronte ad ogni immagine. Bisogna leggerla, cercare di capirne il contesto, entrare nel suo sistema e, se necessario, diffidarne. Solo, quindi, attraverso una critica ragionata, il lettore non rimane sprovveduto e dimostra di sapersi distaccare da un prodotto non del tutto genuino, perché un giudizio puramente morale è soltanto fine a se stesso.
A questo punto la trattazione entra nel merito di quelli che sono considerati i primi “Falsi storici d’autore”, quelle fotografie la cui fortuna è stata frutto di messe in scena atte a ricostruire una vicenda già avvenuta o addirittura a inventarne delle nuove con l’intenzione di creare icone emblematiche di un certo avvenimento storico. Da Altobelli, a Rosenthal, da Tino Petrelli a Robert Capa: un susseguirsi di episodi che rilevano come questi autori abbiano saputo sfruttare la capacità della fotografia di fermare il flusso degli eventi, di riuscire a mostrare l’accaduto, di divenire prova di esistenza. Scoop previsti, altri premeditati, ma tutti mossi dalla necessità di testimoniare.
La seconda parte del mio studio riguarda il fotoritocco inteso come una struttura della fotografia, come una presenza costante durante tutti gli aggiornamenti tecnici e lungo l'intero corso della sua evoluzione. Ho esaminato diverse tendenze estetiche e “ascoltato” le voci dei protagonisti che ne hanno segnato le tappe e teorizzato i fondamenti.
La pratica della post-produzione pone le sue basi nello stesso momento in cui la fotografia si afferma come espediente per rappresentare la realtà, e non mancheranno, nell’arco della sua storia, correnti di pensiero agli antipodi: da Cartier-Bresson, fervente nemico dell’artefatto, ad Ansel Adams, uno dei maggiori esponenti dell’elaborazione da camera oscura. L’obiettivo è dimostrare come fin dagli albori si sia avvertita la necessità di dover conferire all’immagine quel tocco in più che la aiutasse ad accostarsi a un’idea perfetta, quanto più vicina al visibile, smentendo chi vorrebbe relegare il fenomeno fotoritocco unicamente all’epoca numerica.
Mediante il caso studiato e approfondito da Diego Mormorio, vedremo come già nella Roma del 1862 il fotomontaggio avesse un valore sociale specifico. Con gli anni l’atto di modifica delle immagini diventerà un forte mezzo espressivo, evidente non solo attraverso le opere di Heartfield e Rod
enko, ma anche nelle icone visuali create dai regimi del Novecento.
Una fase, quest’ultima, centrale della mia dissertazione e preludio al successivo e finale capitolo che vedrà la fotografia analogica confrontarsi a quella moderna.
Il diffidare è diventato una pratica di uso comune, il criticare la manipolazione e vederla come un nemico, un'abitudine. L'ennesimo luogo comune che imputa al digitale l'introduzione di una procedura pericolosa che andrebbe a ledere la purezza della fotografia, va ancora una volta sfatato. La diffusione del mezzo fotografico nell'epoca numerica ha comportato la relativa pratica di massa della “manipolazione” dalla quale è scaturita la consapevolezza di massa della “manipolabilità”.
La differenza sostanziale tra pellicola e sensore digitale, intesi come periodi storici, risiede in una diversa accessibilità al mezzo, oggi esasperata dall’introduzione di apparati ottici all’interno di cellulari e lettori mp3, dalla quale sono derivate conseguenze all’interno del sistema informazione: diverso è il modo di veicolare le notizie e di fruire delle immagini.
La fotografia amatoriale ha così preso il sopravvento su quella professionale anche grazie al connubio ormai inscindibile tra fotografia e computer che promuove due fenomeni di estrema attualità: la post-produzione digitale e il photo sharing, con tutte le sue caratteristiche e imperscrutabili “trappole”.
Per finire mi occuperò di una questione molto vicina ai nostri giorni, che vede Photoshop al centro di numerose diatribe inerenti le modalità del suo utilizzo. Per esporre al meglio il mio pensiero mi servirò di un parallelo tra i procedimenti chimici della camera oscura e quelli digitali del famoso software di Adobe. Prenderò in esempio lavori di autorevoli figure come Eugene Smith e Sebastiao Salgado, e li confronterò al caso del fotografo danese Klavs Bo Christensen, escluso dal famoso premio nazionale “Picture of the Year” per “eccesso di Photoshop”, in modo da affrontare il discorso da un punto di vista etico.  
Con la mia ricerca ho constatato e preso atto delle nette divergenze esistenti tra la percezione della post-produzione nell’era della fotografia analogica e quella completamente contraddittoria dell’epoca moderna.
L’era del sospetto trova così le sue ingiustificate basi, nate da una diffusa disinformazione e da una nuova tendenza che delegittima sempre di più l’artefatto esplicito servendosi di metodi di giudizio sempre più astrusi e che andrebbero a ledere la natura stessa della fotografia: la rappresentazione di una realtà di cui l’autore è l’unico padrone.

 

 

Note:

1 T.F. Barrow, S. Armitage, W.E. Tydeman (eds.), Reading into Photography. Selected Essays 1959-1980, Albuquerque, The University of New Mexico Press, 1982.

Conclusioni

  • Paolo Ippolito
  • Fotografia tra realta' e finzione - Dalla pellicola all’era del sospetto

Mi sono chiesto spesse volte cosa racchiudesse al suo interno il termine fotografia e quale fosse il suo rapporto con la realtà. Il mio lavoro nasce dall’intenzione di analizzare il suo carattere, il suo corpus operandi, per capire se considerarla un testimone oculare di eventi o uno strumento che sintetizza punti di vista mediante la rappresentazione di un dato reale.
Per dare una risposta a tale quesito ho ripercorso buona parte della storia della fotografia, dal daguerrotipo al digitale, seguendo le evoluzioni tecniche del mezzo e le ripercussioni avute sulla società, teatro di diversi cambiamenti di tendenze. Ho esaminato il rapporto illusorio tra fotografia e verità, mettendo in evidenza come le immagini non fossero altro che una copia del visibile e smentendo così le false credenze e i diffusi luoghi comuni che vorrebbero attribuire alla fotografia la capacità di attestare esistenza.
La fotografia può mentire e allo stesso tempo nascondere in sé un grado di veridicità condizionata da diverse variabili. Una di queste è certamente riscontrabile nelle intenzioni e nelle idee del fotografo, unico e solo responsabile di quello che l’immagine mostra. Creatore di una verità mai assoluta, ma sempre personale e interiore, l’autore, servendosi di un punto di vista mai univoco, seleziona, esclude in maniera non casuale e inserisce nel fotogramma quegli elementi necessari ad assecondare una premeditata visione.
Ho in seguito spostato l’attenzione su un argomento ancora oggi al centro di numerosi dibattiti, il fotoritocco. Ne ho descritto la storia a dimostrazione del fatto che esso sia stato concepito, fin dall’inizio, come un valore in più della fotografia, come un tramite che potesse soddisfare quelle esigenze negate dalla fotografia stessa, per via dei suoi limiti. Un espediente antico, quindi, che come diceva Nadar avrebbe rivoluzionato l’epoca analogica e di conseguenza non certo quella numerica.
La post-produzione nasce insieme alla fotografia, ne ha determinato correnti, mode e tendenze senza mai intervenire alterandone la forma.
La mia ricerca si è basata soprattutto sul concetto che la fotografia ha in sé un’indole menzognera, ed è proprio questo dato a spiegare il motivo per cui qualsiasi tipo di manipolazione non ha mai intaccato o stravolto il suo rapporto con la finzione. Un pensiero ritenuto condivisibile nell’era della pellicola, quando la camera oscura non era familiare alla massa, ma impensabile è darlo oggi per scontato. L’amplificata accessibilità al mezzo fotografico, determinata da un mercato intento a veicolare l’immagine attraverso qualsiasi tipo di strumento (cellulari, lettori mp3, etc.), ha aperto le porte al fotoritocco digitalizzato, dando spazio a chi pensa e valorizza l’ipotesi che questa in cui viviamo sia sempre più considerabile come l’era del sospetto, come un’epoca in cui l’immagine menta più del solito a causa del cambiamento dei dispositivi di manipolazione.
Il connubio tra fotografia e computer ha proposto altre possibilità, ha offerto determinati vantaggi a livello di produzione, di archiviazione e di distribuzione, ma niente di tutto questo ha leso o mutato quella condizione insita nella struttura stessa della fotografia: la sua predisposizione a mostrare e non a dimostrare.
Grazie alle mie, seppur brevi, esperienze in camera oscura ho potuto meglio approfondire e cogliere le differenze tra l’ambito analogico e quello digitale, arrivando alla conclusione che sono sì due emisferi diversi nelle metodologie di lavoro ma comunque facente parti di un unico mondo. La fotografia non è cambiata, è sempre la stessa e nonostante siano solo gli strumenti ad essere diversi, la consapevolezza delle proprie azioni rimane una prerogativa indispensabile.
Il vecchio stampatore di negativi non era meno bugiardo del nuovo consumer di Photoshop; sarebbe ingenuo credere che bacinelle, acidi e carte fossero tanto diversi da monitor, mouse e software. Il fotografo rimane sempre un artigiano, sincero o disonesto che sia, che oggi lavora con un negativo diverso, fatto di bit, secondo i dettami della società.
Questo è quanto una moderna tendenza, mirata a denigrare il programma di ritocco più famoso al mondo, non sembra riuscire ad accettare. Oggi viene bandito quello che invece è stato permesso a tutti i grandi maestri della fotografia chimica, rischiando di cadere in profonde contraddizioni storiche. Un’alterazione cromatica, che non interviene sul senso dell’immagine, diventa “un eccessivo uso di Photoshop”.
I paletti imposti dal mercato o da chi emette giudizi sulla bontà e la conseguente funzionalità di un lavoro, obbliga l’autore a non travalicare confini i cui limiti sono ancora di difficile decifrazione. Sulla questione regna una forte confusione e le modalità di utilizzo degli strumenti stanno prendendo il sopravvento su quella che rimane l’unica intenzione dell’autore: servirsi della fotografia per interpretare la realtà e avvicinarla ad una propria idea.

Bibliografia

  • Paolo Ippolito
  • Fotografia tra realta' e finzione - Dalla pellicola all’era del sospetto

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10b photography è un progetto culturale, fondato nel 2007 da Francesco Zizola, fotogiornalista, e da Claudio Palmisano, esperto e docente di Digital Image Editing, interamente dedicato alla fotografia professionale, con particolare attenzione alla fotografia d’autore.

http://www.fotoinfo.net/
Fotografia & Informazione è un'associazione di fotografi indipendenti che promuove la tutela professionale, l'aggiornamento tecnologico e gli interessi culturali dei suoi soci.

http://www.magnumphotos.com
Link all’agenzia fotografica Magnum.

http://www.masters-of-photography.com/index.html
Archivio sui maestri della fotografia.

http://www.mediastudies.it/IMG/pdf/Morte_di_un_miliziano.pdf.
Link di approfondimento in merito al corso di “Storia e critica della fotografia”, del prof. Enrico Menduni - Università degli Studi “Roma Tre”-maggio 2010.

http://www.mediastudies.it/IMG/pdf/Petrelli.pdf
Link alla lezione tenuta dal prof. Elio Matarazzo in merito al corso di “Storia e critica della fotografia”, del prof. Enrico Menduni - Università degli Studi “Roma Tre”-maggio 2010.

http://www.mediastudies.it/IMG/pdf/Propaganda_e_falsificazioni_fotografiche.pdf.
Link di approfondimento in merito al corso di “Storia e critica della fotografia”, del prof. Enrico Menduni - Università degli Studi “Roma Tre”-maggio 2010.

http://memory.loc.gov/ammem/fsahtml/fahome.html
Farm Security Administration

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Link all’approfondimento riguardo il “miliziano” di Robert Capa ad opera di Luca Pagni e Lucio Valerio Pini, Roma 1 gennaio 2004.

http://www.reflex.it/wp-content/uploads/2010/06/0-1779.pdf
Link a una cronologia storica della fotografia realizzata da Giulio Forti.

http://www.theatlantic.com/
Rivista americana di attualità e informazione.