Retorica della fotografia giornalistica

di Marta Pasuch

Pubblichiamo un commento che analizza, con gli strumenti della retorica e della semiotica, le possibili ragioni del frequente ricorso, da parte dei giornali, a fotografie giornalistiche poco informative, ma molto evocative.

Giovedì 13 novembre 2003, il giorno dopo la strage di italiani e iracheni provocata dall’autobomba a Nassiriya, in Iraq, un numero impressionante di quotidiani italiani e stranieri ha pubblicato in prima pagina la medesima foto. Una scelta di questo tipo induce a pensare che questa immagine sia la foto di ciò che è accaduto, quella che ne restituisce l’essenza e che si distingue dal complesso delle immagini televisive viste la sera prima e anche da tutte le altre immagini fisse relative a quel fatto di cronaca. Vediamo dunque la significazione cui tale foto dà origine.

Rispetto alle foto pubblicate, ad esempio, sulla prima pagina dell’Herald Tribune e di Liberation, i cui significati secondi sono quasi inesistenti e si sviluppano sulla base dei principi di completezza, di correttezza e di densità informativa, questa foto, sottende, sotto al livello denotativo - che corrisponde a ciò che essa raffigura – una stratificazione di discorsi secondi la cui struttura segue ben note modalità di costruzione del senso (l’allegoria, il simbolo e il mito) che le conferiscono il carattere di fotografia giornalistica retorica. Analizziamo in dettaglio queste tre modalità.

1. Il discorso allegorico nasce dall’impiego di alcuni stereotipi. Essi costituiscono delle conferme a valori iconografici consolidatisi a partire dai codici della pittura occidentale, gli stessi che sono alla base anche dello standard della buona foto elaborato dalla stampa: una ben calibrata miscela di distacco e empatia col soggetto rappresentato, di linee dinamiche e statiche, di luci e di ombre. Gli stereotipi autorizzano una riproduzione di massa, perché richiedono al lettore una semplice operazione di riconoscimento, non di interpretazione. L’allegoria trasforma il fenomeno (l’attentato contro i soldati italiani a Nassiriya) in un concetto (lotta tra bene e male) e il concetto in un’immagine, in modo che il concetto sia dato e possa esprimersi attraverso di essa. Questa foto, in quanto allegoria, ci riporta alla mente (grazie al fenomeno dell’intertestualità) frames visivi non solo per analogia, ma anche per contrasto.

2. La foto in questione si pone, inoltre, come simbolo della pietas suscitata dalla tragica morte di questi giovani. Il soldato immortalato, da una parte costituisce una figura retorica che rimanda alla totalità delle forze militari italiane impegnate in Iraq, mentre dall’altra incarna l’archetipo culturale dell’eroe, conferendo all’immagine in questione un tono epico. L’atteggiamento epico, infatti, emerge nell’uomo colpito dalla grandiosità di un evento, impressionato dalla forza del fato, esaltato nei propri sentimenti e nei propri istinti. Nasce in tal modo il Mito, attraverso il quale si celebrano le azioni di intelligenza e di forza dell’eroe singolo o di un intero popolo (i soldati rimasti uccisi e, di rimando, l’intero popolo italiano).

3. Il mito è una forma del raccontare per cui il lettore ha la sensazione che l’immagine provochi naturalmente il concetto: la funzione del mito è quella di parlare delle cose, ma nel farlo le purifica, le rende innocenti (nella foto non compaiono cadaveri, sangue, persone ferite), le istituisce come natura e come eternità (è naturale che i cattivi se la prendano con i buoni), conferisce loro una chiarezza che non è quella della spiegazione, ma della constatazione.

Tali concetti vengono ulteriormente rinforzati dalla contrapposizione visiva tra la figura del soldato, illuminata da una luce artificiale direzionale, di tipo teatrale, e la massa dell’edificio sventrato dall’esplosione in penombra alle sue spalle. La luce e il cielo nero sullo sfondo evidenziano la plasticità della posa del soldato, le linee di forza della mano posata sull’elmetto e del capo reclinato verso il basso, in assonanza con la posizione del fucile rivolto con la canna a terra. In base alla nostra cultura siamo portati a interpretare questa postura come un’espressione di disperazione e di rassegnazione.

L’allegoria, il simbolo e il mito rendono il mondo comprensibile in termini di categorie più generali (bene vs male, giusto vs ingiusto): esse funzionano sia da guide normative già articolate, sia da assunti valoriali più generali intorno a cui si costruisce l’identità di gruppo. Così facendo, tali modalità di costruzione del senso rendono la retorica delle fotografie giornalistiche una retorica del paradosso, dal momento che esse trasformano un fatto di cronaca assolutamente singolo e irrepetibile in un significato universalmente valido: si muovono più sul piano dell’emozione e dell’intuizione che su quello della ragione e dell’analisi e vengono scelte sulla base di criteri estetici: quindi la foto da pubblicare non è quella che maggiormente informa il lettore, ma quella che riesce suscitare in lui una serie di emozioni positive tra cui il piacere della visione.

Marta Pasuch