Embedment & Disembedment

Nella riflessione Guerra in Iraq. Mosaico d\'informazione abbiamo scritto che oggi, per i fotogiornalisti, autorizzazione significa controllo: ecco due episodi che costituiscono altrettanti spunti di riflessione in proposito. Nell\'ultimo numero di Editor & Publisher, Vincent Laforet - fotoreporter del New York Times - descrive i problemi che ha affrontato come \"media embed\" durante i suoi 27 giorni di permanenza nel Golfo Persico sulla portaerei Abraham Lincoln. Nell\'articolo, che potete leggere, in inglese, cliccando qui , Laforet scrive: \"Dopo tutto ho visto solo metà dell\'immagine. Ho potuto fotografare l\'assemblaggio di una bomba JDAM, seguire i piloti durante le loro riunioni, mostrare i quattro addetti alle munizioni sollevare una bomba sotto l\'ala di un Super Hornet e anche il balletto di aerei che si portavano nelle rispettive posizioni sul ponte della nave. Ho perfino potuto montare una macchina fotografica dentro una carlinga per far vedere la soggettiva di un pilota. Ciò che non ho mai potuto fare è stato documentare dove questi ordigni sarebbero caduti e le reali conseguenze di ogni lancio. (...) Mi sono sentito molto frustrato come giornalista, ma ho capito che stavo documentando un piccolo, ma significativo, pezzo di un grande puzzle. La mia più grande preoccupazione è stata quella di realizzare immagini che glorificavano troppo la guerra.\" Paula Bronstein, fotogiornalista dell\'agenzia Getty Images, ha recentemente lasciato il Kuwait a seguito di un cosiddetto \"nonvoluntary disembedment\", una sorta di allontanamento disonorevole per i giornalisti che vengono espulsi dalle truppe anglo-americane. A sentire il racconto della Bronstein, l\'unica sua colpa è stata quella di scrivere uno slogan contro la guerra sopra un missile. Nelle tre settimane di permanenza presso la base \"Ali Al Salem\" dell\'U.S.Air Force in Kuwait la Bronstein dice di aver visto moltissime bombe che lasciavano la base con dei messaggi scritti sopra. Uno dei componenti della scorta che seguiva i giornalisti ha proibito alla Bronstein di fotografare le bombe contenenti messaggi volgari. La Bronstein dice che su circa metà delle bombe i militari avevano scritto slogan impertinenti. Un giorno un meccanico le chiese di scrivere qualcosa sopra una delle bombe destinate alla città di Baghdad. La Bronstein scrisse \"Questa guerra genera solo odio\". Esprimendo un\'opinione che differiva dal punto di vista dei militari. E\' stato per questo, lei sostiene, che è stata punita. \"Può la mia opinione essere solo quello che i militari trovano accettabile?\" si domanda. Diversa la versione del Colonnello Franklin Childress del Coalition Press Information Center, il quale sostiene che la fotogiornalista ha eluso il controllo della scorta per avvicinarsi senza permesso ad un missile e scriverci sopra uno slogan pacifista: un comportamento pericoloso per la fotogiornalista, potenzialmente dannoso per l\'ordigno e che quindi avrebbe potuto giustificare perfino un intervento armato da parte dei militari della base. \"Ha violato le regole del campo e ha fatto qualcosa di folle e pericoloso\" sostiene Childress. Per non mettere in difficoltà Getty Images la Bronstein ha preferito scusarsi con i militari, ma insiste nel ritenere alquanto bizzarro l\'atteggiamento di chi è arrivato a descriverla come una criminale. La fotografa ha ammesso di non essere una candidata ideale per una posizione \"embedded\", ma dice anche che ad \"Ali Al Salem\" ci sono stati problemi più gravi, soprattutto riguardo ai modi con cui i militari hanno trattato i giornalisti. Primo, i giornalisti dovevano dividersi le scorte, poi dovevano aspettare di avere un permesso ogni volta che volevano allontanarsi per riportare una notizia o scattare delle immagini. Spesso trascorrevano delle ore prima di poter iniziare a fare delle foto. \"Dovevano assegnare una scorta individuale ad ogni giornalista accreditato\" dice la Bronstein. (fonte: PDN ) Leonardo Brogioni, aprile 2003