Che foto troviamo sui giornali?

  • didascalia: nessuna didascalia
  • firma: fotografia non firmata
  • fonte: Repubblica 28/03/2011 - pag 45

Il discorso sulla fotografia italiana è un albergo di vacanze intellettuali, anche splendide, anche interessantissime, ma quando poi i villeggianti se ne vanno, resta poco. (…) La mancanza di una riflessione sulla fotografia produce un’incultura generalizzata dello strumento fotografico”.
Michele Smargiassi. Convegno “La fotografia in Italia: a che punto siamo?”,  tavola rotonda “Comunicare la fotografia”  svoltasi alla fondazione Forma,  18 marzo 2011.

Efficace questa metafora del giornalista di Repubblica, noto anche come blogger che ragiona e commenta su quel che accade nell'area della fotografia, ospitato nelle pagine web della stessa testata quotidiana. Manca però, a questa frase, un’importante appendice, che lo stesso giornalista, per comprensibili motivi, non può fare: gli diamo una mano noi, senza che ci sia stato richiesto.

Aggiungiamo che questa “incultura generalizzata dello strumento fotografico” e vorremmo dire anche, più precisamente, del “linguaggio fotografico” quando non si configura come vera e propria ignoranza dell’universo del “visuale”, trova la sua massima punta di sfacciata e tragica concentrazione proprio all’interno dei giornali, delle redazioni, prima ancora che tra i lettori degli stessi. E questa “incultura generalizzata” è determinata, come ci ha ricordato Gianluigi Colin durante lo stesso convegno, dalla mancanza, nei giornalisti italiani, di una formazione adeguata all’uso della grafica e delle immagini, caso unico nel mondo.

Noi di fotoinfo riteniamo di avere, in Italia, il primato della perseveranza nel denunciare il fenomeno dell’inadeguatezza della cultura visiva nelle redazioni dei giornali, tanto che qualcuno ogni tanto ci chiede se non ci siamo stancati, dati i pochi risultati ottenuti in tanti anni. Noi rispondiamo di no.

Qualche esempio di questa incultura? Partiamo proprio dai blogger, e dall’immagine (intesa nel senso di immaginario) che, all’interno dei giornali, devono averne i giornalisti, che forse tremano all’idea che qualche nuovo arrivato sul fronte dell'informazione gli possa sfilare la comoda sedia da sotto il sedere. A pagina 45 della Repubblica del 28 marzo Federico Rampini, da New York inizia così il suo articolo dedicato ai blogger: “Ti accorgi che qualcosa sta cambiando quando nella conferenza stampa Barack Obama di fronte a una selva di mani alzate sceglie di dare la parola al corrispondente di Politico.com, un blog.” L’articolo si intitola, coerentemente, “Il potere dei blogger”, l’occhiello chiarisce e spiega meglio di cosa si tratta: “Il ritratto dei nuovi padroni della informazione made in Usa che oggi riescono ad influenzare i giornali ma anche la Casa Bianca”. Arriviamo alla foto, che campeggia sopra il titolo larga quanto l’intera pagina: senza didascalia, senza nome dell’autore e dell’agenzia, senza alcuna indicazione testuale che fornisca qualche informazione, la foto rappresenta un gruppo di persone sedute sul pavimento in uno spazio angusto, atmosfera da clandestinità e precarietà, probabilmente in area geografica mediorientale o nordafricana, fatto desumibile da vari particolari, probabile situazione difficile e “irregolare”, del genere “scantinato”, telecomunicazioni instabili e problematiche.

  • didascalia: da sinistra: Mike Allen, di Politico.com, Dave Weigel, del blog Slate, Matt Yglesias, Brian Beutler, reporter per il sito Talking Points Memo e Arianna Huffington, fondatrice dell'Huffington Post.
  • firma: autori delle immagini non rintracciabili
  • fonte: collage di varie immagini di pubblico dominio

Di cosa parla Rampini nel resto del suo articolo, oltre l’incipit su Obama, Washington e Politico.com? Forse di blogger del terzo mondo minacciati nella loro attività di controinformazione? Macché, parla di Mike Allen, uno dei blogger più influenti degli USA, che lavora nella redazione di Politico.com

Ha lavorato in precedenza come giornalista al New York Times, al Washington Post e a Time magazine.
Ha un aspetto da “WASP” ("Bianco AngloSassone Protestante"), così come gli altri blogger menzionati dall’articolo: Arianna Huffington, dell’Huffington Post, Brian Beutler, 28 anni, reporter per il sito Talking Points Memo, Dave Weigel, 29 anni, inviato politico del blog Slate, Matt Yglesias, 29 anni, altra star dell’informazione online.
Nel resto dell’articolo, alla pagina successiva, sopra al nuovo titolo “I nuovi re dei media” si aggiunge “Qualche anno fa erano considerati un fenomeno di serie B: oggi sono i trionfatori della informazione made in Usa. Ritratto dei blogger di Washington e dintorni: così potenti da influenzare la Casa Bianca”.
Repubblica preferisce dunque, per la sua foto di apertura, attingere ad un immaginario torbido, oscuro, catacombale, da illegalità clandestina “sporca-brutta-e-cattiva”.

  • didascalia: nessuna didascalia
  • firma: fotografia non firmata. fotoinfo ha ricostruito che si tratta di una foto di Philippe Huguen/AFP
  • fonte: Repubblica 28/03/2011 - pag 46-47

Nella grande foto della pagina successiva, per completare la straordinaria sequenza di stereotipi/pregiudizi già dimostrati precedentemente, c’è una foto di “hacker al lavoro” presa dall’agenzia AFP/Getty Images (non ce lo dice Repubblica, naturalmente: l’abbiamo trovata noi on-line) che rappresenta, secondo la didascalia fornita “Hackers from the French Degenerescience association visit the anti-secrecy website WikiLeaks, in a coffeehouse in Lille, northern France, on December 9, 2010.”
Come tutte le fotografie, ha un autore: Philippe Huguen, fotografo di staff dell’AFP.

  • didascalia: Hackers from the French Degenerescience association visit the anti-secrecy website WikiLeaks, in a coffeehouse in Lille, northern France, on December 9, 2010
  • firma: Philippe Huguen/AFP
  • fonte: Archivio Getty Images

Le parole chiave che l’accompagnano sono le seguenti:
“Caffè, Tecnologia, Composizione orizzontale, Francia, Internet, Pirata informatico, Dipartimento francese di Nord, Lille, Caffetteria, Visita, Effigie, Scienza e Tecnologia, Computer, Censura, Pagina web, Diplomazia, WikiLeaks”.
E quindi: che c’entra questa foto con il fenomeno dei Bloggers Nordamericani, anzi, di Washington e dintorni? Nulla.

  • didascalia: Sono 140 le tribù libiche: l’85 per cento degli oltre 6 milioni di abitanti appartiene a una di loro.
  • firma: fotografia non firmata
  • fonte: Repubblica, 24/03/2011 pagina 19
  • titolo articolo: I gruppi

Altro esempio, sempre dal quotidiano Repubblica, pagine della politica estera del 24 marzo scorso. Servizio sulla Libia e le sue tribù. Titolo dell’articolo scritto da Thomas Friedman per il New York Times: “L’eterna guerra tra clan rivali dietro la rivolta contro il colonnello”. Sopra il titolo, anche qui a sei colonne, grande foto di un uomo con il volto coperto ad eccezione degli occhi, diciamo “genere tuareg”.
La foto è molto bella ed intrigante, nella enigmatica e misteriosa espressione dello sconosciuto uomo del deserto. Nessun autore della foto, né indicazione dell’agenzia, ma ci vorranno due click per scoprire da dove arriva la foto, come spiegherò. Didascalia: “I GRUPPI. Sono 140 le tribù libiche: l’85 per cento degli oltre 6 milioni di abitanti appartiene a una di loro.” Se ne deduce che la foto dovrebbe rappresentare uno dei sei milioni di abitanti della Libia.

  • didascalia: Portrait Middle Eastern Man
  • firma: Hugh Sitton
  • fonte: www.corbisimages.com

E invece no, perché si tratta della foto di un tunisino, come spiega la didascalia della foto rintracciata sul sito dell'agenzia Corbis, del fotografo Hugh Sitton. Tra le 26 keywords utilizzate da Corbis per catalogare la foto le parole Libia o Libico non ci sono, mentre ci sono le parole “Tunisino”, “tuareg”, “turbante”, “nordafricano”, e altre. La cosa interessante, per il profano che nulla sa della struttura sociale dei paesi mediorientali, ce la spiega nelle prime righe il commentatore del NY Times: “In Medio Oriente esistono due generi di Stati: i “Paesi veri”, che vantano una lunga storia e forti identità nazionali (Egitto, Tunisia, Marocco, Iran) e le “tribù accorpate sotto una bandiera”. Si tratta di Libia, Iraq, Giordania, Arabia Saudita, Siria, Bahrein, Yemen, Kuwait, Qatar e Emirati Arabi Uniti.”

Dunque, cari lettori, ci ricorda Friedman, non fate confusione, ad esempio, tra tunisini e libici: hanno tradizioni, culture e storie diverse. Ma voi credete davvero che nelle pagine di Repubblica, quelle che ospitano gli articoli dei prestigiosi giornalisti del N.Y. Times, possano trovare spazio, nel mondo delle immagini, corrispondenti raffinatezze? Risposta negativa. Un tunisino, un libico, che differenza volete che faccia?

Del resto, utilizzare una foto come questa significa adeguarsi al canone di stereotipizzazione inevitabilmente adottato dall'agenzia, per la quale questa è una foto che può essere utilizzata qualora si voglia genericamente parlare di un "uomo mediorientale". Ma qui non stiamo genericamente parlando di medio oriente, stiamo riferendoci alle 140 tribù libiche e ai loro componenti.

  • firma: Hugh Sitton
  • fonte: Repubblica 24/03/2011 e www.corbis.com elaborazione fotoinfo.net

E poi, la foto mica occorre metterla tutta, basta una strisciata di blu che attraversa la pagina. Una “sporcatina di colore”, come il giornalista Wolfgang Achtner ricorda che veniva definito in ambito RAI l’uso di qualche immagine, alla quale evidentemente non viene chiesto di fornire informazioni, ma di decorare la pagina. Se poi l’immagine occorre allungarla del 15/20 per cento in orizzontale, poco male, non se ne accorgerà nessuno.

Cari lettori di Fotoinfo, noi, come promesso, non ci stancheremo di denunciare, in maniera un po’ ossessiva e petulante, questo pressapochismo, questa faciloneria, questa cialtroneria, ma ci viene il dubbio che proprio soltanto superficialità non sia, questa delle redazioni dei giornali.
Colin, art director del Corriere della Sera, ricordava al convegno a Forma, i “campi di forza” all’interno dei giornali, richiamando la teoria del compianto giornalista Alberto Cavallari, e tra questi “campi” la forza dei detentori del potere basato sulle parole, piuttosto che sulle immagini. Noi crediamo che l’analisi di Colin rischi di essere corretta, ma incompleta, e forse proprio Michele Smargiassi che a Repubblica ci lavora, ha colto i rischi che una mancanza di riflessione, di cultura e di spessore nel leggere, e nell’utilizzare, le fotografie rischia di avere. Nelle sue parole, sempre nel corso del convegno alla Fondazione Forma: “Io credo che questo modo molto immediato di consumare fotografie non sia democratico, sia funzionale a chi le fotografie le adopera per scopi tendenziosi, di propaganda, di formazione delle opinioni e non di costruzione di spirito critico.”
Concordiamo.

Ma…a proposito, caro collega Smargiassi, non dicevi pochissime settimane fa che anche grazie alle riflessioni contenute nel tuo seguitissimo blog la redazione di Repubblica aveva finalmente còlto l’importanza di utilizzare correttamente le immagini di informazione sul giornale? Ci auguriamo che la tua sia una visione realistica della situazione e che sia solo questione di tempo.

Marco Capovilla