le saggezze dell'umanità e l'estetica del nulla

  • didascalia: riproduzione dal pieghevole della mostra " Saggezze dell'umanità "
  • firma: © Oliver Föllmi
C’è una mostra a Milano, esposta in tutta via Dante: 100 pannelli x 120x180, stupendamente allestita. Ha suscitato la mia curiosità e una successiva irritazione: l’autore è Oliver Föllmi, fotografo franco/svizzero dal curriculum di tutto riguardo. Il nome della mostra è pomposo. “ Saggezze dell’Umanità “ e pompose, belle ed inutili sono le fotografie. Quel tipo di immagini in cui tutto si regge su un estetismo che francamente fa uscire fuori dai gangheri: tagli di luce da fare invidia a Vermeer, cieli di un azzurro che non ha eguali, tramonti hollywoodiani. Fuor di metafora, sono perfette. Cito dal pieghevole della mostra e dal sito di Föllmi il cui progetto è “Nato per esaltare l’immensa ricchezza delle culture del mondo e per mettere in evidenza quanto siano intrecciate senza conoscere frontiere.” Saggezze dell’Umanità” accosta le immagini realizzate da uno dei più significativi fotografi contemporanei, Olivier Föllmi, a citazioni scelte con gran sensibilità da Danielle Pons Föllmi, ricercatrice in scienze umane: Ogni anno ci si accosta a una nuova cultura, per liberarne le risorse di saggezza su questioni fondamentali. Fonte di ispirazione per aprirsi a una dimensione spirituale dell’umanità, «Saggezze dell’Umanità», tramite l’associazione di testi e fotografie, dà risalto all’eredità del pensiero umano. ….. questo magnifico progetto in cui potrete scoprire il pensiero dell’India, dell’Himalaya e dell’Africa che costelleranno le vie della città.” Il fotografo per questo progetto ha girato ogni angolo del mondo ed è sorprendendente vedere che tutto vada bene, tutto fili liscio: povertà, contraddizioni, guerre, fame: bandite ! neanche un’ alluvione, una scossa di terremoto, una guerra civile, un dissidio etnico. Insomma, Föllmi, almeno un bambino con un po’ di dissenteria lo avrai trovato! Una mamma che si lagna del latte in polvere, o del pozzo troppo lontano . Tutti si vive d’amore e d’accordo. E’ torturante pensare a quanto dispendio di energia e di estetica copra le nefandezze del mondo terzo in cui così comodamente Föllmi pascola ..
  • didascalia: Karamoja district, Uganda, April 1980. Starving boy and a missionary
  • firma: © Michael Wells, United Kingdom.
  • fonte: http://www.worldpressphoto.nl
  • nota: Wells felt indignant that the same publication that sat on his picture for five months without publishing it, while people were dying, entered it into a competition. He was embarrassed to win as he never entered the competition himself, and was against winning prizes with pictures of people starving to death. World Press photo of the year 1980
Gia è spesso disturbante l’approccio del National Geographic, ma almeno il taglio è rigorosamente scientifico e il supporto scritto fondamentale. Qui invece ogni didascalia è un poema in cui si scomoda Mandela, Ghandi , Luther King, il Dalai Lama, ma del soggetto in questione non si sa quasi niente:continuo ciononostante a pensare che un bambino con il viso sporco non è bello, gli è che non ha acqua a disposizione. Punto. Questo mondo fantastico dall’Himalaia al Sahel, pur avendo viaggiato meno del fotografo in questione, ma abbastanza per farmi un idea, non l’ho mai incontrato. Ho visto anche io mandrie di cammelli al pascolo , ma erano quelle dei Janjaweed, ho visto bambini denutriti e mani scheletriche, perché nei loro villaggi era arrivata la guerra. Il mondo è come vogliamo dipingercelo, questo è vero ed è anche lecito fin quando questo rimane nella propria sfera personale e non si cerca di venderlo condito di etica. Tutto ciò mi rimanda agli amici che tornavano dall’India negli anni ottanta e mi raccontavano delle bellezze del continente e della tranquillità della gente incontrata ( e io, stupidamente chiedevo : ma come: la fame, le caste, gli intoccabili, l’ assassinio di Indira Gandhi, la rivalità tra indù e musulmani, il Kashmir .)
  • didascalia: A notte fonda Dilly whalla gioca con le stampelle di un amico davanti a victoria st.
  • firma: © Dario Mitidieri
  • fonte: riprodotto dal libro I Bambini di Bombay Pelitiassociati

Non capisco mai da dove nasce questa operazione, però vengono spontanee alcune considerazioni : perché mai dovremmo riflettere sul senso della vita (la nostra, grassa e occidentale ! ) a partire da una mezza sbirciata alle culture alle quali quantomeno impediamo lo sviluppo! non è possibile estrapolare soltanto gli aspetti più comodi per la pace dei nostri occhi ( e delle nostre coscienze ) dimenticando tutto il resto, su cui varrebbe la pena riflettere. È da ciechi viaggiare in quei luoghi e non volersi accorgere di quanto la vita sia spesso sofferenza e privazioni. Di quanto i regimi in cui quelle popolazioni vivono siano spesso i primi a non far niente per migliorare le condizioni della propria gente, di quanto sia limitato da quelle parti l’ accesso alle risorse . La fotografia non è un oggetto neutrale, e il dovere del fotografo dovrebbe essere quello di usarlo, al meglio. Come imperativo etico , soprattutto per chi ha la fortuna, il privilegio, di viaggiare in quei luoghi così poco fortunati E non è antipatico sovrapporre a delle culture che noi neanche conosciamo, e avviciniamo solo con la pretesa della rappresentazione fotografica, dei valori e delle proiezioni ben lontane da quel mondo ? Magari molti dei soggetti ripresi in questa mostra sarebbero ben felici di avere l’auto, la lavatrice ed un Mc Donald sotto casa; Però nessuno glielo ha chiesto, perché il problema è il nostro. E quei modelli divita ( gli unici che hanno) non se li sono scelti, ci si sono trovati per la sfiga della vita di nascere nel versante sbagliato della terra. Il pieghevole mostra questa foto, noi invece vi sottoponiamo queste altre ( Michael Wells wpp 1980, Erik Refner Wpp 2001 ) anche queste sono mani. anche esse scattate ai quattro angoli del mondo . d’altronde Föllmi stesso dichiara”. Io non sono un fotografo da reportage, d’informazione, o da documentario. E nemmeno viaggio con lo sguardo dell’antropologo: non voglio far vedere come vive la gente, cerco di riflettere l’intensità di un istante condiviso. E questa intensità inizia lì dove la nozione del tempo scompare. Più un momento è intenso, meno il tempo è importante. Le mie foto sono dunque atemporali.”

  • didascalia: Jalozai refugee camp, Pakistan, juni 2001 The body of an Afghan refugee boy is prepared for burial
  • firma: Erik Refner, Denmark, for Berlingske Tidende.
  • fonte: http://www.worldpressphoto.nl
  • nota: Refner went to pay his condolences to the dead boy's father and was allowed to take pictures of the preparations for his burial. The enormous interest in his work generated by the award kick-started his career. He was just a mere student before. wpp of the year 2001
Dunque, certo che talvolta è rasserenante godersi il bello del mondo, chi lo nega ? bisognerebbe a questo punto riflettere sul fatto che i giornali, tutti, dai quotidiani a magazine, hanno bandito qualsiasi argomento che possa far riflettere sui guai e sulle disparità. Basti pensare alla copertura concessa al terremoto in Pakistan, come nulla fosse successo. La pace degli occhi e la gioia del cuore sono un ottimo linimento alle sofferenze quotidiane. Però potremmo almeno fare un patto con lo stuolo di associazioni, enti ed amministrazioni che sono accorse al capezzale di Föllmi ( dal Ministero delle Pari Opportunità al Comune alla Provincia e alla Regione di Milano, dall ’Unesco fino all’AssoDante ( i commercianti della via ) : per ogni tre mostre di Föllmi et similia vi chiediamo, che so : “la Mano dell’uomo” di Salgado ? le foto del World Press ? “Winterreise” di Luc Delaye , “Inferno” di James Nachtewey ? i Bambini di Bombay di Dario Mitidieri “Born Somewhere” di Francesco Zizola ?