Lettera di Marco Vacca.
Gentile Giovanni Valentini
Mi fanno piacere le sue parole su “ La Repubblica “ del sabato scorso: sentire da un qualificato addetto ai lavori che la fotografia può far recuperare ai quotidiani quella credibilità che sta perdendo in favore della televisione e di internet è qualcosa di inconsueto nel mondo italiano dell’editoria. Mi fa molto meno piacere la sua affermazione riguardo il libro edito dall’Ansa del quale sottolinea il coraggio di pubblicare le immagini senza le opportune didascalie, rafforzando la sua idea che le immagini siano autosufficienti.
Io invece ritengo che un prodotto giornalistico come immagino siano le fotografie in questione non possano essere esentate dalla regola aurea delle 5 w : e questo non perché non ritenga le immagini incapaci di parlar da sole: ma perché i lettori hanno il diritto di sapere il dove, il come, il quando, il cosa, il perché; e, non ultimo, che l’autore della fotografia non rimanga un figlio di nn. Purtroppo nella vita quotidiana della messa in pagina tutto questo non accade ed il giornale nel quale lei lavora è da noi fotoreporter considerato il campione della sciatteria.
Potrei citarle innumerevoli scivoloni sia sulla carta che nella versione internet, ma al riguardo la rimando a https://www.fotoinfo.net/osservatorio/detail.php?ID=618 Il fondatore del suo giornale d’altronde passò alla storia per una affermazione che vedeva la fotografia come “ esornativa “, e così è rimasta: tappabuchi, ornamento, solo perché non si può consegnare ai lettori un giornale triste e grigio: la ricchezza, la bellezza, la potenzialità dell’immagine finisce invece down the drain, direbbero gli americani.
Lei lo sa che nessun giornale in Italia si è mai preoccupato di avere un proprio fotoreporter sui maggiori eventi da 10 anni a questa parte (diciamo dalla guerra in Kosovo all’invasione in Iraq), invece giornali molto più poveri, che so, danesi, sloveni o finanche polacchi spediscono i loro fotografi nei quattro angoli del mondo ? e che i migliori di noi lavorano spesso per testate straniere sugli stessi argomenti ? lei lo sa quanti di noi ricevono riconoscimenti internazionali ogni anno e quanti fotoreporter italiani sono associati in Magnum ? non le viene in mente la fuga di cervelli, il “nemo profeta in patria” , la sconsideratezza di un patrimonio di intelligenze lasciate fuggire? lei lo sa che un paio di anni fa Newsweek e Time (dove evidentemente la fotografia viene considerata parte integrante della linea editoriale del giornale) stufi di ritrovarsi con immagini simili su argomenti internazionali decisero di mettere sotto contratto diversi fotografi, a garanzia dell’unicità delle proprie immagini e perché ritenevano quello un modo sano per farsi concorrenza e migliorare la qualità del proprio prodotto?
I giornali italiani sono brutti e poco interessanti, non raccontano più l’Italia, sono ideologici e nascono per far politica, che è cosa ben diversa dall’informazione. Forse è questo il motivo che ferma i dati di vendita di questi anni agli stessi del dopoguerra.
Personalmente ritengo che in Italia il fotogiornalismo, geneticamente non stia nella testa di chi i giornali li dirige e li produce. E’ una specie di corpo estraneo e le motivazioni sarebbero troppo lunghe da discutere in questa sede. Sta di fatto che nel suo giornale nessuno si chiede perché l’edizione del NYT che vi fregiate di pubblicare il mercoledì sia così ben fatta. Quante pagine di istruzioni vi hanno fatto imparare a memoria "quelli del NYT" e magari fatto firmare prima di concedervi quell' accordo? Provate ad usare la stessa disinvoltura che applicate quotidianamente sulle vostre pagine anche all'inserto del mercoledì: provate a dimenticare nomi, didascalie e crediti sotto le fotografie. Immaginiamo già le urla arrivare da Manhattan fino dentro la vostra redazione.
Tanto per raccontarne una, il mese scorso ho inaugurato una mostra a Roma, nei musei del Vittoriano: il tema era il Darfur. Repubblica Radio mi chiede una intervista, ma sono stato soltanto una brevissima parentesi per introdurre uno sproloquio del Sindaco Veltroni ed un comizio della Boniver.
P.S. : la prego non mi citi ad esempio le foto di Salgado e le edizioni domenicali del suo giornale: non stiamo parlando dei bigné al pranzo domenicale, ma dell’ordinario pasto quotidiano.
Immagino riceverà altri contributi sul tema e con diverse sfaccettature, da altri membri della mia associazione che verranno in seguito condensati e pubblicati nella sezione “Osservatorio” di www.fotoinfo.net
Grazie ancora per le sue parole e per la sua attenzione.
Nella speranza di ulteriori approfondimenti.
Cordialmente
Lettera di Fabiano Avancini.
Gentile Dr. Valentini,
mi accodo alle osservazioni sollevate dai miei colleghi fotogiornalisti alla sua rubrica "il Sabato del Villagio", dove presenta la strenna natalizia di Ansa. Non ci conti tra i suoi più accaniti lettori perché, purtroppo, da fotogiornalisti, consideriamo il sabato un giorno come altri: il tempo assume diversi connotati per noi. Quindi non abbiamno oggettivamente il tempo di poter considerare le letture per il tempo libero. Come credo del resto molti nel nostro paese, con questo clima da Italia - Argentina. Non calcistico, intendo, purtroppo, un parallelo storico economico che non ho dubbi sia venuto in mente a molti in questo periodo natalizio-bancario.
Lei obiettivamente conosce il suo lavoro e, per parlar di libri, pubblica, nell'articolo citato, l'ennesima foto di Berlusconi.
Tanto che pare uno specchietto per allodole. Con didascalia da museo delle cere, con l'unica differenza che quelle riportano epitaffi completi.
Cortesemente: si chieda cosa c'entrano la faccia e il nome di un politico. Per certi versi credo possa esser considerato autismo giornalistico.Lo sappiamo che esiste Berlusconi, ce ne siamo accorti, e credo sia anche ora di stendere un velo di pietosa censura su questa pessima abitudine,tutta italiana, di continuare a dare spazio sui giornali a "testine" (che non sono ritratti, beninteso) di politici. Di destra o sinistra che siano.
Riguardo al libro/catalogo di vendita di Ansa, ci stiamo ancora chiedendo (non sono l'unico, credo) con quali foto sia stato fatto. Ha scatenato in noi la morbosa curiosità di sapere quali sono stati i fotografi italiani che per Ansa hanno coperto metà globo quest'anno. E anche di vedere quali foto possono rimanere senza didascalia, nel suo confronto mnemonico con l'immaginario imposto dalla televisione. O se sia, come credo giusto temere, l'ennesima rivendita di immagini di fotoreporter e agenzie straniere. Marketing televisivo anglosassone?
Riguardo le didascalie: è da anni che le chiediamo con DATA-LUOGO-EVENTO-TESTIMONE. Non è molto ma rende un minimo di forza documentaria al fotogiornalismo. Come gli epitaffi potrebbero rendere giustizia alle foto tessera dei politici che pubblicate.
Possibile che alle soglie del 2006 non si trovi nessuno all'altezza di produrre un contenitore con gabbie grafiche decenti ed una "predisposizione" all'uso della fotografia? Vorrei inoltre ricordarle che, se una foto può dire mille parole, con l'aggiunta di una riga di didascalia possiamo solo che moltiplicarne l'effetto.
E alla fine una preghiera: smettetela di guardare fuori dalla finestra e di fare giornalismo giocando al "come sono bravi, come sono belli gli altri", mi riferisco al vostro inserto del New York Times, e compratevi uno staff di fotografi che si rispetti; costa poco.Come fanno appunto i giornali stranieri, confidando nella pluralità dell'informazione e considerando la fotografia ancora giornalismo.
Grazie dell'attenzione e buona giornata.
Fabiano Avancini
P.s. Le allego una mia foto, la cui la scarna didascalia può essere: 1992 - Vinckovci - Croatia - protezioni di sabbia all'ingresso dell'Ospedale. Sapere che quella era l'entrata di un luogo di cura, regala una lettura diversa dei fori di proiettile e di tutta l'immagine, credo. La didascalia aggiunge le parole, non le toglie.