Cosa fare quando ci si sbaglia? Il caso delle presunte foto delle vittime di Hiroshima

  • firma: Robert L. Capp
L’apparente oggettiva eloquenza delle immagini fotografiche ha più volte indotto i media a commettere clamorosi errori. I ritmi frenetici di lavoro, la concorrenza fra testate timorose di farsi battere sul tempo dalle concorrenti e il peso insufficiente (quando non inesistente) dato ai redattori iconografici sono probabilmente tra i fattori che spiegano perché ancora oggi simili “sbavature” siano tutt’altro che infrequenti, persino nei più importanti quotidiani nazionali (come del resto tristemente testimonia la rubrica Osservatorio).
L’ultimo episodio in ordine di tempo permette però un interessante confronto a livello europeo sulla maniera di rimediare o quantomeno di dare atto degli eventuali errori commessi.

Il caso riguarda alcune fotografie contenute in un libro pubblicato in marzo negli Stati Uniti con il titolo di Atomic Tragedy: Henry L. Stimson and the Decision to Use the Bomb against Japan, scritto dal professor Sean L. Malloy della University of California Merced. Le fotografie provengono dalla Robert L. Capp Collection custodita dagli Hoover Institution Archives della Stanford University (California).
Del fondo fotografico personale che Capp, membro delle truppe di occupazione di Hiroshima dopo il bombardamento, ha donato agli archivi nel 1998 con la promessa di non renderli pubblici prima del 2007 fanno parte due gruppi di fotografie: immagini scattate dallo stesso Capp e immagini tratte da una pellicola da lui rinvenuta ad Hamada, nei pressi di Hiroshima, nascosta in una grotta.
Il 5 maggio scorso le 10 foto vengono rese pubbliche dagli archivi Hoover e riprese da diversi quotidiani europei, in particolare El Pais (La imagen de la muerte atomica en Hiroscima, 5 maggio 2008), La Repubblica (Ecco le foto segrete di Hiroshima, prima pagina del 7 maggio 2008) e Le Monde (Hiroshima: ce que le monde n'avait jamais vu e La censure américaine a caché les images de victimes 10 maggio 2008, disponibili solo a pagamento).
A pochi giorni dalla pubblicazione su vasta scala, il professor Malloy, che aveva già aveva reso disponibili le foto sul suo sito facendo appello ad altri studiosi e ricercatori per aiutarlo ad attribuire le immagini anonime comprese nella collezione Capp, è costretto ad emettere una nota di correzione (che sarà ripresa nelle prossime edizioni del libro) e a rimuovere le immagini.

Apparentemente infatti alcune (2 o 3) delle 10 immagini non riguarderebbero Hiroshima ma sarebbero state scattate nel 1923 e documenterebbero il terremoto che sconvolse la piana di Kanto, nei pressi di Tokyo. Riguardo alle altre immagini, l’autore ritiene che ulteriori approfondimenti siano necessari.
La stessa Hoover Institution pubblica il 14 maggio una nota sul suo sito (Statement Regarding the Robert L. Capp Collection) e aggiorna il catalogo della Capp Collection.
Non è rilevante in questa sede addentrarsi nel dibattito su chi fra il professore autore del libro e i responsabili dell’archivio debba ritenersi responsabile della leggerezza con cui sono state trattate le fotografie. Più interessante è soffermarsi su come due importanti quotidiani europei, Le Monde e La Repubblica, hanno affrontato l’errore, una volta emerso.
  • fonte: Le Monde, 10 maggio 2008
Precedenza al giornale pomeridiano francese. Già il 14 maggio Sylvain Cypel, il corrispondente da New York autore del primo articolo pubblicato da Le Monde, invia un’inchiesta dal titolo Très suspectes photos d'Hiroshima (Foto di Hiroshima molto sospette, disponibile solo a pagamento) in cui, in sostanza, si da atto di quanto scritto sinora (l’articolo è stato ripreso il giorno stesso dalNew York Times: Le Monde says disaster pictures weren't of Hiroshima).
Il giorno seguente (15 maggio) lo stesso inviato riporta le giustificazioni degli archivi Hoover nell’articolo Photos d'Hiroshima: la Hoover s'explique (disponibile solo a pagamento). Il 17 maggio tocca poi a Véronique Maurus, mediatrice di Le Monde, prendere la parola in risposta alle numerose reazioni dei lettori che l’affare ha suscitato. Va precisato che il mediatore (o garante dei lettori) è una figura comune nei media di oltreoceano (dove è chiamato ombudsman), ma non così diffusa sul vecchio continente, con poche lodevoli eccezioni, fra cui Le Monde, che per primo l’ha introdotta in Europa.
  • fonte: Le Monde, 10 maggio 2008
Nel suo lungo pezzo Le piège des photos (La trappola delle foto, disponibile solo a pagamento), la mediatrice riprende l’intera vicenda e ritorna sulle responsabilità degli attori coinvolti, compresa la redazione, spiegando, tra l’altro, che l’interesse per le fotografie è nato leggendo la copertura data da Repubblica.
Sono significativi soprattutto gli ultimi due passaggi del pezzo: “Le Monde, in fin dei conti, ha soprattutto sbagliato per eccesso di fiducia, accordando una credibilità eccessiva ad un’istituzione riconosciuta (gli Hoover Insitution Archives, ndt). E così ha infranto, senza volerlo, una regola d’oro del giornalismo: la verifica incrociata delle fonti. (…) Sola consolazione: non si è trattato di una manipolazione, ma di una trappola fortuita, quasi inevitabile. La storia della fotografia è zeppa di casi analoghi (…). Ragione di più per raddoppiare la prudenza in futuro. Non apprezzeremo mai abbastanza la virtù del dubbio…”
  • fonte: da www.lemonde.fr, 13 maggio 2008
Qualcuno potrebbe ritenere che conclusioni così indulgenti e di banale buon senso non sono degne di encomi e non rappresentano né un progresso né tantomeno un modello cui ispirarsi. Ma se non altro i lettori di Le Monde hanno avuto diritto ad una rettifica completa, evidente e chiara ed hanno potuto pretendere, in maniera anche dura, una risposta ai loro dubbi da parte della mediatrice.
Inoltre le immagini in questione sono state mantenute accessibili sul sito del quotidiano, ma corredate da una didascalia che precisa con completezza la dubbia attribuzione delle foto.
  • fonte: La Repubblica, 7 maggio 2008
Di cosa si sono dovuti accontentare invece i lettori di Repubblica? Cosa è stato pubblicato a complemento del lungo ed ispirato pezzo di Vittorio Zucconi in prima pagina (a cui l’inautenticità delle foto nulla toglie… ma induce forse a riflettere su quanto marginali e accessori siano alle volte i fatti rispetto ai commenti sulle pagine dei quotidiani, al punto che i secondi possono benissimo fare a meno dei primi)?
Semplice: un trafiletto di 500 battute a pagina 20 del 14 maggio, nella sezione politica estera, dal titolo, peraltro inesatto: Hiroshima, dubbi sulle foto rimosse dagli archivi Hoover.
Nessuna spiegazione, nessun mal di pancia deontologico, nessun buon proposito per l’avvenire.
  • fonte: La Repubblica, 7 maggio 2008
Quanto alle foto poi, la galleria Hiroshima, le foto dell'orrore ritrovate dal soldato Capp è ancora presente sul sito, senza la benché minima didascalia (nemmeno i crediti fotografici. Ma certa cura, si sa, in Italia la si trova solo su Internazionale).