Quando la cultura fa volume

Anche quest’anno si è svolta la cerimonia di consegna del Premio Amilcare G. Ponchielli. Fotoinfo ne ha dato notizia nei giorni scorsi.

 

La partecipazione di 238 fotografi all’edizione 2011 rende merito all’iniziativa, giunta alla sua ottava edizione, anche considerando la qualità di molti progetti, almeno considerando quelli ufficialmente presentati al Circolo della Stampa il 15 giugno scorso.

 

E tuttavia, come già sottolineato in occasione di precedenti edizioni, a me non sembra equo considerare un premio la possibilità di vendere delle fotografie ad un collezionista, che quest’anno è stato SEAT PG: mi sembra una normale contrattazione, per la quale non avrebbe dovuto essere necessario indire una gara. A meno che, pur di far parlare di sé in maniera positiva, per costruirsi cioè (o meglio per rafforzare, come vedremo più avanti nell’articolo) un’immagine di mecenate dell’arte, SEAT PG non abbia capito che era sufficiente stanziare una cifra modestissima -  settemila euro - e mettere al lavoro (gratuito, supponiamo) le gentilissime e capaci photo editor del GRIN per permettere a SEAT PG di acquistare a prezzi molto convenienti alcune opere fotografiche di promettenti nuovi autori, senza peraltro andarli nemmeno a cercare, dato che la gravosa opera di selezione l’ha affrontata e portata a termine proprio il GRIN, a costo zero (immaginiamo).

 

Inoltre, anche questo aspetto è già stato fatto notare su fotoinfo, il prezzo di un’opera dovrebbe fissarla il venditore, in questo caso il fotografo, e non il compratore. E quindi, sarebbe bello sapere, se possibile: quante fotografie ha ceduto, o cederà, Guia Besana, la vincitrice di quest’anno, a SEAT PG in cambio di cinquemila euro? E, allo stesso modo, ci chiediamo: quante fotografie potrà comperare SEAT PG da Francesco Giusti e da Lorenzo Maccotta, in cambio di mille euro ciascuno? Non sono certo, queste, cifre da capogiro e mi aspetto che i colleghi fotografi siano consapevoli, nella cessione delle loro immagini (e relativi diritti di utilizzo) che queste cifre sono, appunto, estremamente modeste, anche considerandole in questo momento storico difficile.

 

Questo primo commento sul premio Ponchelli edizione 2011, tuttavia, è stato unicamente un escamotage: mi è servito soltanto ad introdurre il tema più ampio di cui mi vorrei occupare oggi. Un tema che ha a che fare più con la politica culturale in questo paese che con la fotografia o il fotogiornalismo. Il trait d’union, però, è proprio SEAT PG.

  • fonte: www.passioneitalia.it

Infatti, dal sito dell’azienda www.seat.it veniamo a conoscenza della parallela iniziativa, giunta al secondo anno, denominata “Passione Italia”. Il progetto, che nel 2010 “ha coinvolto appassionati di fotografia e fotografi professionisti che, con il loro lavoro, hanno immortalato un piccolo pezzo di Italia e l’hanno condiviso online” (descrizione tratta dalla relazione contenuta nel Bilancio Consolidato al 31/12/2010, pagina 105) ha permesso di raccogliere, a cavallo tra il 2010 e il 2011, 28 mila foto, che sono state pubblicate sulle copertine dei 53 milioni di volumi di PAGINEBIANCHE, PAGINEGIALLE e Tuttocittà 2011 in distribuzione nel 2011 in tutte le province italiane.

 

SEAT, includendo questo genere di iniziative nel capitolo della loro attività intitolato “Responsabilità sociale”, e ottenendo l’appoggio e il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, del Ministero della Gioventù, del Ministero del Turismo e dell’ Unità Tecnica di Missione della Presidenza del Consiglio dei Ministri per i 150 dell'Unità d'Italia, oltre che di numerose province e comuni italiani, mira a passare questo discutibile esperimento di acquisizione pressoché gratuita dei diritti di utilizzo di foto amatoriali come una operazione culturale. Infatti, alla voce “Responsabilità Sociale” si legge: “il Gruppo Seat punta sull’innovazione tecnologica, ma anche sulla responsabilità sociale: ecco perché da tempo è protagonista di iniziative che favoriscono la diffusione della cultura (…)“.   Il concorso, per confondere ulteriormente le acque, è abilmente intrecciato con un’altra iniziativa, regolata dallo stesso bando, che mira, questa sì, a offrire ad un giovane artista la possibilità di andare a studiare per sei mesi in un centro dedicato alle arti contemporanee di New York.

  • didascalia: " (...) la selezione delle 10 fotografie finaliste che hanno partecipato alla nuova edizione del concorso fotografico digitale (...)"
  • fonte: TuttoCittà 2008/2009 di Cagliari e provincia

Facciamo allora due conti: per comperare le fotografie da stampare sulle copertine e all’interno dei 53 milioni di esemplari di copertine da un’agenzia fotografica, SEAT avrebbe dovuto sostenere (a seconda dell’agenzia e delle foto), una cifra probabilmente oscillante tra i 20 e i 100 mila euro. Con questa iniziativa se la cava con la gestione delle foto caricate sul server dell’azienda da parte dei fotografi e con la ulteriore amministrazione, tramite software, delle votazioni degli utenti del sito. I premi, consistenti in non meglio specificate fotocamere compatte e stampanti digitali (c’è solo la marca, non il modello preciso), sono a carico degli sponsor. Una magia da giocolieri. Una sconfitta per la cultura, dato che le foto, scattate da dilettanti, sono votate, e in definitiva scelte, da altri dilettanti. Inevitabile aspettarsi un livello medio-basso e non, per citare SEAT, “la diffusione della cultura”. Di questi tempi non c’è da stupirsi se questo è il livello delle iniziative. Ma per apprezzare meglio ciò che oggi passa il convento è utile ricordare ciò che SEAT ha significato in anni passati. Un ricordo che abbiamo ricostruito per intero con l’aiuto di un collega fotografo conosciuto tanti anni fa: Roberto Sigismondi. Nella conversazione che abbiamo avuto con Roberto, e integrando e confrontando i suoi precisi ricordi con il poco materiale rintracciabile sul web, abbiamo messo assieme questo quadro generale:

 

1977-78 – Un funzionario SEAT, Umberto De Bernardis, consapevole del ruolo che ogni azienda rispettabile e attenta, appunto, alla propria “Responsabilità Sociale” dovrebbe sentire nei riguardi della nazione che la ospita e dalla quale ha tratto grandi fortune economiche e finanziarie, propone alla direzione dell’azienda che vengano investite risorse per permettere di valorizzare i beni architettonici, storici e artistici italiani attraverso la divulgazione delle opere d’arte, dei luoghi, delle emergenze architettoniche, dei “tesori nascosti” di un’Italia, quella degli anni ’70, ancora ignara della subcultura televisiva commerciale che l’avrebbe inondata negli anni immediatamente successivi.  De Bernardis propone di istituire delle campagne fotografiche destinate alla documentazione visiva rigorosa, ma anche molto evocativa di atmosfere e luoghi avendo come obiettivo specifico alcuni selezionati percorsi tematici dell’arte del patrimonio culturale italiano. Il funzionario SEAT, precisa Sigismondi nella testimonianza che abbiamo raccolto, rischia grosso, e glielo dicono esplicitamente i suoi superiori, perché quelle copertine a cui è destinata la produzione fotografica che dovrebbe uscire da questa iniziativa, sono fonte di reddito, ospitando inserzioni pubblicitarie. Sostituirle con fotografie del patrimonio artistico italiano rappresenta una novità, sì,ma anche un rischio.

 

Dal 1978 al 1997 – Le campagne fotografiche vengono affidate in maniera esclusiva, anno per anno, ad alcuni tra i più noti fotografi italiani: nei primi anni ad Alfredo Pratelli, dal 1981-82 a Giac Casale, che fotografa i musei minori, dal 1984 a Roberto Sigismondi, che opera per sei anni, in oltre cento province italiane, producendo migliaia di immagini di “tesori nascosti”, dal 1990 al 1997 alla archivi Alinari, che le affida principalmente all’allora direttore della fotografia, George Tatge. Le fotografie, oltre ad apparire sulla copertina e in quarta di copertina, vengono utilizzate in volumi annuali editi da SEAT dal titolo "Immagini d'arte in Italia dagli elenchi telefonici" e "Immagini dai musei in Italia dagli elenchi telefonici", ”Immagini dagli elenchi telefonici: i materiali nella storia dell'arte”. SEAT, ci racconta ancora Sigismondi, provvede alla richiesta di tutti i permessi di accesso ai luoghi da fotografare, fa dei sopralluoghi, mette il fotografo in grado di operare nel migliore dei modi, fornendogli anche strumenti di lavoro di supporto, quali gruppi elettrogeni, impalcature, a volte anche la possibilità di volare sull’elicottero per effettuare riprese di qualità. E paga delle parcelle che vengono definite “di tutto rispetto”. Sigismondi non è un raccomandato, è un professionista che sa il fatto suo, vince sugli altri per qualità, creatività, affidabilità, merito. Non certo per parentela o clientela. I nomi degli altri fotografi menzionati sono garanzia e vale lo stesso discorso qualitativo anche per loro. Per finire, SEAT non acquisisce tutti i diritti sulle immagini, che rimangono invece al fotografo, con la sola eccezione dell’utilizzo interno.

 

Poi, negli anni successivi, SEAT decide di allinearsi al peggio che il mercato negli anni ’90 sta nel frattempo inventando sia per demolire le professioni intellettuali e creative, sia per abbassare a livello di supermercato il livello della produzione culturale. E quindi nascono i progetti per acquisire fotografie amatoriali fino ad arrivare al presente “Passione Italia”.  SEAT acquisisce in forma del regolamento tutti i diritti di uso con una ampiezza di utilizzi che difficilmente un qualsiasi altro studio legale potrebbe superare: “L'autore concede a SEAT, in via non esclusiva a titolo gratuito e a tempo indeterminato, il diritto di riprodurre l'opera con qualsiasi mezzo consentito dalla tecnologia e secondo le modalità da SEAT stessa ritenute più opportune - compresa la facoltà di attribuire all'opera un titolo differente da quello scelto dall'autore.” E inoltre, anziché limitarsi alle copertine e ad un uso all’interno dei volumi, il fotografo cede i diritti anche: “nell'ambito di tutte le iniziative collegate o meno al progetto Passione Italia quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, presentazioni, conferenze, mostre, cataloghi e iniziative a scopo di beneficenza.”

  • fonte: www.passioneitalia.it

Riassumendo: dalla opera di diffusione della cultura degli anni ‘70-‘80-’90 attuata e raggiunta attraverso il lavoro qualitativamente alto di fotografi professionisti, SEAT si riduce a fare da collettore di immagini amatoriali a costo zero di cui in ogni caso si assicura un utilizzo pressoché illimitato attraverso un contratto generosissimo nei propri confronti.

 

Se almeno questo avesse portato dei benefici economici all’azienda, non dico che potemmo giustificarne l’operato, ma almeno potremmo capire la logica di massimizzazione del profitto ad ogni costo che l'ha guidata. Ma ci capita di leggere, proprio in queste settimane una serie di articoli che titolano: “Seat Pagine Gialle peggio della Grecia. Rating tagliati a livello di tripla C da Moody's e S&P

 

Nell’articolo del 22 maggio scorso del principale quotidiano economico italiano, il Sole 24 ore, si dice anche che: “Praticamente quasi l'intero debito va a scadere nei prossimi tre anni. E come fa una società che capitalizza solo 150 milioni, produce 500 milioni di margini industriali e ha un patrimonio netto ridottosi a un miliardo e 357 milioni a ripagare tutti quei quattrini? I normali flussi di cassa non basteranno mai, come ben sanno sia il vertice della società che le agenzie di rating. Che non a caso hanno rating spazzatura da tempo sia sui bond da 750 milioni che sul bond da 1,3 miliardi.”

 

Può una società così permettersi una qualsiasi politica culturale? Con ogni evidenza, no. Eppure, nelle sue iniziative di “responsabilità sociale” e di “diffusione della cultura“ riesce ancora a coinvolgere il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, il Ministero della Gioventù, il Ministero del Turismo. Che storia triste.