Ma è crisi del reportage o crisi del sistema?

Da più parti ho notato sottolineare che il reportage è in crisi, molte le argomentazioni. Tutte interessanti.
Andiamo dall'aumento della produzione di immagini, senza la cultura necessaria a produrle (sostituita da mera tecnologia, o denaro), al confronto con altri media più veloci, con altra sintassi, tv, internet etc. etc. con conseguente "diluizione dell'attenzione" nei consumatori dei giornali, e del fotogiornalismo (cfr. anche "rumore di fondo" — Scianna).

Non mi pare sia in crisi il reportage. Mi pare questo bombardamento di immagini stia mettendo in crisi l'intero sistema comunicazione-carta.

Ieri
L'altro giorno alla conferenza “La Foto sul giornale: dieci anni dopo” , organizzata dal Grin e da Fotografia e Informazione, uno tra i relatori, Roberto Briglia, credo, il responsabile editoriale della Mondadori, ha dato un'informazione che mi ha costretto ad un ragionamento “numerico”: la sua azienda usa per i periodici "Panorama", "Donna Moderna" e "Chi" circa 15/17 mila fotografie l'anno...41 foto al giorno.
Non chiedo per educazione quale sia la voce di bilancio in euro, ma sarebbe interessante conoscere il "costo al centimetro quadro" di tali riviste.
A questo aggiungerei un altro calcolo importante: distinguere i centimetri quadri destinati all'informazione da quelli destinati alla pubblicità; con relativo costo al kg, da brava massaia. Dalla differenza tra i due possiamo forse capire qual'è la salute di un sistema simile. Pare ancora reggere: costi/cm2 < minore di ricavi/cm2.
Non ci sono più le disponibilità e i margini di una volta forse, ma credo ci siano anche delle voci di spesa che possono essere valutate in maniera diversa (possono essere tolte), come ad esempio: le foto francobollo.
Quelle che tanto si ama usare per dare movimento grafico alla pagina o per coprire il buco pubblicitario dell'ultimo momento etc. etc.
Sono fotogiornalisticamente inutili.
Sono meglio dei simpatici disegnini: lasciano spazio alla fantasia.
L'unica soluzione per risanare le casse degli editori, purtroppo, pare essere quella di pagare meno i fotografi, e mettere le foto più piccole (e vista la qualità di certi parvenu pare indisponente anche un 10x15).

Oggi
La concorrenza con altri media informativi è normale. L'obsolescenza del quotidiano rispetto ad un sms della stessa notizia è palese. (Una riga di testo che produce l'acquisizione della notizia in uno strumento tecnologico usato nel "privato" ("1 messaggio ricevuto", crea un aspettativa differente) ha un' efficacia diversa rispetto ad uno strumento per cui: mi devo attivare, accendere o comprare e solo poi acquisire l'informazione. Un sistema simile produce, nel trasferimento delle informazioni, il "dato acquisito". Creando quale tipo di informazione? Il primo che comunica crea la verità?)
La differenza è evidentemente nella profondità. La crisi non è nel reportage, ma nell'attenzione di chi fruisce l'informazione in generale.
Per questo forse alcuni cercano un diverso tempo d'interlocuzione col pubblico, nelle gallerie d'arte. Un tempo meno caotico e più riflessivo.
Questa gara ci costringe anche a rivalutare l'importanza del testo (claim, slogan, dida, vedi sopra) e la saturazione iper-realistica dell'immaginazione ci impone di rifugiarci nell'onirico o nell'irreale.
Siamo alla superficie emotiva di un micro-testo (es: YUKOY. Sappiamo da anni che l'andamento delle borse è influenzato anche dall'attualità, che sia possibile anche il contrario? Quando faranno un software in grado di collegare tutti gli eventi di attualità internazionale all'andamento borsistico dei titoli?) che produrrà come conseguenza un'iconoclastia di ritorno (quando siamo partiti? Nicea? o "primo uomo, tu darai il nome"? anche qui keywords? è ora in atto un processo di "analfabetizzazione"? Un marchio-una immagine-una emozione.) svalutando il potere informativo della fotografia (nessuno ci crede più, forse si crede all'autore...forse. Se non sa usare Photoshop.) e spingendo tutti a rivalutare il percorso di produzione dell'informazione (o dell'opera? ci chiuderemo per difenderci nelle parole non dette? aggrappati all'incomunicabile? e il giornalismo?), che per chi vuole si chiama ancora "arte di Ascoltare", ovvero Reportage.
La concorrenza con l'informazione pubblicitaria, con le immagini d'ufficio stampa, tv, web e la fretta del pubblico portano a demolire (e asfaltare) l'auditorium dei violinisti da camera di Scianna.
Vittime dei media caldi (cfr. McLuhan) e della comunicazione "push".
A questo aggiungiamo la comodità delle nuove tecnologie.
Alla conferenza Scianna parlava da un video ad una platea di operatori e studenti della comunicazione. Comodo, davvero, non poteva essere presente quindi ci siamo guardati il video. E' nella nostra cultura ormai (tanto che nessuno ha notato che stava fumando la pipa, in un luogo vietato;-). Presto sarà disponibile anche in internet e potremmo condividere diverse informazioni all'interno del "nodo" di riferimento.
Buffo è anche notare che, tornando in autostrada, ci ha chiamato il nostro quotidiano per fare un servizio fotografico di cronaca. Noi, impossibilitati dal traffico e dalla distanza, abbiamo declinato e per tutta risposta ci è arrivato un:- "non preoccupatevi l'ho sentito al telefono e le foto le può fare il nostro corrispondente" (2.1 euro (+ i.v.a.) a capriola).
Nella cronaca succederà sempre più sovente: i testimoni dei fatti saranno i primi fotografi. Chi arriva dopo potrà solo fare immagini retoriche o cavar sangue dalle rape: tsunami docet.

Domani
La tecnologia sta semplicemente cambiando le carte in tavola.
L'obsolescenza non si applica più solo ai prodotti; si applica anche a classi intere di lavoratori e di professionisti. Come quando la fotografia spazzò via i pittori figurativi: uscirono altre correnti artistiche e molti diventarono fotografi.
Ora il chimico fisico, sostituito dal digitale, lascerà a casa parecchia gente trasformando molti di noi in fotoritoccatori, sceneggiatori (per uffici stampa) o cameramen.
Chi crede ancora "questa carta" avrà lunga vita, visti i costi, l'impatto ecologico e la concorrenza, temo dovrà ricredersi.
L'unica via è legata alla qualità del prodotto e dei contenuti. Queste saranno le uniche armi a disposizione di chi finalmente riuscirà ad usare il mezzo in tutta la sua bellezza e potenzialità.
In sintesi: il giornale è ancora bello come strumento, il reportage non è morto e ci sono un sacco di bravi fotografi.
Potremo forse finalmente vedere una raffinazione del prodotto.
Nel frattempo dovremo aspettarci nuovi "comunicatori-web" che sovvertiranno la verticalità dell'informazione, con costi ridotti (non quelli telefonici, tecnologici e ambientali) e potenzialità minime.
Basando la comunicazione sulla "comunità d'intenti", sfruttando la fiducia attribuita generalmente all'organizzazione e non più sulla base di una forte deontologia professionale. (Qualcosa di nuovo?)
Produrre immagini in digitale è rapido (immediata risposta), economico (non in termini di tempo), e freneticamente distante.
Ci fotografiamo sempre di più i piedi, facendo la foto che "serve al giornale". Nel quotidiano può andare bene non avere tempo di conoscere i soggetti in profondità ma nell'attività di reportage credo (non ne ho esperienza recente) sia necessario, per lo meno a livello empatico, arrivare per certi versi a condividere la stessa vita per rendere giustizia alla realtà, visibile ed invisibile, del soggetto.

A.r.t.e. (Come acronimo di nulla.)
A chi si stia chiedendo cos'altro è cambiato con l'avvento del digitale nella produzione delle immagini posso rispondere per quello che è la mia esperienza: si è modificata la committenza.
Con la credenza Photoshop sia la soluzione dei problemi è nata la corrente di pensiero dei "soluzionisti":-"tanto l'aggiustiamo in fotoritocco".
E' inoltre visibile una forte "assuefazione" alle immagini, nessuno pare più accontentarsi.
E' anche scattata da parte dei fotografi la caccia al banale artifizio d'effetto: si usa bagliore diffuso dappertutto, come fare le boccacce ai bambini. Tante foto, inutili.
Per certi versi, grazie alla diffusione fuori controllo della tecnologia, stiamo vedendo venire a galla l'anima dei vuoti, di bellezza. Che provoca, per la diluizione dovuta alla iper-produzione di immagini, l'esibizione esclusivamente della "superficie visibile" (l'involucro, la forma) e la creazione di un substrato di immaginario a-prova-di-arte.
Il buon gusto naturale rimane una cosa rara, innata ma rara, e il farsi domande è un privilegio. (L'arte ritornerà, senza lasciar tracce, nella meraviglia dello sguardo?)
Con il rischio che molti millantatori sfrutteranno, con attento opportunismo, la confusione generatasi nell'ambiente per fare mostre di ogni cosa (laqualsiasi). Assurgendo a ruoli d'artista in un periodo in cui l'arte non può che latitare.
Lavorando in fotografia il rischio di frustrazione è alto, molto alto. La "flessione" del tempo ha dato vita ad una sottospecie di "arte industrializzata", qualcosa di prossimo-al-bello ma non avendo il tempo di sedimentare ne è lontano. Viviamo una "quasi" vita, "quasi" bella:-"scusate, il telefono".
Si cerca la "qualità media", perché la smania di comunicare supera la reale esigenza estetica, basta mettere la foto più grande. Le regole percentuali sovrastano: comunicare l'empietà pare necessario, in piena "bulimia-immaginifica".
Essendo noi tutti vittima delle prime ondate di "biznis-manager", visto che la creatività non si può insegnare all'università e visti gli effetti collaterali che presto saranno conclamati, consiglierei a tutti gli studenti di economia di fare, almeno per legittima difesa, dei master di est-etica.
Il reportage e la fotografia godono di ottima salute e, cercandoli bene, anche di ottimi autori. E' il sistema che ne fa uso ad essere malato, oggi.


Fabiano Avancini