Post Traumatic Stress Disorder

--> PTSD

Per chi non lo sapesse è una forma di stress psicologico che colpisce chi è vittima o testimone di eventi traumatizzanti.
Noi fotografi spesso abbiamo la propensione a vantarci di quanto visto, o vissuto; per alcuni l'epos è ancora un elemento strutturale della professione. L'importante è essere "reporter", dimenticando il peso ed il costo psicologico di quanto riportato.
Recentemente diverse istituzioni si stanno accorgendo della profondità psicologica di alcune ferite e stanno correndo ai ripari. Si stanno introducendo delle tecniche con sedute di “debriefing" di gruppo, da effettuare entro le 72 ore successive al trauma, per seguire tutti quelli che professionalmente si trovino a vivere o a testimoniare un evento traumatizzante.
Nelle ONG, quelle che possono permetterselo, si cerca di arrestare la deriva psicologica degli operatori che abbiano subito un trauma. Ed il senso di impotenza di fronte a certe enormità che possono trovarsi ad affrontare è considerato tale.
Non faccio riferimento a povere domande che ci si pone sull'utilità di una guerra o meno etc. etc. (anche perché ormai il nostro immaginario è talmente saturo che non ne vogliamo più sapere...e non credo sia un caso) parlo degli eventi che ci troviamo a giudicare con il telecomando in mano, con cui eventualmente fuggire la realtà. Ovvero le storie che possiamo chiudere girando pagina.
Ecco, quelle immagini e quelle fotografie sono prodotte da testimoni, prevalentemente professionisti, e questi corrono il rischio di "contrarre" questa forma di patologia depressiva.
Ma loro non possono cambiare canale ed alcune pagine sono più pesanti di altre da girare.
Quello che professionalmente si può chiamare "pelo", o quello che molti credono cinismo, è semplicemente un sintomo di questo disordine. (E' facile dire:- "cambia lavoro", eh?) Per chi è tutelato da realtà istituzionali e per chi ha "le spalle coperte" da organizzazioni che si pongono questi problemi, tutto bene: debriefing.
Ma il fotografo, o il giornalista free-lance (chi è assunto si può dare malato), che collabora con agenzie o giornali deve semplicemente subire. Sentendosi alle volte schernire (e basta un atteggiamento d'indifferenza) per "mancanza di pelo" (quando si vorrebbe forse solo piangere) da chi magari il "pelo" lo ha visto solo in foto, o per telefono.
Ma oltre il peso psicologico di alcune realtà dobbiamo davvero subire anche l'idiozia del mercato?

Siamo i vostri occhi? Allora ascoltateci.

Fabiano Avancini