Ordine e fotogiornalismo

Una newsletter di Amedeo Vergani, presidente del Gruppo di Specializzazione dei Giornalisti dell’Informazione Visiva, dell’Associazione Lombarda Giornalisti, ha provato a ragionare su alcuni aspetti del Premio Ponchielli 2009 su cui nessuno aveva fino ad ora posto attenzione. Nella lettera si legge: “Non c’è nessun iscritto all’Ordine dei giornalisti nella rosa dei quattordici fotoreporter finalisti dell’edizione 2009 del premio “riservato -dice il bando - a fotogiornalisti italiani” con il quale da sei anni l’associazione dei photoeditor assegna un contributo in denaro (5.000 euro) a quello che viene ritenuto il miglior progetto fotografico del momento”. Vergani chiude il suo scritto citando un'affermazione di Lorenzo del Boca, presidente dell'ordine dei giornalisti, “lettori e telespettatori hanno diritto ad un’informazione visiva prodotta con quelle garanzie di correttezza e quelle assunzioni di responsabilità che possono essere assicurate solo da fotogiornalisti sottoposti alla disciplina dell’Ordine”.

Alle constatazioni di Vergani è seguito un dibattito che potete leggere sul blog del Gruppo Redattori Iconografici Nazionale . In questa sede è utile prendere la lettera del presidente del GSGIV come stimolo per fornire alcuni dati che riguardano l’ingresso nella professione e la realtà della stessa. Senza i quali è difficile capire come una sensata teoria si trovi a non trovare riscontro pratico.


In Italia non solo non esistono scuole di fotogiornalismo riconosciute dall’Ordine, ma pochissime sono le scuole di fotogiornalismo. Inoltre nelle varie scuole e master di giornalismo riconosciute non è prevista una specializzazione in fotogiornalismo e irrisorie sono le lezioni ad esso dedicate, per lo più confinate all’interno di cosiddetti “laboratori”. Chi si ritrova diplomato in una scuola di fotografia e decide di intraprendere il mestiere di fotogiornalista ha pochi modi per farsi conoscere e “riconoscere”, uno dei quali è la partecipazione ai concorsi, che forzatamente potrà avvenire senza un supporto formativo garantito dall’Ordine e senza tessere di alcun tipo.

In Italia l’unico modo che un fotogiornalista ha di essere “riconosciuto” è l’iscrizione all’Ordine dei giornalisti: la quale può avvenire in qualità di Giornalista Professionista o di Giornalista Pubblicista. Per entrarne a far parte, nel primo caso (iscrizione come professionista) occorre superare un esame di stato (che - per i fotogiornalisti - si svolge con modalità uguali a quelle dei giornalisti di penna). Nel secondo caso (iscrizione nell’elenco pubblicisti) occorrono due anni di pubblicati, documentazione anche contabile del lavoro svolto, dichiarazione di almeno un direttore di testata che attesti la collaborazione con una testata per due anni. Insomma prima di essere pubblicisti occorre aver svolto questo mestiere per due anni, o meglio ancora essere in grado di dimostrarlo. Nel corso di questo periodo di due anni la partecipazione a concorsi fotografici nazionali o internazionali rischia di essere una delle poche possibilità per farsi conoscere come professionisti e per non restare fuori da ogni possibilità lavorativa.

Un fotogiornalista, forzatamente, in Italia, svolge la professione da free lance, per motivi spesso analizzati su questo sito e che qui non sto a ripetere. E’ un dato di fatto che la stragrande maggioranza dei fotogiornalisti siano free lance. Ma perché essi dovrebbero iscriversi all’Ordine dei giornalisti? Per dimostrarsi credibili, attendibili e garantire correttezza nell’informazione?
Dovrebbe essere così ma purtroppo in Italia la credibilità dei giornalisti e dell’Ordine dei giornalisti in particolare, è messa a dura prova: non solo perché l’Ordine non sempre è stato in grado di sanzionare adeguatamente comportamenti palesemente scorretti sotto il profilo deontologico, ma anche perché dello stesso Ordine fanno parte professionisti che poco hanno a che vedere con l’informazione e molto di più con la propaganda, che sia politica o commerciale. In sostanza, nel pensare comune, appartenere all’Ordine dei giornalisti non è garanzia di correttezza o serietà ma tutt’altro, è visto quasi come un privilegio: l’Ordine è considerato una casta. Ciò è confermato dalla ricerca commissionata dall’Ordine Regionale della Lombardia ad Astra Ricerche intitolata “Il futuro del giornalismo” (che abbiamo già citato in un altro articolo e che potete consultare cliccando qui per scaricare un file pdf ).

Ma andiamo al di là anche del pensare comune e di ogni forma di qualunquismo: pensiamo alla realtà. In Italia quella del fotografo è una professione non-riconosciuta: ovvero non esistono albi, associazioni, commissioni, gruppi che certifichino la sua professionalità. Ne sa qualcosa l’Associazione Nazionale Fotografi Professionisti che da più di 15 anni sta seguendo un progetto di legge teso alla creazione di associazioni certificate , appartenendo alle quali si otterrebbe una sorta di attestato di credibilità.
Per tradizione il fotografo, e quindi anche il fotogiornalista, è abituato a non essere parte di niente, a non avere e non dare niente ad alcuna struttura associativa, anche da qui derivano certe comprensibili scelte di non legarsi ad Ordini e Albi. Niente hanno avuto i fotogiornalisti, niente danno.

La conclusione la lascio ad una dichiarazione del fotogiornalista Roby Schirer che riprendo da una delle tesi pubblicate su questo sito : "La nostra professione non è riconosciuta, è un po’ come si diceva per “L’uomo senza qualità” di Musil: sapeva fare tutto e conosceva molto ma non aveva una sua collocazione specifica. Noi che facciamo questo lavoro siamo simili. Siamo una categoria, un gruppo di professionisti che non hanno una riconoscibilità definita in una parola, che poi è anche il simbolo, la manifestazione di una realtà. E’ una realtà talmente amorfa, talmente varia, inafferrabile che non esiste neanche una parola che ci descriva. E spesso c’è un atteggiamento di minore attenzione, quasi di discriminazione, nei confronti del fotografo rispetto al giornalista o all'operatore televisivo che lavora con il giornalista ed è più tutelato. Anche da parte dei giornalisti stessi. Perché la stampa in Italia ha un atteggiamento di tipo letterario e non di informazione con una accezione più ampia: informazione è quello che si scrive o che si dice, non quello che si fa vedere".

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