Fabio Polenghi

Andrea Pistolesi, fotografo italiano che si trovava a Bangkok il giorno in cui è stato ucciso Fabio Polenghi, ha scritto sul suo blog: "La realtà oggi sta in questa folle situazione professionale che spinge il fotografo a cercare l'immagine straordinaria per guadagnarsi da vivere". Le sue parole aleggiano su tutti coloro che in Italia si occupano di fotogiornalismo.
Noi non conoscevamo Fabio Polenghi, ma abbiamo interpellato persone che invece lo hanno conosciuto e ci hanno lavorato insieme. Sentendole e leggendole possiamo dire che non crediamo che Fabio fosse alla ricerca di un'immagine straordinaria, anzi, non sappiamo nemmeno con chi stesse collaborando. Non siamo al corrente dell'esistenza di una fantomatica "rivista europea" per la quale stesse lavorando (come dice il comunicato Ansa), non sappiamo se avesse un vero assignment o solo un accredito stampa, che in certe situazioni vale come carta straccia.
Non siamo riusciti a saperne di più: ce ne dispiace e ci scusiamo. Possiamo solo dire che questa assenza di informazioni è inquietante alla luce della morte di un collega, ma rappresenta bene la situazione in cui i fotografi italiani sono costretti a muoversi.
Così come ben la rappresenta la storia di Fabio.
Dopo tre quattro anni a Milano quasi avvilenti si è trovato a decidere di emigrare all'estero per trovare una base di lavoro che gli consentisse di trovare il riconoscimento che meritava la sua professionalità. "Pensando ad un paese dove fosse più facile, oltre che più interessante, di quanto non fosse in Italia trovare storie da fotografare e da proporre" scrivono Elena Ceratti e Gino Ferri sul blog del GRIN.
Ha deciso per Bangkok e come è andata a finire lo sappiamo. Non è il caso in questo momento di cercare colpe o responsabili.
Certo, ci sarebbe piaciuto che certi siti di quotidiani nazionali (dei quali non citiamo nemmeno il link per evitare un incremento immeritato di visite) non avessero pubblicato la foto del suo cadavere. Che avessero specificato se i familiari hanno autorizzato l'utilizzo delle foto tratte dal suo profilo di Facebook. E infine che - a tempo debito - avessero dato spazio alle immagini dei suoi reportage sulle loro pagine invece di buttarcisi a pesce ora, col solo scopo di aumentare il traffico sulle loro pagine web.
Ma ormai sappiamo con chi abbiamo a che fare.
Da qualche parte restano le foto di Fabio: che qualcuno le recuperi, che non vadano perdute, che almeno si renda omaggio ad un valido professionista. Ma ricordiamoci tutti che non può e non deve essere sempre troppo tardi.