Il fotogiornalismo italiano ha finalmente una sua prima storia. A scorrere "l'indice delle persone" si intuisce che l'orizzonte di analisi è ampio. Per le strane e involontarie accoppiate legate all'ordine alfabetico ci sono: alla A "Arafat, Yasser" leader dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina seguito da "Arago, Francois" l'inventore della fotografia, alla B troviamo "Bava Beccaris, Fiorenzo" il generale che sparò a mitraglia sulla folla nei moti del 1898, prima di "Bavagnoli, Carlo" fotografo per Life e compagno di stanza nella Milano del dopoguerra di Luciano Bianciardi, alla K ci sono le "Kessler, gemelle" ballerine protagoniste delle prime serate televisive degli anni 60 e subito dopo "Klein, Jonathan" cofondatore e amministratore delegato di Getty Images, alla M "Mulas, Ugo" prima del grafico e designer "Munari, Bruno", alla N "Nachtway, James" fotografo tra i fondatori dell'agenzia VII e a seguire "Namias, Rodolfo" fondatore, anche lui ma alla fine dell'Ottocento, della rivista Progresso fotografico, via via fino alla Z di "Zizola, Francesco" fotogiornalista pluri premiato del World Press Photo, subito prima dello scrittore fotografo "Zola, Emile".
Uliano Lucas e Tatiana Agliani con la loro storia hanno riempito una vistosa lacuna. Con un lavoro di grande impegno hanno messo in ordine i principali attori del nostro fotogiornalismo dalle origini fino alla fine del secolo scorso. Il loro racconto corre fra gli sviluppi delle tecniche fotografiche, le storie dei fotografi, le testate giornalistiche che hanno pubblicato le immagini, le vicende politiche e sociali dell'Italia. Si riesce per la prima volta ad avere un buon quadro d'assieme anche se a nostro avviso mancano ancora riferimenti più precisi alle vicende del mercato editoriale e della fotografia d'informazione, elementi non marginali nella storia.
Qualche approfondimento intorno alla nascita e sviluppo dei maggiori gruppi editoriali, alle proprietà dei giornali, sarebbe stato utile. In particolare qualche nota su Rizzoli e Mondadori avrebbe contribuito ad equilibrare maggiormente l'analisi intorno alle vicende dei primi rotocalchi e il periodo fascista. Omnibus, ad esempio, non fu solo il frutto dell'iniziativa di "Leo Longanesi, enfant prodige del giornalismo del Ventennio", fu dovuto anche all'interesse dell'editore Angelo Rizzoli a far lavorare a pieno ritmo i suoi nuovi impianti - per la stampa a rotocalco appunto - per ammortizzare l'investimento. Ed è da questa esigenza di bilancio che, nel 1939 dopo solo due anni di vita, subito dopo la chiusura forzata del settimanale longanesiano per ordine del Ministero della Cultura Popolare, uscirà Oggi diretto da Mario Pannunzio e Arrigo Benedetti "allievi" di Longanesi. D'altra parte va dato atto che, per una volta, di Omnibus se ne parla come di un giornale dove le fotografie sono usate in un modo "strumentale, che le sottrae al tipo di narrazione informativa e documentaria (...), per farle divenire parte di un suo [di Longanesi ndr] discorso politico e ideologico". Nelle analisi che abbiamo letto fino ad oggi questo giornale è sempre stato visto invece come espressione della fronda al fascismo e come il primo ad usare in modo nuovo le fotografie: sul come venissero usate non erano mai state fatte osservazioni pertinenti.
Coordinare e documentare tutti i piani di analisi in un unico discorso ha portato ad un apparato di note forse troppo denso e, in alcune occasioni, ha condotto gli autori a relegare fuori testo importanti osservazioni rimaste senza adeguate motivazioni. Ad esempio nel VII capitolo dedicato delle trasformazioni della stampa negli anni Ottanta alla nota 27 si legge che i quotidiani "rivelano altresì un’incapacità di comprendere il valore prettamente giornalistico dello scatto fotografico." L'affermazione - più che condivisibile e di non poco conto - sollecita però qualche motivazione in più anche perché permea e caratterizza ancora oggi molta stampa quotidiana.
Quello che però ci pare maggiormente riduttivo è la scelta di parlare quasi esclusivamente dei fotogiornalisti freelance, soprattutto dagli anni Cinquanta in avanti. La scelta trova una sua motivazione nell'oggettivo loro prevalere fra quanti hanno prodotto i materiali più significativi in un mondo dell'informazione omologato ma, è altrettanto innegabile che le immagini delle cronache quotidiane che raccontano il paese, sono arrivate e arrivano dagli operatori delle agenzie di stampa e delle agenzie fotografiche tralasciati completamente o relegati comunque al margine della storia. Oggi inoltre, con una rivoluzione digitale in pieno corso che continua a slabbrare i confini della professione, gli operatori delle agenzie di stampa sono rimasti gli unici fotogiornalisti a tempo pieno con committenti, regole ed etica ben precisi. Al contrario dei freelance sempre più ai margini del lavoro giornalistico dove il tradizionale committente editoriale è quasi scomparso e i lavori di reportage e documentazione sono trasformati spesso solo in progetti per premi e concorsi fotografici.
Nella storia di Lucas e Agliani le conclusioni sul "fotogiornalismo ai tempi di internet" sono giustamente aperte per l'impossibilità di analizzare un periodo "ancora troppo magmatico e vicino nel tempo per essere storicizzato". Ma proprio quei fotoreporter tralasciati potrebbero diventare - o forse già sono - i custodi della professione. E i loro modi di lavorare, la loro formazione, la loro cultura potrebbero essere la chiave da cui far ripartire l'analisi sul nuovo fotogiornalismo. È un peccato non averne parlato più in profondità.
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