A Les Rencontres de la Photographie di Arles è facile fare indigestione di mostre. Per chi volesse andare da quelle parti in questi mesi estivi ne segnalo alcune in qualche modo interessanti, a mio giudizio ovviamente.
Iniziamo con Don McCullin, Looking Beyond the Edge. Non è una novità d’accordo, non presenta inediti ma ripercorre la sua storia professionale con immagini anche poco conosciute. Niente guerre ma tutto sul “margine”, dai homeless di Londra al confine del mondo occidentale percorso con Bruce Chatwin.
Nella visione totale della fotografia che caratterizza i Rencontres, non poteva mancare una rivisitazione molto allargata della Street Phototgraphy in un percorso storico.
Raccomando Sid Grossman (1913-1955), From Document to Revelation. Prima mostra europea per questo fotografo americano anche lui con lo sguardo rivolto verso il margine della città di New York; ha iniziato negli anni trenta a fotografare il quartiere allora poverissimo con le case senza bagno di Chelsea dove scelse di andare ad abitare. Fu fra quelli che aiutarono a fondare la Photo League e fu bollato come sovversivo comunista dalla FBI. Inserito negli anni del dopoguerra nelle Black List, che non comprendevano soltanto celebri registi, sceneggiatori e scrittori, passò a fare ritratti di musicisti per pochi dollari per le case discografiche. Lo chiamava un “Five dollars job”.
Eamon Doyle, 47 anni, presenta End che raggruppa tre diversi lavori tutti scattati sotto casa o comunque nella sua Dublino. Siamo nel territorio della fotografia artistica dove anche l’allestimento e le musiche fanno la loro parte. Le fotografie sono molto intriganti per i tagli e per la potenza.
Gary Winogrand (1928-1984) - lo definirei la leggenda della street photography - e Ethan Levithas, nato nel 1971 di New York anche lui, sono presentati insieme dal curatore Joshua Chuang. E molti, io incluso hanno storto il naso; qualcuno ha detto persino “ma come si sono permessi di accostare questo qui con Winogrand. Certo sono i due estremi nella nostra epoca. Sorretti da differenti tecnologie, tutto analogico e grandangolo Winogrand e digitale spesso usato con potente tele e grande formato Levithas. Viene da dire scene di strada il primo contro ritratti di strada il secondo.
Allestimento essenziale con solo le gigantografie dei provini a contatto per Winogrand, allestimento scenografico per Levithas con luci e posizionamento delle immagini che aggiungono atmosfere e significati alla lettura della mostra.
Christian Marclay, 1955, artista californiano che vive e lavoro a New York presenta Pub Crawl. È una installazione video sonora datata 2014 dove su diversi schermi in una galleria passano velocemente fotografie, in una sorta di animazione, di tutto quello che si può trovare per strada dai mozziconi di sigaretta, cannucce delle bibite, bicchieri vuoti, tappi di bottiglia ecc. Giusto perché i video ormai da tempo si stanno facendo sempre più spazio nella comunicazione e perché le fotografie ritraggono innegabilmente la strada.
Yan Morvan, è presente ad Arles con la mostra Battlefields. Fotogiornalista a tutto tondo, ha pubblicato la sua prima foto su Libération nel 1974, fino ad arrivare ad essere collaboratore fisso di Newsweek e coprire numerose guerre, due World Press, una menzione al Robert Capa Award, autore fra l’altro di uno dei pochi manuali di fotogiornalismo. La sua mostra allestita in una sequenza circolare copre 3500 anni di storia in 80 fotografie di campi di battaglia ripresi tutti in grande formato (20x25). Il lavoro, strettamente di documentazione, è straniante e affascinante.
Un’ultima mostra perché rappresenta bene le strade dell’impegno e l’evoluzione della comunicazione con le sue contaminazioni fra generi e media. L’autrice è la spagnola Laia Abril classificata fra le storyteller e questa volta il termine è appropriato. Laureata in giornalismo con studi al ICP a New York ha un curriculum di tutto rispetto e presenta A History of Misogyny, Chapter One: on Abortion. Un lavoro di documentazione multimediale che incrocia, le storie delle donne di diverse nazionalità anche italiane, vittime di aborti cercati e negati, di aborti subiti per legge, storie di donne condannate per aver abortito. Le loro storie sono da leggere nelle didascalie dei loro ritratti riprodotti da giornali o da foto di famiglia. Poi ci sono i video delle dichiarazioni antiabortiste dei politici, mandati in loop come una colonna sonora intermittente. Di contorno le immagini dei primi preservativi e gli strumenti per indurre e praticare gli aborti. Il tutto con la presenza incombente di un vecchio lettino ginecologico centro dell’esposizione. I visitatori passavano da un’immagine all’altra, meglio da una didascalia all’altra, in silenzio per attraversare un racconto che ha date anche molto recenti. Purvi Patel, 34 anni, nel febbraio 2015 è stata condannata a 20 anni di prigione da un tribunale dell’Indiana - USA - dopo che aveva confessato di aver abortito grazie ad un medicinale comprato illegalmente on-line da una farmacia di Hong Kong.
La rivista Madame Figaro le ha assegnato 1er Prix de la photo.,
On Abortion Tourism, Marta (Krakow, 29). On January 2nd, 2015, she was forced to travel to Slovakia to have an abortion, which is illegal in Poland unless a woman’s health is at risk, the foetus is malformed or the pregnancy is the result of a criminal act. Because she learned about her pregnancy during Christmas time, she had to a wait few weeks before making the trip. The anxiety of waiting made her try desperate (and cheaper) alternatives: ‘I took a bath in boiling water and swallowed many aspirins, I did not succeed. I was too afraid to hurt myself. I just wanted to end it, I wanted to feel stronger than the law.’ On her 7th week of pregnancy, 445 euros in hand (all the money she had at that time), she jumped into a van at a gas station in Krakow, together with two more gravid girls, and travelled to an abortion clinic in Sliac specialised in welcoming polish women unable to have the procedure in their country. Although the almost 15-hour experience passed without any altercation, Marta had to face her—at that time, coercive boyfriend. ‘He begged me to not do it […] when I called him during the trip complaining about the van's bad smell, he answered: “that seems fair, murderers should be treated as cattle”. ’ Krakow, Poland, 2016.
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