La tirannia del click

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  • titolo articolo: Canonizzazione, fotoracconto dalla piazza di Concita De Gregorio

Canonizzazione, fotoracconto dalla piazza di Concita De Gregorio
I volti di grandi e bambini e tutti i piccoli dettagli che colorano piazza San Pietro il giorno della canonizzazione di Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII. Il fotoracconto di Concita De Gregorio 

Questi il titolo e il sottotitolo del fotoracconto apparso il 27 aprile 2014 sulle pagine di Repubblica.it realizzato dalla nota giornalista Concita De Gregorio (ex direttore de l'Unità, attualmente editorialista de la Repubblica, conduttrice di una trasmissione televisiva): ritratti e dettagli di persone che hanno affollato Piazza San Pietro a Roma durante un evento religioso di risonanza internazionale.

Le immagini sono però trascurate nella realizzazione, prive di un filo conduttore narrativo e di una minima uniformità stilistica (seppur semplice da ottenenere con gli innumerevoli filtri presenti su ogni smartphone che si rispetti). Insomma sono fotografie di rara bruttezza.

 

Questa però potrebbe anche essere una valutazione soggettiva o addirittura non avere importanza, dato che, come spesso si ripete nell’ambito della comunicazione, quello che conta è l’utilità di una fotografia e non solo la sua componente estetica. Potrebbe … però questo fotoracconto pare contraddire tali considerazioni.

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Innanzitutto esiste una soglia, una sottile linea rossa, sotto la quale un’opera non può nemmeno arrivare ad ottenere una valutazione soggettiva, perché la sua sgradevolezza è oggettiva, innegabile, impossibile da non notare. È realizzata con orrori di ortografia e di sintassi, dovuti sovente alla superficialità, alla svogliatezza o alla fretta, che la rendono inequivocabilmente di basso livello. Un’opera si definisce tale grazie all’attenzione dell’autore ai dettagli, ad ogni dettaglio della sua concretizzazione. Quando tale cura manca ce ne accorgiamo, facilmente e subito: ascoltando una canzone, leggendo un testo, assaggiando una pietanza, guardando un quadro, toccando una stoffa. Quante volte abbiamo corretto i temi dei nostri figli perché proprio non si potevano leggere tanto erano scritti male, quante volte abbiamo detto “Questi spaghetti sono immangiabili!”

Bene, in queste fotografie ogni dettaglio è trascurato e dunque sono oggettivamente malfatte, fastidiose, insipide. Lo sono perché un livello culturale minimo le ritiene tali, perché non superano la linea rossa della sufficienza per giungere a meritarsi una valutazione soggettiva.

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Come si diceva però, questo potrebbe non avere importanza: quello che conta è l’utilità delle immagini, e allora chiediamoci perché tali foto sono state considerate utili dalla redazione de La Repubblica, tanto da decidere di pubblicarle nonostante la loro oggettiva sgradevolezza. Non sono belle, ma sono forse buone?

Beh, se l’intento è quello di avere delle foto gratis da Piazza San Pietro durante un evento di portata internazionale, le immagini di Concita sono abbastanza buone. Dipende dal compenso dell’autrice certo, ma diciamo che presumibilmente un’editorialista di Repubblica riceve un compenso forfettario per ciò che scrive e se - sua sponte - ci aggiunge delle foto, per il giornale è tutto grasso che cola.

Se l’intento è quello di attirare i fan della De Gregorio a guardare la sua opera fotografica, le immagini possono essere considerate abbastanza buone: molti le hanno certamente viste solo per questo motivo e insieme ad esse si sono pure sorbiti le inserzioni pubblicitarie che le affiancano.

Se l’intento è quello di trovare un escamotage per aumentare la permanenza di un visitatore sulle pagine web del sito Repubblica.it le foto sono da considerarsi ottime! Moltissimi, come me, avranno certamente cliccato sulla freccia che manda all’immagine successiva pensando “Ne avrà fatta almeno una decente!”

Quindi il primo quotidiano italiano ha ottenuto un alto numero di visite sul proprio sito e un’alta fruizione delle pubblicità in esso contenuta grazie ad immagini fornite gratiuitamente (o quasi) da una sua prestigiosa firma. 

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In realtà un alto prezzo è stato pagato.

L’operazione di Repubblica dimostra ancora una volta che quello che conta per i giornali italiani non è la qualità, ma la quantità: di immagini (51 quelle pubblicate online nel fotoracconto in questione!), di click e di  denaro (risparmiato con il mancato ingaggio di un bravo fotografo e incassato dagli inserzionisti).

Ma soprattutto è l’ennesima prova che quello che NON conta per un quotidiano italiano è il suo intento pedagogico-educativo: fornire informazioni e strumenti di conoscenza al lettore con metodi e mezzi che lo stimolino culturalmente e gli consentano di esercitare consapevolmente i suoi diritti e doveri evidentemente non ha importanza.

Pubblicando fotografie del genere si svolge un atto di diseducazione all’immagine che va a scapito di tutti i minimi risultati raggiunti in questi anni, anche - non solo - grazie all’utilizzo dei social network, dei siti di photo sharing, della diffusione di fotocamere digitali (fuori e dentro gli smartphone. E lo dico perché con tale strumento pare realizzato il fotoracconto considerato).

Insomma un processo in cui tutti i cittadini si sono abituati a realizzare e a vedere belle fotografie viene vanificato da chi questo sviluppo dovrebbe stimolare, incoraggiare e - perché no - sfruttare.

Molte potevano essere le alternative al fotoracconto della celebre editorialista: affiancarle un bravo fotografo, condurre un’accurata ricerca iconografica tra le tante immagini realizzate durante l’evento (da professionisti e non), inventarsi un hashtag dedicato per raccogliere e selezionare foto di utenti dei social network, imporre un corso di fotografia come aggiornamento ai propri collaboratori, etc etc.

Insomma l’operazione poteva essere gestita meglio sia dal punto di vista giornalistico che da quello economico. Non si è fatto. All’interno di una redazione non si ha la mentalità e la cultura per farlo. Ma se non sono capaci lì, chi dovrebbe esserlo?

 

Il prezzo pagato dunque è altissimo e riguarda non solo il lettore che si vede offerto un prodotto editoriale di scarsissima qualità, ma anche l’attendibilità del giornale, che dovrebbe reggersi su una qualità e un’innovazione nelle proposte che invece paiono ancora un miraggio.

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