Dalla “street photography” alla “street view photography”

  • fonte: http://www.photomichaelwolf.com/street_view_unfortunate_events/
  • titolo articolo: street view: a series of unfortunate events #51
  • nota: l'immagine è utilizzata secondo i principi del "fair use"

Recentemente un mio allievo di un corso di fotogiornalismo mi ha consegnato un lavoro, relativo ad un’esercitazione che avevo assegnato, realizzato con fotografie “ricavate” da Street View, servizio di Google Maps. Alle mie rimostranze (“ho il compito di insegnare a fare fotografie, non di portare a compimento una ricerca iconografica”), ha semplicemente risposto: “Ma Prof, lei non ci ha detto che le foto dovevamo scattarle noi”, (allievi, ndr). Aveva perfettamente ragione. Non solo: le immagini consegnate erano perfettamente in linea con quanto da me richiesto per l’esercitazione, pertinenti al tema e pure curate sia nella post produzione che nella presentazione. Insomma le ho accettate insieme alle sue sacrosante osservazioni, rimproverandomi (da un punto di vista didattico) di aver dato per scontate troppe indicazioni. In tal caso il mezzo è stato funzionale alla richiesta, e col senno di poi posso dire che l’utilizzo di Street View da parte del mio allievo è stato anche un personale strumento di riflessione sulle nuove tecnologie ed opportunità a disposizione dei fotografi.

All’ultima edizione del World Press Photo sono state premiate le immagini di Michael Wolf (menzione d’onore nella sezione Contemporary Issues): fotografie selezionate accuratamente ed estratte da Street View per essere riproposte al pubblico come servizio dal titolo “A series of unfortunate events”, una serie di eventi spiacevoli. In tal caso - non essendoci sul sito del WPP il nome di una testata accanto a quello di Wolf, nella galleria di immagini del servizio premiato (ma solo quello dell’agenzia fotografica che lo rappresenta Laif Photos & Reportagen) - ritengo che il progetto sia da considerarsi una ricerca personale, ovvero un’iniziativa del fotografo, il quale, inviandole al suddetto prestigioso concorso, le ha considerate inseribili nell’ambito del fotogiornalismo o della fotografia documentaria.

Per mia formazione ritengo che le fotografie documentarie, per essere definite tali, debbano soddisfare le direttive impartite nel 1935 da Roy Striker ai fotografi ingaggiati dalla Farm Security Administration: immagini fotografiche delle condizioni di vita delle persone dalle quali possa trasparire il loro rapporto con l’ambiente, con le attività e con il momento storico in cui stanno vivendo. Persone, luoghi, professioni, usi e costumi di una precisa epoca.

Sinceramente non mi sembra che le foto di Wolf soddisfino questa richiesta base della fotografia documentaria. Gli sfortunati o spiacevoli episodi riproposti dal fotografo potrebbero essere avvenuti ovunque e in qualunque tempo: non ci danno informazioni e non ci forniscono uno spaccato né di un paese, né di un evento, né di un’epoca.

E’ chiaro che qualsiasi strumento (sia esso un foro stenopeico, una fotocamera usa e getta, una moderna macchina fotografica digitale, un banco ottico, Google Earth o Google Street View) può essere adatto alla realizzazione di fotografie documentarie, ma in questo particolare caso il mezzo non è stato funzionale alla richiesta, ed è avvenuto esattamente il contrario: si tratta di un progetto fotografico premiato per il virtuosismo nell’utilizzo di uno strumento e non per la sua natura giornalistica o documentaria. Come invece dovrebbe avvenire in un premio che contiene la parola “Press” nella sua denominazione.

  • fonte: http://www.photomichaelwolf.com/street_view_unfortunate_events/
  • nota: l'immagine è utilizzata secondo i principi del "fair use"