Intervista Howell Raines, direttore del New York Times

Quando Howell Raines è diventato direttore del NYT nel settembre del 2001, si è subito messo in moto per rendere la "vecchia signora in grigio" più interessante dal punto di vista delle immagini.: i risultati non si sono fatti attendere: due premi Pulitzer vinti nel 2002 da fotografi del suo staff nelle categorie breaking news e feature photography. Certamente il giornale si è preso anche la sua parte di contumelie, sia dai freelance contrariati dalla decisione del giornale di non pagare più il costo della trasmissione digitale, sia per la storia relativa al licenziamento di Edward Keating, sorpreso da colleghi ad orchestrare una situazione fotografica su una news. Sempre disponibile a rimescolare le cose, Raines ha fatto circolare recentemente un memo che annunciava la formazione di un comitato che si sarebbe occupato del miglioramento della presentazione delle foto e della necessità, da parte del suo staff fotografico, di scovare storie più avvincenti. Recentemente PDN si è incontrato con Raines, e sebbene abbia voluto lasciar da parte la vicenda Keating e le rivendicazioni dei freelancers, ha comunque apertamente discusso con noi di cosa significa la fotografia al NYT, del perché il centro America rivestirà una maggiore importanza nelle pagine del giornale e quale sarà la loro strategia in previsione di una possibile guerra in Iraq.
Che cosa si aspettano i vostri lettori dalle fotografie del NYT ?
Troveranno un più ricco mix di fotografie e una migliore impaginazione: da quando sono diventato il direttore ho speso un sacco di tempo al dipartimento fotografico, con i nostri grafici, coi designers, per capire meglio il giornale. Sono uno che crede molto nelle immagini e sono anche un fotoamatore. Non è però certo una faccenda di gusti personali: su un giornale come il NYT è importante che noi riusciamo a comunicare in tanti modi diversi e se ti soffermi ad analizzare le nostre fotografie, ti accorgerai che tendiamo a scegliere sempre quelle con un altissimo contenuto informativo. Il momento in cui siamo riusciti a sposare questo tipo di intenzioni con dei fortissimi contenuti estetici è stato durante la guerra in Afghanistan, anche perché avevamo a disposizione un intera sezione: "a Nation challenged" e quindi tutto lo spazio necessario per mostrare immagini di combattimenti veramente drammatiche.
Come fa un quotidiano ad assicurarsi uno spazio simile ?
Siamo molto più flessibili di tanti altri giornali dove le news sono relegate a quello spazio preordinato e non possono permettersi di spostare le pagine pubblicitarie. Noi, invece che lavoriamo fianco a fianco con chi si occupa della produzione sappiamo quando possiamo sforare: questo però impegna fotografi ed editor nel produrre materiale di altissima qualità. E' un processo che si acquisisce giorno per giorno e una delle cose nelle quali un editor come me deve diventare esperto è il guardare nelle strade e riconoscere le opportunità di raccontare grandi storie: di conseguenza avere a disposizione lo spazio necessario. In particolare diventare sufficientemente accorti da essere capaci di creare quest'ultima condizione.
Quali i prossimi traguardi per il dipartimento fotografico?
Dato che abbiamo uno staff così forte e pieno di talenti a New York City, voglio sentire il polso della città nelle nostre pagine.Mi preoccupo particolarmente delle ultime notizie(breaking news) una delle cose nelle quali siamo diventati molto bravi è quel tipo di fotografia che prima il lettore si aspettava di trovare principalmente nei tabloids. Certo noi non usiamo fare del sensazionalismo così come fanno loro, ma ritengo che la vita della città si rifletta molto di più nel nostro modo di fare fotogiornalismo adesso che non nel passato. L'altra cosa che abbiamo fatto e in maniera molto determinata, è quella di inviare molto più spesso i nostri fotografi in giro per il paese e per il mondo.
Parlando di questo, che strategie adotterete per coprire la possibile guerra in Iraq e che lezione avete tratto dalla guerra in Afghanistan ?
Penso che questa guerra sarà dura da coprire perché il campo di battaglia in Iraq sarà molto più controllato di quanto non lo fosse in Afghanistan. A causa della natura geografica e dei suoi confini porosi siamo stati in grado di infilare molti nostri giornalisti nelle aree sensibili molto più di quanto fossimo stati in grado di fare nel 1991. In quella guerra il Pentagono ha operato un controllo molto rigido sui campi di battaglia. Penso che se ci sarà la guerra in Iraq, cercheranno di fare la stessa cosa ma in maniera più efficace di quanto siano riusciti a fare in Afghanistan. Allora cercheremo di fare del nostro meglio nei limiti della sicurezza e della legge, e quindi di posizionare in anticipo la nostra gente intorno alla regione e permettere loro di fotografare quel che succederà lì. Una cosa su cui il Pentagono si sta dimostrando molto cooperativo è il consentire ai giornalisti di unirsi alle loro unità, e immagino che questo ci darà ottime opportunità giornalistiche così come è successo in Afghanistan . Alcune occasioni arriveranno naturalmente e altre le dovremo cercare noi.
Se ci sarà un assedio a Bagdad consiglierete ai vostri giornalisti di rimanere o di evacuare?
Non penso che si possa fare previsioni senza conoscere la situazione; ciò che si può fare è attenersi alle nostre regole e ai nostri principi. Abbiamo una percentuale di incidenti uguale a zero. Ogni volta che dobbiamo scegliere fra la sicurezza e una storia o una fotografia scegliamo sempre la sicurezza. Una situazione perfettamente sotto controllo ti permette di fare delle previsioni ma in situazioni come quelle il controllo e la previsione sono limitate e devi fare affidamento sulla capacità di giudizio delle persone. In zone di guerra mandiamo soltanto fotoreporter e giornalisti esperti. E quelli meno esperti sono sempre accompagnati da colleghi più esperti.
I fotoreporter inquadrati nelle unità dell'esercito potranno essere obbiettivi?
Non bisognerebbe avere problemi con l'obbiettività visto che questa è fondamentalmente una questione onestà intellettuale su cui avere il controllo totale ; ciò che non puoi controllare e ciò da cui devi guardarti è il non diventare veicolo di propaganda. Non mi preoccupo della mancanza di obbiettività, mi preoccupo della mancanza di accesso ai luoghi. Tornando al Vietnam, questo giornale e molte istituzioni giornalistiche possono rivendicare una orgogliosa storia di autonomia dal Pentagono. In Vietnam la stampa ha sempre avuto libero accesso ai campi di battaglia e questa è la ragione per cui il pubblico si è schierato contro la guerra. Attraverso le fotografie, le storie e i film i lettori potevano rendersi conto che le affermazioni del Pentagono sul fatto che noi stavamo vincendo la guerra non erano vere. In questa situazione penso che il nostro accesso ai campi di battaglia sarà molto più ristretto e per noi sarà una grossa sfida dare informazioni in modo che i lettori possano costruirsi un'opinione sulla guerra. Penso che ce la possiamo fare. Per esempio, avendo assimilato l'esperienza del Golfo nel 1991, ed avendo sperimentato la determinazione del Pentagono di tenerci lontano, in Afghanistan abbiamo deliberatamente preposizionato i nostri i giornalisti e fotoreporter dappertutto cosicché non dovessero dipendere dall'esercito per gli spostamenti quando le operazioni fossero cominciate.
Prevedete un aumento dei compensi per i freelance ?
Di solito investiamo per avere del giornalismo di alta qualità e ovviamente in momenti di prosperità economica i budget sono maggiori che in periodi di crisi.
Mentre tutti sembrano concentrarsi sull' Iraq, nel Sudamerica sembrano infiammarsi diversi conflitti. Queste zone sono così difficili da coprire, come i recenti rapimenti di giornalisti Colombia hanno dimostrato?
Sono molto interessato all'America latina, così come sono consapevole delle condizioni di lavoro per giornalisti e fotoreporter, in special modo in Venezuela e Colombia, perché è molto difficile in quelle zone capire quando ti stai cacciando nei guai. Negli anni ottanta abbiamo dovuto affrontare delle situazioni gravissime in centro America.Ritengo comunque che tutto il Sudamerica è sottostimato dal punto di vista giornalistico dalla stampa americana, mentre invece si potrebbero raccontare delle storie interessanti: Certo non ho la bacchetta magica per assicurare la sicurezza in Colombia . Il fatto è che quando il governo centrale non riesce a controllare tutto il suo territorio, questo diventa immediatamente una zona pericolosa per i giornalisti
Pensi che il sud America non sia di grande interesse per il giornalismo perché non fa audience o, al contrario, se la stampa fosse costretta ad occuparsene questo creerebbe immediatamente attenzione presso il pubblico ?
La ragione penso sia legata al fatto che gli Usa guardano più verso l'Europa e che la East Coast è più interessata a capire cosa succede nell'estremo oriente piuttosto che nel sud o nel nord: l'aumento della popolazione di origini sudamericane negli Usa e il ruolo di Miami come fulcro dell'emisfero meridionale ci porteranno di fatto a rivolgere il nostro interesse da quelle parti. Saremo costretti a coprire quelle zone.
Che precauzioni dovrebbero prendere i giornalisti che vengono inviati in quelle zone?
Tutti i nostri inviati ricevono un addestramento impartito da agenzie specializzate che insegnano loro come comportarsi. Siamo molto prudenti nel mandare la nostra gente in zone pericolose e sopratutto tendiamo a tenere alta la consapevolezza di fotoreporter e giornalisti quando partono per zone in cui il pericolo può verificarsi in maniera del tutto inaspettata. Quando si lavora in zone di conflitto etnico e di guerra civile ci si può trovare molto rapidamente in situazioni così pericolose come se fossi in prima linea durante una guerra regolare. Ogni volta che sei in zone in cui l'autorità centrale non esiste più o in un paese dittatoriale che è ostile nei confronti della stampa, allora cominciano i guai.quando ci rendiamo conto di una situazione di chiaro pericolo, allora chiediamo ai nostri di ritirarsi. allo stesso modo, per compensare questo ritiro mettiamo in campo ogni risorsa ed ogni diritto in nostro possesso per poter testimoniare i fatti.
Che caratteristiche cercate quando reclutate nuovi fotoreporter?
Con i reporter guardo i loro scritti e vedo cosa c'è. Con i fotoreporter visionare il portfolio ti mette in condizione di capire che sguardo ha nel fotografare e quale è il loro curriculum. Se guardi Ruth Fremson. Vincent Laforet e Tyler Hicks che abbiamo assunto recentemente non c'è niente da indovinare. È tutto li nel loro lavoro, un fotoreporter non può nascondersi.Quando invece leggi i pezzi dei giornalisti, non puoi immaginare quanto editing abbiano fatto. Mentre invece, se visioni una foto o un gruppo di fotografie ne capisci il modo di vedere, l'energia delle immagini e il livello tecnico. Il nostro approccio in genere è dunque quello di assumere gente con grandi competenze e, una volta entrati in famiglia, metterli in condizione di sviluppare differenti aspetti dei loro interessi e dei nostri bisogni. Detto questo, c'è sempre posto nel nostro mondo per gli specialisti. Prendiamo ad esempio Fred Conrad che è da noi considerato un grandissimo ritrattista: non avrei nessuna remora nel fargli coprire qualsiasi storia di attualità mi venga in mente. Che cosa hai fatto in più del tuo predecessore per promuovere la fotografia nel NYT ?
Non credo che questi paragoni aiutino.Il NYT ha una grande tradizione di eccellenza nel giornalismo e quando ne diventi direttore ci lavori sopra per espanderla. Nel mio caso, ho un grandissimo interesse per il fotogiornalismo e per l' editing fotografico.Forse amo guardare gli scatti prodotti molto più di altri direttori. Certamente non mi sostituisco al photoeditor, mi piace visionare le foto scartate più di quelle che fanno parte della selezione definitiva.Questa è probabilmente, la più grossa differenza tra me e gli altri direttori.Tendo a farmi coinvolgere e a guardare le opzioni possibili, ma non mi sostituisco al photo editor del NYT.
Di quale fotoreporter sei più fiero da quando hai preso la direzione del NYT ?
Sto qui seduto nel mio ufficio e ho davanti la copertina del 12 settembre e ci sono così tante immagini così forti! Sono orgogliosissimo di come abbiamo coperto l'avvenimento e sto premendo perché questo diventi un libro perché sono convinto che di questo debba rimanere traccia.Quindi sarebbe difficile per me dire quale è la più bella tra tutte, è come chiedere ad un genitore di scegliere uno tra suoi figli. Sono orgoglioso del mio staff e dello spirito di corpo che li sostiene e davvero spero si accrescerà. Questo è uno dei motivi per cui abbiamo così successo . Hai detto che sei un fotoamatore? Che apparecchio usi ?
Spero di avere più tempo per conoscere completamente la mia nuova Canon digitale Ne ho due o tre, ma al momento sto soltanto diventando matto con il libretto di istruzioni. intervista di JayDeFoore tratta da Pdn