Cronaca di un reportage tra Augusta e Pozzallo

  • didascalia: Augusta arbour: Sicily. A group of 442 immigrants mainly fron Syria disembarked from the military ship "Bergamini" who rescued them in the straight of Sicily while trying to reach the coast on a boat.
  • firma: Marco Vacca ag. Prospekt

Ho passato dieci giorni in Sicilia tra il porto di Augusta e quello di Pozzallo per documentare
il giornaliero arrivo di immigrati sulle coste dalla Libia, dalla Tunisia e, novità sulla quale varrebbe la pena riflettere, anche dal porto di Alessandria, in Egitto.

Avendo esperienza in questo genere di lavori nei quali bisogna avere rapporti e permessi da un mezza dozzina di autorità (dalle Prefetture alla Questura, dalla autorità portuali alla Marina) mi ero preparato per tempo ed avevo inviato tramite la mia agenzia tutte le richieste del caso. Ciononostante... una volta arrivato sul posto è stata necessaria una serie innumerevole di telefonate per scoprire che le indicazioni datemi dalle stesse autorità interpellate (per far pervenire le richieste per accedere ai porti e ai centri di accoglienza) erano sbagliate.

Aggiustata la mira, mi sono reso conto che, almeno in uno dei due porti cui accedere per assistere agli sbarchi, tutto funzionava con un certo automatismo. Si inoltra la richiesta alla Prefettura, che la notifica alla Questura, che avvisa le autorità portuali che ti inseriscono nell’elenco e finalmente riesci a varcare il cancello d’ingresso.

Tanto per non voler fare paragoni, una volta in Israele ho chiesto all’IDF (Forze di Difesa Israeliane, cioè l’esercito) di poter passare una giornata con un reparto femminile: dopo un’ora mi hanno richiamato al telefono per accordarmi il permesso, dicendo di recarmi il giorno seguente ad un appuntamento dove qualcuno mi avrebbe portato al campo.

  • didascalia: Augusta arbour: Sicily. A group of 442 immigrants mainly fron Syria disembarked from the military ship "Bergamini" who rescued them in the straight of Sicily while trying to reach the coast on a boat.
  • firma: Marco Vacca ag. Prospekt

In Italia, se sei un fotoreporter, avere a che fare con le autorità militari è sempre complicato: non sei uno da blandire e da portare dalla tua parte, non sei uno che sta lavorando tanto quanto loro, neanche uno che è li per raccontare lo sforzo e la fatica che tutti fanno per accogliere quei disgraziati che tentano la sorte su delle carrette. Non sei uno al quale dire: «ti è concesso di fare questo, questo e questo; e questa è la linea che non devi sorpassare».


Le autorità militari e civili italiane non hanno uno straccio di protocollo che spieghi cosa fare quando si ha un fotoreporter tra i piedi, che ha esigenze ben diverse da quelle dei giornalisti di penna e delle televisioni.

D’altronde come biasimarli se un protocollo del genere non ce l’hanno neanche la Repubblica, il Corriere della Sera o Palazzo Chigi? Nell’esercito italiano vige la mentalità da servizio segreto, per cui a mia memoria negli uffici demandati alle pubbliche relazioni ci si metteva un ex spione in grado di depistare tutti i media non esattamente rodati.

Spero che i tempi siano cambiati rispetto a quelli della guerra in Bosnia, quando un pugno di fotografi dovette indicare ad un reparto dell’Esercito Italiano la strada per Sarajevo e garantire al comandante della nave S. Giorgio che al porto di Ploce non c’erano mujaheddin (i quali casomai erano a Sarajevo e combattevano dalla parte “giusta”, quindi pur volendo non c’era nulla da temere).

Se oggi chiedi alla Marina di salire a bordo delle loro navi impegnate in prima linea nell’operazione “Mare nostrum” ti rimandano direttamente all’ufficio che si occupa del “merchandising”. Strano, un po’, ma è già un passo avanti. Ovviamente le possibilità di salire a bordo sono pressoché nulle e in questi giorni sono riuscito, tra le varie altre cose, a capire il perché.
alla fine però, nonostante tutte queste difficoltà ed incomprensioni, si riesce a lavorare, perché siamo in Italia e lo spirito levantino la vince su tutte. Un giorno al porto di Augusta mi hanno chiesto se ero della polizia scientifica. Ho risposto che ero un fotoreporter e se ero li in un luogo rinchiuso e controllato era implicito che avessi l’autorizzazione.

Mi hanno comunque chiesto un documento. Quando, invece della solita tessera dell’Ordine, ho esibito il prezioso lasciapassare stampa della Presidenza del Consiglio dei Ministri, tutto è cambiato ed improvvisamente tutti si sono sentiti rassicurati.

Io però ero lo stesso di prima.

  • didascalia: Pozzallo, Sicily. A group of 442 immigrants mainly fron Horn and West Africa previously disembarked from a freighter who took them in the straight of Sicily while trying to reach the italian coast on a boat.
  • firma: Marco Vacca ag. Prospekt

E pensare che ero lì per raccontare non solo l’epopea di quei disgraziati che solcano i mari ma di tutti quelli che si spendono senza alcun risparmio per alleviare le sofferenze di popolazioni in fuga (Marina, Polizia, Finanza, Carabinieri, Croce Rossa, Prefettura, Protezione Civile, volontari di ogni tipo e colore).

Non ho mai visto un gesto di insofferenza da parte di nessuno, mai sentito un commento men che di pena: ho sempre visto in genere gentilezza e disponibilità. Unica eccezione, una giovanotta dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni che mi accusava di fotografare i bambini che sbarcavano in braccio ai genitori e quindi di non conoscere gli obblighi della Carta di Roma: intendeva forse quella di Treviso, più specifica sui minori, ma tant’è.

Eppure ho faticato non poco per raccontare quello che ho visto. Ed in quello che ho visto chi ne esce male è proprio il mainstream della stampa nazionale e locale, televisioni incluse.
Se ci sono delle bare da trasbordare sei sicuro di trovare qualche telecamera Fininvest che si accanisce sulle casse (cosa che solitamente non fa quando sbarcano i profughi), in compagnia di Rai News, che solitamente si accontenta di un miserabile stand up, l’intervista al comandante della nave che ha sbarcato i profughi e poi via, salvo in seguito mandare in onda lo sbarco delle bare dei giorni precedenti per anticipare la notizia, creando così un falso informativo non da poco.

Per il resto incontri qualche giornalista locale e basta. La stampa nazionale è inesistente ed infatti, a meno di una decina di cadaveri da recuperare, il fenomeno sulle pagine dei giornali non compare.
E pensare che siamo a quota 60.000 arrivi dall’inizio dell’anno (dati Frontex) e le risorse umane e materiali dispiegate su questa storia infinita sono notevoli. Incontri però giornalisti svedesi, olandesi, tedeschi (con tanto di fotografo al seguito); trovi Arte (rete televisiva) che se ne parte da Strasburgo con tanto di giornalista di vaglia per documentare cosa succede su queste spiagge.

Di penne italiane neanche l’ombra, in una settimana nella quale sono stati recuperati in mare dalla Marina italiana oltre cinquemila persone. Vedremo in questi giorni, con il recupero dell’ennesimo barcone alla deriva con a bordo una cinquantina di migranti morti per soffocamento: questi fanno sempre notizia, il banale tran tran quotidiano meno.

  • didascalia: Pozzallo, Sicily. A group of 442 immigrants mainly fron Horn and West Africa previously disembarked from a freighter who took them in the straight of Sicily while trying to reach the italian coast on a boat. here a MSF volunteer makes a first medical screeening
  • firma: Marco Vacca ag. Prospekt

Passando invece alla voce fotoreporter, ero arrivato in Sicilia chiedendomi per quale motivo finora non avessi visto altro che delle immagini penose, orribili ad accompagnare quei pochi pezzi usciti sull’argomento. Avevo qualche sospetto, ahimè confermato in pieno: sono spalla a spalla con un gentile signore di una certa età che mi chiede per chi lavoro; rispondo, e nel conversare scopro che lui (ed altri come lui, lì) non è un fotografo di professione bensì un pensionato, un amatore, accreditato da un giornale locale, e che le immagini le regala. Invece di starsene ai giardini a pascolare i nipoti o a leggere il giornale, è in un posto nel quale lui non ha alcun titolo (dove invece io rischio di essere sbattuto fuori ad ogni passo) ed in più distorce il mercato e ruba il lavoro.

Lui fa quattro foto come capita con il suo teleobiettivo, sta il tempo necessario e se ne va. Io sono sul posto dalle sette di mattina fino a notte fonda perché sono uso far le cose con criterio per rispetto a chi lì lavora e a chi mette in gioco la propria vita pur di scappare da un paese che gli nega un futuro. E mi devo anche difendere da (quasi) tutti quelli che mi circondano, che mi guardano come un nemico.

Altra scoperta gradevole: la Marina si documenta e si riprende in video e in foto e poi gira (immagino gratuitamente) il materiale ai giornali che, ben lieti di risparmiare, non si curano minimamente delle implicazioni etiche della faccenda nonché della imparzialità delle fonti. Ecco spiegato il perché della quasi impossibilità di accesso sulle navi di “Mare nostrum” (ovviamente sarei ben felice di essere smentito).

Dunque, riassumendo: come mi confessò una volta il photo editor di un importante allegato femminile: «I negri il direttore non li vuole». Le storie pietose non fanno vendere pubblicità. Le peripezie degli immigrati mettono ansia agli italiani che si sentono assediati. Peccato che i numeri dicano il contrario: pochissime di queste persone sbarcatesi fermeranno in Italia e solo diciassettemila, a quanto pare, hanno richiesto asilo politico. Gli altri transitano soltanto, la loro meta è il nord Europa.

  • didascalia: Augusta arbour: Sicily. A group of 442 immigrants mainly fron Syria disembarked from the mitary ship "Bergamini" who rescued them in the straight of Sicily while trying to reach the coast on a boat.
  • firma: Marco Vacca ag. Prospekt

È un'esperienza giornalistica esaltante stare lì sul molo e vedere scendere dalle navi intere fasce sociali. Guardi i siriani e ti rendi conto che si svolge davanti ai tuoi occhi una dissoluzione di uno Stato: cristiani, musulmani, giovani, vecchi, famiglie intere, ragazze vestite alla moda, curatissime e a loro modo felici di avercela fatta. Brandiscono smartphone e appena possono si mettono in contatto con i parenti nei paesi di destinazione.

Ho visto una signora seduta sul molo di Augusta scartare metri di domopak avvolti intorno al tablet. Generazioni intere di ragazzi e ragazze eritrei in fuga dalla dittatura e dal servizio militare. West africani, torme di giovanissimi egiziani (che ci fanno dei ragazzi cosi giovani in questo marasma? Perché dall’Egitto? Qualcuno indaga? Qualcuno cerca di capire? Quasi nessuno). Quei moli sono una miniera di racconti, un toccare con mano lo sfacelo geopolitico di pezzi d’Africa e di quasi tutto il Medio Oriente. 

I giornali locali pubblicano direttamente le veline senza neanche tradurre dal buracratese della Questura; quelli nazionali tutt’al più relegano il tema sulle pagine locali di Palermo: l’estate incombe, la politica impegna, il gossip ed il calcio hanno conquistato definitivamente le prime pagine. La Repubblica oggi accusa l'Ue di essere distratta sul tema: loro invece sono sempre sul pezzo…

È un giornalismo  alla rovescia. Facciamocene una ragione.