Iran: Assassinio di Zahra Kazemi

Reporters sans frontières chiede ai ministri degli Affari esteri dell'UE di fare pressione presso le autorità iraniane

Appello
Vi chiediamo solennemente di fare tutto quanto è in vostro potere per convincere le autorità iraniane ad accettare la creazione di una commissione d’inchiesta indipendente composta da esperti internazionali. I responsabili della morte di Zahra Zakemi devono essere identificati, portati davanti la giustizia e sanzionati", ha scritto in data odierna Robert Ménard, segretario generale di Reporters sans frontières, in una lettera indirizzata ai 25 ministri degli Affari esteri dell'Unione europea., che dal 1998 ha avviato un "dialogo costruttivo" con l'Iran. Zahra Kazemi, giornalista iraniana con passaporto canadese, il paese in cui era residente da molti anni, era stata fermata dalla polizia il 23 giugno 2002 mentre stava fotografando dei familiari di detenuti che manifestavano davanti alla prigione di Evine, a nord di Teheran. Ferocemente picchiata durante la sua detenzione, la giornalista è morta l’11 luglio scorso in seguito alle ferite riportate. Dopo aver tentato di occultare le cause della sua morte, le autorità iraniane sono state costrette a riconoscere, il 16 luglio scorso, che Zahra Kazemi era effettivamente stata "picchiata", come ha dovuto ammettere in un messaggio alla nazione il vice-presidente. Ali Abtahi. Il corpo della giornalista, è poi stato precipitosamente seppellito il 22 luglio scorso a Chiraz (nel sud del paese), nonostante la richiesta di trasferimento della salma in Canada invano avanzata dalla madre di Zahra Kazemi. La madre della giornalista ha dichiarato, il 30 luglio scorso, di essere stata oggetto di forti pressioni affinché autorizzasse il seppellimento del corpo della figlia in Iran. Dall’annuncio della morte di Zahra Kazemi, le autorità canadesi hanno chiesto con insistenza il rimpatrio del corpo della giornalista in Canada, conformemente al desiderio espresso da Stéphan Kazemi, il figlio della giornalista di nazionalità franco-canadese. Reporters sans frontières ha quindi chiesto ai ministri di sostenere il Canada nelle richieste avanzate presso le autorità iraniane. In questa dramma, alcuni deputati riformatori sono arrivati ad accusare l’autorità giudiziaria, notoriamente conservatrice, di essere responsabile della morte di Zahra Kazemi. Il procuratore di Teheran, Saïd Mortazavi, nel tentativo di occultare le circostanze del decesso della giornalista, aveva spinto affinché si procedesse ad un rapido seppellimento della salma. Il 24 luglio scorso, in una lettera pubblicata sui giornali del paese, Mohammad Hussein Khoshvagt, responsabile della stampa estera al ministero della Cultura, era stato costretto a riconoscere che Saïd Mortazavi, gli aveva imposto di annunciare che Zahra Kazemi era morta in seguito a un’emorragia cerebrale. Il giudice avrebbe imputato a Hussein Khoshvagt, responsabile dei visti per la stampa estera, di aver accordato l’accredito a una "spia". Secondo il deputato riformista Mohsen Amine, Saïd Mortazavi "ha dato l’ordine di diffondere una versione seconda la quale la giornalista era morta in seguito all’emorragia cerebrale e poi rapidamente seppellita per desiderio della famiglia ". Mohsen Amine ha aggiunto anche che Zahra Kazemi avrebbe detto alla polizia che l’interrogava di essere stata colpita la testa. Secondo un’altra deputata riformatrice, Elaheh Koulaïe, la morte di Zahra Kazemi è avvenuta in un contesto di "censura nei confronti della stampa e di imbavagliamento di ogni voce critica". Il 30 luglio scorso, il vice-presidente del paese, Ali Abtahi, ha parlato apertamente di "omicidio". Da parte sua, l’11 agosto scorso, il portavoce dell’autorità giudiziaria, Gholam Hossein Elham, era stato costretto a riconoscere che la giornalista era deceduta in seguito ai colpi ricevuti alla testa, ma che la colpa non era da imputare a un’istituzione, ma a un gesto individuale. Pertanto, la pratica della tortura non è certo una rarità nelle prigioni iraniane. Il fratello del presidente Khatami ha invitato la massima autorità del paese a intervenire personalmente per mettere fine alle torture di cui sono vittime i prigionieri politici. Inoltre, dal febbraio 2003, in seguito a una missione della Commissione dei diritti umani delle Nazioni unite condotta da Louis Joinet, quest’ultimo aveva denunciato la sua preoccupazione sulle condizioni di detenzione nel paese e aveva dichiarato: "La carcerazione in condizioni di assoluto isolamento, arbitrariamente imposta su larga scala e per dei periodi molto lunghi, (…) va considerata (…) come una prigione nella prigione e comporta dei gravi rischi per la popolazione detenuta". Contatti: Flora Cappelluti (resp ufficio di corrispondenza) Sala stampa nazionale Via Cordusio, 4 20123 MILANO Tel: (39)02/87 39 33 19 rsf@rsfitalia.org Web: www. rsfitalia.org