La valigia di Capa

La misteriosa valigia di Capa è infine stata trovata: uno dei più grandi dubbi della storia della fotografia sarà finalmente sciolto e probabilmente sapremo se la famosa foto del “miliziano morente” fu allestita o naturalmente colta e scattata, se Federico Borrell Garcia a Cerro Muriano sul fronte di Cordoba trovò la morte o recitò una parte. La foto che più di tutte è associata alla guerra è stata da subito al centro di un acceso dibattito, perché l’esemplificazione della morte in battaglia che offre è parsa a molti troppo forte e simbolica. Rimane il dubbio che quella foto sia stata contestata proprio per la sua forza e per il fatto di essere stata scattata da un fotografo militante, al servizio della causa repubblicana, invisa a molti. I 1500 negativi arrivati infine all’ICP di New York hanno attraversato il mondo in tre valigie di cartone compresso: da Parigi, dove furono dimenticati in camera oscura dall’assistente di Capa Imre Weisz, a Marsiglia e di qui, per mano del diplomatico messicano Aguilar Gonzalez, ex generale dell’esercito di Pancho Villa, arrivarono a Città del Messico. Capa, emigrato negli Stati Uniti nel 1938, pensava di aver perso per sempre i rulli della guerra di Spagna e ne restò convinto fino alla morte. Ma negli anni 90 si cominciò a parlare dell’esistenza di questa valigia nelle mani di un cineoperatore di Città del Messico, col quale l’ICP intavolò trattative, andate in porto solo adesso. In realtà nella valigia ci sono anche immagini di Gerda Taro, la compagna di Capa che morì nel 1937 durante la guerra di Spagna e di David Chim Seymour, il quale, insieme a Capa Cartier-Bresson George Rodger e William Vandivert, fondò nel 1947 l’Agenzia Magnum (www.magnumphotos.com). In particolare si potrà fare luce sulla reale consistenza dell’opera di Gerda Taro, sottovalutata secondo alcuni critici, che le attribuiscono molte delle fotografie di Robert Capa. In effetti i due agirono insieme, come insieme inventarono il personaggio Robert Capa per Endre Friedmann, e non sarà impresa facile attribuire la paternità all’uno o all’altro per molte delle immagini della guerra civile spagnola. Resta l’importanza e la rivoluzione che l’opera di Capa e il modo di ritrarre la guerra, da dentro e in movimento, ha avuto per tutta la fotografia di guerra degli anni a venire. Le evoluzioni tecniche e la militanza gli hanno permesso di partecipare da protagonista agli eventi, di avvicinarsi alla scena, alle persone in battaglia e a documentare l’azione e l’emozione come nessuno fece prima di lui: da quel momento non sarebbe stato più possibile ritrarre una guerra senza tenere conto del suo lavoro in Spagna, in Normandia in Italia e ovunque abbia seguito un conflitto. Ma Capa non fu solo questo, perciò associarlo esclusivamente alla guerra è riduttivo e ingeneroso, per lui che la odiava. Si vadano a rivedere i ritratti di Matisse, Hemingway e Picasso, oppure i reportage in Unione Sovietica nel 1947 e in Israele nel 1948, nonché le memorabili immagini di vita e di popolo del Tour de France del 1935 e si scoprirà un grandissimo narratore della vita e dei sentimenti popolari. Ma il richiamo dei campi di battaglia, in un misto di generosità passione politica e spirito d’avventura, gli fu fatale e in Indocina, dove si trovava per documentare un’altra guerra, trovò infine la morte. Rimane la sensazione di una stagione irripetibile, perché quella guerra fu la prova dello scontro mondiale di pochi anni dopo, segnò la sconfitta dei fronti popolari e costituì la palestra politica e civile di un’intera generazione. La guerra civile spagnola è impensabile senza Hemingway, Picasso, George Orwell e naturalmente Robert Capa. Federico Della Bella