Il ruolo del Photoeditor: intervista a Giovanna Calvenzi

1. Che cos’è un photoeditor?

Io ne parlo in termini ottimali, quello che dovrebbe essere. Un photoeditor è una persona che è interno ad una redazione e che nella struttura gerarchica del giornale ricopre un ruolo che è paragonabile a quello del caporedattore e che insieme al direttore e all’art director, stabilisce e porta avanti la linea visiva del giornale. Ciò significa, studiato un certo progetto, far fare foto che siano in sintonia con questo progetto e organizzare la ricerca per le foto che viceversa non possono essere fatte fare ma vanno trovate.

2. Come si forma il photoeditor, da quali studi proviene?

Io ne parlo sempre in termini ottimali, deve essere un giornalista, quindi deve avere una cultura giornalistica di base abbastanza ampia ed una conoscenza buona della fotografia e della storia della fotografia. In Italia che io sappia, a parte qualcosa che stanno cercando di fare alla Bauer dall’anno scorso, se non mi sbaglio, non ci sono scuole per photoeditor, quindi ognuno si forma sul campo. Quelli che ci sono hanno imparato da soli e vengono da esperienze diverse, tutti.

3. Quindi l’ideale è un giornalista che approfondisce la fotografia o un fotografo?

Ad esempio i photoeditor di Specchio e D sono fotografi (Vallinotto e Raffaelli), c’è stato certamente il caso di Galligani a lungo…io credo che dipenda dai giornali, perché ogni giornale ha la propria struttura, e un certo tipo di professionalità va bene per un giornale ma non per un altro. Uno che viene da un’agenzia fotografica e che ha una cultura di base molto ampia, probabilmente è molto più qualificato di un fotografo.

4. Qual’è l’inquadramento sindacale all’interno del giornale?

Anche questa è una cosa che varia di giornale in giornale. Ad esempio io sono stata reclutata dal primo giorno come caporedattore, quale insegnante di storia della fotografia con una laurea in lettere, e sono giornalista professionista. Amilcare Ponchielli era caporedattore, gli altri non so che tipo di inquadramento abbiano. E’ certo però che per fare bene questo lavoro devi avere una carica alta, perché solo così sei competitivo con il resto della redazione, cioè quello che dici tu è quello punto e basta. Solo il direttore ti può smentire. Se tu hai un tipo d’inquadramento diverso i margini di difesa del tuo lavoro si abbassano. Ogni giornale poi ha la sua strategia, perché nel contratto della FNSI non è prevista la figura del photoeditor. Da un punto di vista sindacale può essere un libero professionista, un collaboratore, dal punto di vista professionale è un guazzabuglio. Nel senso che dipende dal giornale che devi fare: ci sono giornali che hanno una struttura dove l’uso della fotografia è puramente illustrativo, allora in questo caso un eccellente ricercatore iconografico va bene; ci sono giornali che fanno una progettazione d’immagine, come può essere il D di Repubblica o Sportweek, dove la persona deve essere parte integrante della redazione, perché deve discutere con i giornalisti come vede il servizio fotografico, non è soltanto il rapporto con i fotografi che è importante, ma tu ai fotografi devi riportare quella che è l’esigenza della redazione. Quindi devi esserci, devi poter discutere, poter anche cambiare idea riuscendo ad imporre il fatto che se hai cambiato idea è perché certe foto che avevi pensato di far fare non si sono potute fare. Dipende comunque molto dai direttori: io ho sempre lavorato con direttori che davano molto spazio alla fotografia e che evidentemente avevano fiducia in me. Il mio direttore attuale è un direttore certamente meno competente di Pietroni da un punto di vista fotografico, però estremamente coinvolto da un punto di vista dell’informazione, della notizia, dell’attualità. Quindi Bonera mi lascia molta più libertà di quanta non me ne lasciasse Pietroni. Il nostro modo di lavorare è che stabilito un servizio, l’art director ed io lo impaginiamo e lui lo vede già impaginato. Sono io se mai, che vado a tormentarlo, che dici faccio un’apertura così o la faccio diversa, però è il mio lavoro, la parte visiva la faccio proprio io e se lui vuole cambiare qualcosa, viene da me e mi dice: “senti ma a me quella cosa lì non mi convince tanto”, lui è il capo ha sempre ragione, quindi io eseguo con piacere, ma posso davvero fare il photoeditor vero qua.

5. Come viene reclutato un photoeditor, attraverso quali canali?

Si cerca nei giornali che già ce l’hanno purtroppo, nel senso che, io ho lavorato con ragazzi che sono diventati tutti photoeditor, Elena Terni che adesso è a Io Donna, che ha iniziato facendo l’aiuto photoeditor ad Amica con me, Alfredo Albertone che ha iniziato con me a Vanity Fair che però aveva esperienza e di agenzia e di fotografo e che adesso fa il photoeditor di Amica, Marco Finazzi che veniva da un’agenzia e adesso è a Grazia, Samanta Primati che ha fatto una scuola di fotografia e che se vuoi sulla carta era quella più preparata, e che adesso è a L’Una. Questi sono stati miei assistenti, nel senso che quando c’è bisogno di un photoeditor si va nei giornali dove questi esistono. Io sono stata fortunata nel senso che ho sempre potuto avere degli aiutanti bravi, che sono cresciuti bene e che sono diventati indipendenti, ma perché avevo una struttura giornalistica alle spalle, avevo l’azienda, che mi ha permesso di fare ciò. Perchè altrimenti? Altrimenti non lo so, non so come funzionino gli altri giornali. Non so se Samanta può avere un assistente che può imparare da lei, non ne ho idea.

6. Quale potere di decisione e quale margine di libertà ha il photoeditor, quale budget per la produzione?

Il direttore stabilisce un budget, abbiamo un budget a pagina e io devo starci dentro. Dico io, nel senso che sono io che tratto con i fotografi, che stabilisco i prezzi e vengono accettati dal direttore fino ad una certa cifra, oltre tale cifra è il direttore che decide se ci possiamo permettere o no un certo servizio. Quindi come controparte dei fotografi ci sono sempre io, in tutti i giornali nei quali ho lavorato sono sempre stata io il referente economico. La mia libertà di decisione è totale, anche perché sono caporedattore. Io come photoeditor ho visto lavorare solo Amilcare Ponchielli, perché eravamo nello stesso corridoio, per lui la situazione era identica alla mia. E’ stato lui il primo a dirmi o sei caporedattore o non mettertici neanche se no ti fanno la pelle. Ed io non sapevo niente, ero arrivata dalla scuola, sono andata da Pietroni e gli ho detto che Amilcare mi aveva detto così e lui ha detto va bene. Ma è stata una battaglia individuale di Amilcare che io ho portato avanti.

7. Perché a tuo parere, esistono tante figure per indicare la funzione del photoeditor, ovvero dai colophon di vari giornali si deducono art director, grafico, ricerca immagine o iconografica, photo consultant o image consultant, ecc. mentre nei giornali esteri la figura è solo quella del picture editor?

E’ una ragione è duplice: è una ragione di ignoranza profondissima della categoria dei giornalisti nei confronti della fotografia, di capire, saper guardare, scegliere, di essere in grado di fare i photoeditor, e questo è un dato. Nelle scuole di giornalismo un insegnamento serio di fotografia non esiste, già questo ti dice come arriva preparata questa gente, dall’altra parte una mancanza di scuole anche esterne, per cui non esistono sul mercato dei photoeditor. Io oggi ho fatto un corso alla Gazzetta dello sport per la consultazione del sistema fotografico del giornale, oltre a me lo hanno seguito anche giornalisti perché loro possono accedere all’archivio e decidere il taglio delle foto e mandarle direttamente in pagina. Quindi ogni giornale evidentemente ha la propria struttura, ma mi pare di capire che tutti quanti si arrangiano da sé con la fotografia perché è ancora considerata un’illustrazione, cioè non è informazione.

8. Prendiamo ad esempio Panorama: nonostante usi più di trecento fotografie la settimana, guardando il colophon io non vedo la figura del photoeditor ma leggo art director e photo consultant. Allora che cos’è l’art director? Persiste la confusione?

Io insisto sempre sulla mia esperienza: l’art director e il photoeditor sono le due persone preposte all’immagine del giornale, cioè a dare una forma, un vestito a quello che è poi un oggetto finale. Io ritengo che un giornale fatto bene si vede dal fatto che i testi, la grafica e la fotografia si integrino perfettamente e che riescano a comunicare quello che devono comunicare. Quindi il photoeditor ha delle competenze, hai bisogno di un ritratto se è spiritoso vai da uno se drammatico vai da un altro, io so da chi devo andare per ottenere queste fotografie, e con l’art director decido se metterla in doppia pagina in funzione dei testi…, insomma è un grafico che dà una veste alle fotografie in totale collaborazione. …in totale collaborazione quando esistono entrambe le figure, perché ad esempio, guardando ancora Panorama, io non individuo la figura del photoeditor in quanto Beppe Preti (il photoeditor) è citato come art director e Paola Bergna come photo consultant.. A Famiglia Cristiana addirittura non è previsto, come anche a Marieclaire non risulta una persona specifica… Ma sai, questi giornali che mi citi, mi è capitato spessissimo che mi chiamassero per chiedermi se conoscevo qualcuno, se gli presentavo qualcuno ecc, però sono giornali che hanno strutture molto consolidate, questa è una mia opinione, ed essendo la fotografia un settore molto divertente da trattare, chi si trova a farlo, pur non essendo competente, si diverte e non lo vuole mollare. Cercavano sempre ragazzi giovani che volevano iniziare, che però fossero già capaci, è una contraddizione. Ad esempio c’è Marco Finazzi che è a Grazia che sarebbe un photoeditor straordinario perché è bravo, intelligente, colto, sa tutto, però fa il ricercatore iconografico a Grazia perché il direttore non molla neanche uno spillo, perché è lei che decide. Lo stesso a Salve o Anna, quando ci sono dei direttori molto accentratori diventa difficilissimo.

9. Differenza tra photoeditor e picture editor?

Picture è una cosa più estesa, quindi può voler dire anche l’illustrazione, io preferisco photoeditor perché di grafica e disegno non me ne intendo, qualora ci fosse preferisco siano altri ad occuparsene. Allo Specchio era l’art director che si occupava di trattare con gli illustratori. Io ci capisco poco.

10. Un photoeditor contribuisce alla formazione dei fotografi?

Sì. E’ sempre in funzione del giornale evidentemente, se tu lavori in un giornale abbastanza ricco che ti può permettere di fare delle sperimentazioni, allora davvero si cresce insieme, cresce il giornale e crescono i fotografi. Devi avere però e la possibilità di incontrare i fotografi, di parlarci, di fargli fare un piccolo servizio, poi se va bene di fargliene fare un altro più grande, insomma ci deve essere un minimo di scuola. Secondo me è il ruolo fondamentale del photoeditor, perché serve al giornale se non altro, perché i fotografi vanno in giro e sono loro che portano le notizie, che portano le idee, le nuove tendenze, noi siamo sempre chiusi in una stanza, io al massimo vado alle mostre. Sono i fotografi quelli che fanno veramente l’immagine, che segnalano i cambiamenti di tutto, sia visivi che sociali, ed è fondamentale avere delle relazioni con loro per poi investire sui quei due o tre che ti sembrano adatti al giornale.

11. Differenze tra photoeditor di settimanali, mensili o quotidiani?

Io ho sempre lavorato in settimanali e mensili e da quello che so io non esistono photoeditor nei quotidiani, perché Colin (Corriere della Sera) ha un ruolo di art director, grafico (anche se di fatto è lui che guarda le foto e ha a che fare con i fotografi). Alla Gazzetta non c’è nessuno, va beh che lo sport è un mondo tutto diverso, se non lo conosci non lo capisci, io dopo due anni non l’ho ancora capito. Di fatto ognuno s’arrangia, nel senso che ogni giornalista frequenta i posti dove avviene la storia e conoscono tutti i fotografi che ci sono lì. Si creano delle relazioni di fiducia, di consuetudine, per cui le cose vanno avanti così, sanno sempre da chi andare per trovare la foto. Magari non sanno a chi far fare una copertina, ma l’illustrazione di una partita o di una corsa di Formula Uno sanno sempre dove trovarla. Io ho imparato tantissimo dai giornalisti sportivi e il cambiamento rispetto ad altri giornali per me è stato bellissimo.

12. Differenze, se ce ne sono, tra il mestiere di photoeditor in Italia ed all’estero?

Io ho conosciuto abbastanza bene Elisabeth Biondi che da Vanity Fair è andata a Stern e che faceva un lavoro esattamente identico al mio e poi Colin Jacobson che era all’Independent, però essendo un quotidiano e poi un supplemento di quotidiano, lì le cose sono un po’ più sfumate perché lì il problema non è soltanto della qualità della fotografia, ma anche della qualità dell’informazione, della linea politica del giornale. Poi ho conosciuto delle persone che lavoravano a L’Express a Parigi e quella di Geo Francia. Ecco in generale mi sento di dire che sono tutti giornalisticamente molto più preparati, diciamo che c’è una rete internazionale di persone che hanno molte più responsabilità di quante non ne abbiano da noi e che abbiano un lavoro molto più organico nella redazione.

13. Qual è il ruolo del ricercatore iconografico?

Dipende, a me piace fare la ricerca iconografica, per cui se ho tempo la faccio. La mia assistente in questo giornale si occupa delle rubriche, però guardiamo sempre insieme le foto perché io sono comunque il responsabile. Però in quasi tutti i giornali, tu hai a volte dei servizi fatti solo di ricerca iconografica che in quel caso diventa fondamentale farla sapendo bene cosa stai cercando. Ciò che ho visto fare a volte è, dato un tema, ad esempio le scarpe rosse, si chiamano tutte le agenzie, ci si fa mandare tutte le scarpe rosse, e poi problemi di restituzione, di smarrimenti, chi decide, chi le sceglie, invece se io devo fare una ricerca ho in mente un a foto ad esempio fatta in studio, poi decido che me ne serve una fatta per strada, una alle sfilate e vado mirata, so a chi chiedere le foto specifiche, cioè devi organizzarla.

14. Secondo te, come si può migliorare la figura del photoeditor, nel senso di darle il giusto “prestigio” e la giusta collocazione?

Secondo me bisognerebbe fare una pressione pesante sulle scuole di giornalismo in modo che prevedano un’insegnamento importante di fotografia in modo che i giornalisti si rendano conto che loro non ne capiscono niente e deleghino qualcuno a occuparsi di questo settore dell’informazione. Nello stesso tempo rispettino anche chi lo fa, perché ci sono tanti ricercatori iconografici o photoeditor che vengono trattati come dei “gioppini”e poi che ci siano dei corsi di preparazione seri. So che l’anno venturo al DAMS c’è un master voluto da Umberto Eco dove c’è anche il photoediting per l’editoria in generale, quindi quello è già un segno abbastanza forte. E all’estero? Ad esempio in Francia esiste un’associazione cosiddetta degli iconograph, che sono molto organizzati, sono molto preparati e molto colti. E comunque quelli che incontro andando in giro ad esempio a Perpignan, ad Arles, a Tolosa, photoeditor e ricercatori iconografici, e ne incontro un sacco, sono tutti stranieri, di italiani zero. E loro provengono da scuole di fotografia, da corsi di aggiornamento, c’è addirittura quella casa editrice religiosa di cui non ricordo il nome che tutti gli anni ad Arles faceva corsi di aggiornamento per i suoi ricercatori iconografici ed andavano lì tutti quanti, ed invitavano i fotografi a spiegare il loro lavoro. Ed era la casa editrice che lo faceva.

15. In internet abbiamo visto che negli Stati Uniti c’è un’associazione che raggruppa circa 700 pictureditor e che in Inghilterra esiste un premio annuale per pictureditor. Esiste qualcosa di simile in Italia?

No, noi ci sentiamo con tutti ma perché siamo amici, andiamo al cinema o a cena, non esiste nessuna associazione. Forse non c’è né l’esigenza, ma potrebbe essere un’idea interessante.

16. Renata Ferri di Contrasto, in un recente convegno, diceva che spesso chi fa l’editing nelle agenzie in qualche modo si sostituisce al photoeditor del giornale, proprio perché questa figura non sempre è presente o competente. Trovi che ci sia questa tendenza?

Dipende dall’agenzia e dalla persona dell’agenzia che ti capita. Io ho un referente qua nello sport che è straordinario, che sa tutto di sport e non sapendo io niente, gli dico che ho bisogno di 18 ritratti dei numeri 10 della serie A e lui me le manda; poi chiamo un’altra agenzia e glieli devo dire tutti e 18 perché loro non li sanno. Marco Finazzi, che ho conosciuto dalla Grazia Neri e che ho voluto con me allo Specchio, faceva esattamente il tipo di lavoro che avrei fatto io, sceglieva le foto ed in più ci metteva qualcosa di suo. Cioè faceva esattamente il lavoro della ricerca aggiungendo qualcosa in più perché non si sa mai. Ai giornali fa certamente comodo avere un grafico che s’intenda di fotografia che faccia entrambe le cose, più una segretaria che si occupa delle rese, dei borderò e di quelle cose lì e di agenzie serie e qualificate che ti risolvono il problema alla fonte. Questo vuol dire, che alla fine non fai un giornale con una propria immagine ma hai un’immagine dell’agenzia, invece dovresti essere tu che imponi all’agenzia la tua immagine e non viceversa. E’ una tendenza in atto quella di eliminare non solo i photoeditor dai giornali ma anche gli stessi giornalisti. La nascita dei services va esattamente in quella direzione. Intervista a cura di Isabella Balena