Una foto col papi

Nell’immaginario di plastica e cartone berlusconiano, che le ormai famigerate foto da pizzeria siano vere, false, ritoccate, ricostruite, ecc. importa pochissimo. L’importante era rispondere in qualche modo agli attacchi in arrivo da destra (molti!), sinistra (pochissimi in verità), dal Vaticano (sempre presente), ma soprattutto da casa propria. Dunque anche le orribili immagini da cena dopolavoristica vanno benissimo. Che il presidente del consiglio si trovi costretto a mostrare quegli orrori, dopo averci propinato per anni chili di foto tanto fasulle, da far passare le Fatine di Cottingley per autentici reportage sul campo, è già una notizia. Il fatto che nelle suddette foto appaia più come un simpatico cartonato che come un uomo in tre dimensioni, non sappiamo più dire se sia dovuto a un intervento di abbellimento kitsch comunque intrapreso per riflesso pavloviano dai cortigiani zelanti, o piuttosto a una falsificazione vera e propria.

Diversi blog e giornali si sono divertiti tra ieri e oggi a indagare la questione; dibattito di cui offre una sintesi Luca Sofri sul suo blog Wittgenstein .

Concentrandoci sulla veridicità delle foto perdiamo però di vista il problema generale. Che quelle foto siano vere o false non importa un accidente. Quello che stupisce è la distorsione dello statuto di prova che si è cercato di attribuire alla fotografia, facendo così un torto all’intelligenza. La fotografia è una prova certa (?) solo in positivo (se mi fotografano con le mani nella marmellata è molto probabile che ce le abbia messe veramente), molto aleatoria in negativo (se in una foto sono ritratto accanto al barattolo con le mani in tasca, nessuno può dire che non le abbia infilate in seguito). Ci si è scordati che la fotografia mente anzitutto per omissione, scegliendo di non fotografare e poi cosa mostrare, come racconta benissimo Michele Smargiassi nel suo recente libro Un’autentica Bugia . Dunque le foto alla festa non contano nulla, non provano niente, se non le frequentazioni davvero pop del nostro presidente. Forse è per questo che prende tanti voti, è uno del popolo, un po’ più ricco, ma con gli stessi gusti. Da questo punto di vista meglio di quei produttori, registi, comici, attori, scrittori e giornalisti che producono schifezze e dicono di passare le serate leggendo Flaubert. Lui produce il Bagaglino e poi corre a casa o in platea a godersi lo spettacolo. Lo fa per soldi, si capisce, ma soprattutto per piacere e inclinazione personale.

Secondo alcuni analisti una buona fetta dell’elettorato vota il candidato con cui vorrebbe uscire a bersi una birra al bar. In effetti dovendo scegliere tra una serata con Berlusconi o, per dire, Cacciari e Umberto Eco, il cittadino medio non avrebbe dubbi: Silvio. Con gli intellettuali tornano alla mente meste giornate d’infanzia chini sui libri, e la ricerca affannosa nella libreria dell’Abbagnano o dell’Antiseri-Reale prima di uscire non sarebbe sufficiente neppure per distinguere la Fenomenologia dello Spirito dall’Etica protestante e lo Spirito del Capitalismo . Una cupa aria da interrogazione incomberebbe sulla serata. Pochi possono parlare di Heidegger, mentre tra calcio e figa possiamo barcamenarci dignitosamente più o meno tutti quanti.