«Kodak, il più importante innovatore al mondo in fatto di immagini, è impegnata a far sì che le persone utilizzino nel modo migliore le immagini e le informazioni significative nella loro vita e nel lavoro». Così si precisa nel sito del “Kodak Theatre”, il sontuoso edificio di Hollywood, California, che anche quest'anno (26 febbraio) ospiterà la “Notte degli Oscar”. Certo fa un po' impressione leggere questa frase e associare il lusso e il successo delle star al celebre gruppo, ora che quest'ultimo ha richiesto la bancarotta assistita travolto dal boom degli scatti digitali.
La Eastman Kodak ha fatto ricorso, infatti, al cosiddetto Chapter 11, una parte della normativa fallimentare statunitense che permette alle imprese una ristrutturazione a seguito di un grave dissesto finanziario. Durante il processo di rinnovamento la compagnia continuerà a operare grazie al finanziamento da 950 milioni di dollari (equivalenti a oltre 720 milioni di euro) che si è assicurata dall'azienda di servizi finanziari Citigroup. Eastman Kodak spera di emergere dalla bancarotta nel 2013, anche a seguito del taglio dei costi e della vendita del portafoglio brevetti. Il gruppo ha precisato che le consociate non-statunitensi non rientrano in questo processo di ristrutturazione e continueranno a operare nella normalità. «La decisione presa dalla casa madre negli USA non riguarda il nostro business europeo» ha dichiarato in una nota Philip Cullimore, Managing Director Europe. «In Europa, abbiamo assistito a uno spostamento sempre maggiore verso le applicazioni imaging rivolte al mercato Business to Business. Queste applicazioni, nel Vecchio Continente, sono caratterizzate da una significativa presenza nel comparto della stampa e stanno mostrando significative e rapide crescite».
Il marchio, fondato nel 1888 dallo statunitense George Eastman, ha dominato per un secolo il mercato analogico diventando, per molti, il sinonimo stesso di fotografia. Grazie alla ricerca e allo sviluppo di nuove tecnologie, la società ha introdotto numerose innovazioni. Negli anni Settanta inventò persino la prima fotocamera digitale, senza tuttavia riuscire a garantirsi, in quest'ambito, una posizione strategica e duraturi successi commerciali. A tal proposito, c'è chi incolpa la dirigenza di non aver dato il giusto peso a questo settore e di aver fatto troppo (e per lungo tempo) affidamento sull'analogico. «Il digitale non è stato preso sul serio dai responsabili aziendali» sostiene in un'intervista al quotidiano francese “Le monde” François Sauteron, che ha lavorato per oltre trent'anni per Kodak e ha scritto un libro sulla caduta dell'impero della storica società. «Agli occhi dei suoi dirigenti, Kodak sembrava inaffondabile. Hanno senz'altro peccato d'orgoglio, persuasi che l'impresa sarebbe riuscita a imporre nel tempo la sua concezione dell'immagine».
Il giornale britannico “The Economist” ha dedicato un ampio articolo al “caso Kodak” (ripreso anche dalla rivista “Internazionale” nel n. 933, uscito il 27 gennaio 2012) in cui la storia della società americana viene messa a confronto con quella della concorrente giapponese Fujifilm: entrambe, si fa presente, in passato hanno esercitato una sorta di monopolio nei rispettivi mercati nazionali, entrambe hanno visto vacillare il proprio business storico, ma mentre la prima è arrivata alla bancarotta, la seconda è stata in grado di generare solidi profitti. Nell'articolo si sostiene che Kodak è stata più lenta ad adattarsi alle nuove condizioni di mercato, anche a causa della sua cultura aziendale: quello della società, fa riflettere il giornale (proprio come François Sauteron), si era trasformato in un «monopolio compiaciuto» e i dirigenti avevano una mentalità “da prodotto perfetto”, non in linea con il metodo, considerato tipico dell'high-tech, di produrre, lanciare e perfezionare. Oltre a questo, la Kodak ha riscontrato delle serie difficoltà nel diversificare le attività: sui bilanci, infatti, ha pesato anche il flop del settore farmaceutico della società, ceduto negli anni Novanta (successo, invece, ha avuto la scelta della Fujifilm di puntare sull'industria cosmetica). Per il giornale, poi, Kodak non ha saputo capire i mercati emergenti e la sua leadership è stata incostante, cambiando la strategia all'arrivo di ogni nuovo amministratore delegato.
«I love to take a photograph / so mama don't take my Kodachrome away (“mi piace fare fotografie/ quindi, mamma, non buttare via le mie Kodachrome”)» cantava negli anni Settanta Paul Simon, in una canzone da lui scritta (ascoltabile su youtube) avente per titolo proprio il nome della celebre pellicola uscita di produzione nel 2009. Altri tempi, altre necessità e abitudini. La richiesta del Chapter 11 da parte di Kodak, come fa presente in un articolo il giornalista del “Corriere della Sera” Massimo Sideri, diventa involontariamente l’istantanea del passaggio epocale dalla tecnologia fotografica analogica a quella digitale, «la fine della società del “ricordo” dell’intero XX Secolo». Rappresenta la vittoria della memoria digitale su quella analogica, sulle «immagini con le impronte digitali sopra». Una vittoria di cui siamo responsabili anche tutti noi, che in pochi anni abbiamo modificato le nostre abitudini sull'onda del più pratico “click digitale”, che offre, sì, opportunità di scatto, elaborazione, visualizzazione e condivisione delle immagini impensabili un tempo, per quantità, costi e velocità. Ma che ha rimosso quella ritualità e, in parte, quelle emozioni proprie degli scatti analogici. «Acquistare un rullino voleva dire partire per le vacanze» scrive Sideri. «Portarlo a sviluppare era un rituale, la fine vera del viaggio. È la metafora della modernità: la democratizzazione di fatto della quantità più che della qualità».
«La crisi di Kodak non è altro che l’effetto dell’incapacità di prevedere la velocità del cambiamento, non solo la sua direzione. O meglio, dei molti cambiamenti sovrapposti che stanno cambiando il volto del consumo-uso delle immagini tecniche» commenta a sua volta il giornalista di “Repubblica” Michele Smargiassi, nel suo blog “Fotocrazia”. Cambiamenti che si stanno manifestando anche con una sorta di “cannibalismo” tra le stesse tecnologie numeriche: basti pensare al successo che stanno riscuotendo, a scapito delle compatte digitali, i tascabili e “tuttofare” telefonini smartphone. «È un terremoto antropologico – riflette Smargiassi – è la “rivoluzione foto-digitale” che mostra il suo vero volto. Che non sta nella sostituzione della pellicola con i pixel [...]», bensì «nell’avvento della fotografia preterintenzionale, inavvertita, ubiqua, al posto di quella premeditata consapevole e selettiva». Al giorno d'oggi, insomma, fotografare è diventato «un gesto leggero, automatico, quasi istintivo, una specie di intercalare nelle relazioni sociali». A tal riguardo, calzano a pennello le parole del grande fotografo americano Ansel Adams, secondo cui «l’assoluta facilità con cui possiamo produrre una immagine banale porta spesso a una totale mancanza di creatività».
Ritornando al trionfo del digitale sull'analogico, però, non possiamo fare a meno di notare che si tratta di una vittoria schiacciante dal punto di vista “pratico”, sì, ma non della “memoria collettiva”: nella vita quotidiana, è vero, le pellicole sono ormai un lontano ricordo, ma non sono scomparse dal cuore di chi ne ha fatto uso. I commenti nostalgici che hanno accompagnato la notizia della bancarotta assistita di Kodak ne sono un esempio. Così come il successo che stanno avendo certi software che permettono di simulare le storiche pellicole Agfa, Fuji, Polaroid o Kodak (basti pensare all'applicazione per Iphone “Polaroid Digital Camera App”). Non mancano, poi, iniziative come “The Impossible Project”, il progetto di un team di giovani imprenditori con l'obiettivo di salvare dall'estinzione la fotografia istantanea analogica. Il nome deriva da una frase di Edwin Land, fondatore della Polaroid: «Non intraprendere un progetto a meno che non sia manifestamente importante e quasi impossibile». Come si legge nel sito del progetto, l'”Impossible team” - che ha sperimentato e prodotto nuove pellicole per Polaroid - «impedisce a oltre 300 milioni di Polaroid perfettamente funzionanti di diventare obsolete, cambia il mondo della fotografia e salvaguarda la varietà, tangibilità e creatività dell'analogico» (al progetto ha dedicato un ampio articolo la rivista italiana “Studio”).
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Aggiornamento inserito il 16 febbraio 2012: in merito al processo di ristrutturazione, la Eastman Kodak ha annunciato, tra i vari punti, la decisione di eliminare gradualmente la produzione di fotocamere e videocamere tascabili digitali e di concentrare il proprio giro di affari sulle stampanti. Ha precisato, inoltre, che continuerà a produrre pellicole fotografiche. Per maggiori informazioni, visionare la sezione “News & Media” del sito www.kodak.com (in inglese).