Dossier sul fotogiornalismo

Nel numero 2/2003 del trimestrale Problemi dell'Informazione, edito da Il Mulino e nelle librerie in questi giorni, quattro fotogiornalisti affrontano alcuni dei temi che Fotografia & Informazione ritiene importanti per la crescita culturale e professionale del fotogiornalimo italiano.

Ne anticipiamo l'introduzione:
Sulla pagina del giornale la fotografia, oltre alla semplice testimonianza, può fornire al lettore uno sgurado in più, un’informazione in più rispetto a quella fornita dall’articolo del cronista. Lo spazio occupato sulla stampa – non solo illustrata -  dalle fotografie aumenta costantamente. Ma in Italia, al contrario che in altri paesi, in primo luogo Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti,  non esistono studi sistematici sulla fotografia giornalistica. La mancanza di attenzione e di interesse per il fotogiornalismo nel nostro paese ha ragioni storiche e culturali, riconducibili - semplificando - alla scarsa attenzione per la fotografia in generale e la cultura fotografica, in favore di quella scritta, dotta. Sembra quasi che l’apparente facilità di fruizione della fotografia abbia fatto sì che per lunghi anni nessuno prendesse in considerazione seriamente il suo studio, come se tutto ciò che ruota intorno ad essa fosse di immediata comprensione a chiunque e quindi non meritevole di studio.


All’estero, alla pubblicazione di molte nuove riviste che facevano grande uso di immagini negli anni trenta, fece seguito la nascita nelle Università di insegnamenti legati alle competenze relative alla produzione e all’utilizzo delle fotografie nei giornali. Come conseguenza, anche se non immediata, si moltiplicarono i centri dove si iniziò a riflettere sui temi legati all’esercizio di queste nuove professioni, ad analizzare i problemi che sorgevano in seguito ad un utilizzo sempre più massiccio ma non sempre corretto delle fotografie. In breve: sorsero in Europa ed negli Stati Uniti delle scuole di studiosi che, partendo dall’analisi critica dei media e del loro uso delle immagini, posero le basi per i successivi approfondimenti. In Italia la stagione delle riviste illustrate, del giornalismo per immagini arriverà solo nel dopoguerra - il fascismo aveva relegato la fotografia nello stretto recinto della propaganda - e sarà di breve durata. Così giornalismo e fotografia non hanno avuto quasi il tempo di crescere insieme e sono rimasti elementi distinti, materie poco correlate. È mancato – e manca in gran parte tutt’ora – lo studio fondamentale della contestualizzazione della fotografia nei giornali. E infine, a comporre questa situazione ha certamente contribuito anche la generale disattenzione da parte dei giornalisti e degli studiosi di giornalismo che non hanno saputo cogliere l’importanza delle immagini fisse nel quadro generale dell’informazione.


Iniziare - oggi - a parlare del settore dell’informazione fotografica significa accettare contributi non omogenei fra loro, che partono da approcci diversi alla materia; significa portare all’attenzione del lettore anche scritti di colleghi  e ricercatori stranieri già pubblicati su riviste internazionali. E dovrebbe significare infine anche porsi il problema di come iniziare ad organizzare nell’università italiana dei gruppi di studio che riescano a colmare il divario esistente in questo campo tra il nostro paese e il resto del mondo e ancora – non da ultimo – formare giornalisti più coscienti di tutte le specifiche professionali operanti nell’informazione.


La professione del fotogiornalista, la riflessione sul significato che assumono le fotografie una volta messe in pagina, i generi della fotografia giornalistica, l’organizzazione delle competenze redazionali intorno alle fotografie e la figura del redattore iconografico - più comunemente noto con il termine, non a caso aglosassone, di photo editor -, i problemi deontologici, etici e legali connessi all’uso di alcune immagini, la riorganizzazione in atto dei meccanismi di distribuzione e i suoi riflessi sulla qualità dell’informazione, sono alcuni dei temi di base - interconnessi fra loro - dai quali partire.


Tutti gli interventi ospitati qui sono di fotogiornalisti con percorsi professionali anche molto diversi tra loro; ciò che li accomuna, tuttavia, è la preoccupazione di ogni buon giornalista per la qualità dell’informazione - fotografica nel nostro caso - che giunge al lettore.
Uliano Lucas  si chiede se nella storia del fotogiornalismo italiano, nella sua lenta evoluzione, si possa parlare di un effettivo progresso; nel dopoguerra il fotoreporter era partito povero di mezzi anche culturali ed è arrivato a padroneggiare le tecnologie digitali ma il free-lance è praticamente scomparso come figura in grado di arricchire con la sua curiosità, con il suo piacere per la scoperta del mondo, le tensioni etiche e intellettuali che hanno reso più vivo il nostro panorama informativo.


Dei free-lance e delle loro difficoltà di lavoro parla anche Carlo Cerchioli come uno dei risvolti delle recenti trasformazioni del mercato internazionale della fotografia d’informazione. Grazie alle tecnologie digitali, e alla possibilità di archiviare nei computer enormi quantità di fotografie si sono create a fianco – e spesso in concorrenza - delle agenzie di stampa, pochi colossi che hanno acquistato e continuano ad acquistare le piccole e medie agenzie fotografiche. I vecchi modelli di produzione e distribuzione dei materiali fotografici sono stati messi da parte per sviluppare nuove strutture dove la razionalizzazione economica è più importante dell’informazione veicolata dalle immagini.


L’intervento di Marco Capovilla parte anch’esso dalle novità introdotte dalla tecnica digitale nel mondo delle immagini giornalistiche. E tuttavia, per mezzo di una carrellata storica sulla manipolazione delle  fotografie destinate ai media, dalle vistose e maldestre manipolazioni in camera oscura ad opera dei regimi totalitari alle più accurate alterazioni digitali di alcune fotografie della recente guerra in Iraq, arriva a dimostrare che sono cambiati, sì, i mezzi tecnici a disposizione, ora molto più potenti e sofisticati, ma non i fini per i quali essi vengono utilizzati. E’ questa anche un’occasione per iniziare a parlare del rapporto tra la realtà e i codici della sua rappresentazione visiva.


Infine Gilles Saussier, fotografo documentarista francese di cui si propone qui la traduzione di un intervento apparso su Communication, racconta – quasi a corollario dei tre testi degli italiani - del suo tentativo di fare informazione fuori dai modelli stereotipati dei media occidentali. È una riflessione che parte dall’esperienza professionale come fotoreporter nell’agenzia Gamma e, facendo sue molte delle riflessioni sviluppate nell’ambito dell’antropologia visuale, abbraccia quasi tutti i problemi di chi svolge la professione: dal rapporto con i soggetti ripresi alla fruizione delle fotografie da parte del pubblico passando per i generi fotografici, i tempi del lavoro, la ricerca di uno stile, fino al paradosso dei giornali che danno tanto più spazio ad una notizia drammatica quante più sono le fotografie disponibili, indipendentemente dalla reale portata della notizia.


A conclusione del dossier, viene proposta una breve bibliografia. Non è la classica bibliografia essenziale, come si usa pubblicare, perché i testi italiani, raccogliendo il disponibile, forniscono frammenti di un quadro ancora in gran parte da articolare e scrivere. Non a caso alcuni libri sono collezioni di articoli. Al contrario i testi stranieri suggeriti possono offrire direttamente o suggerire elementi per una griglia di analisi. Si sono dati per scontati i classici di storia e di analisi del giornalismo italiano, che peraltro hanno dedicato sempre poco spazio alla stampa illustrata e all’immagine,  di cui hanno registrato sì i cambiamenti e le motivazione di lettura da parte del pubblico senza però entrare nello specifico dell’informazione fotografica.

Marco Capovilla e Carlo Cerchioli