Quando la fotografia diventa informazione:
“Storia ed evoluzione del fotogiornalismo in Italia”
Introduzione p. I
Parte prima: la storia
Capitolo 1: Gli albori della fotografia in Italia
· L’annuncio della “meravigliosa” invenzione p.1
· Massificazione della fotografia e pittorialismo p.5
· Diffusione della fotografia e censura p.9
· Dall’incisione alla fotografia: la stampa illustrata p.12
Capitolo 2: La Grande Guerra rappresentata
· Il Primo Conflitto Mondiale p.22
· Norme per i corrispondenti di guerra p.37
Capitolo 3: Fotografia e non fotografia nell’Italia fascista in cammino
· La fotografia sicura di sé (1930-1950) p.42
· Lo sviluppo del fotogiornalismo p.44
· La fotografia e il regime p.50
· La censura fotografica nel periodo fascista p.60
· Il panorama della stampa illustrata p.66
· Celebrazione e critica del regime fascista: Adolfo Porry Pastorel p.71
Capitolo 4: Gli "anni d'oro" del fotogiornalismo
· L’Italia del dopoguerra riscopre la fotografia p.75
· Il neorealismo nella fotografia italiana p.81
· I paparazzi: fotografi come insetti ronzanti p.87
· La “rosa” diventa cronaca p.90
· Il boom del rotocalco p.92
· Le agenzie fotografiche p.101
· L’Ansa e il servizio fotografico p.105
Capitolo 5: La fotografia al servizio della contestazione
· Gli anni Sessanta: un nuovo modo di fotografare p.113
· Le lotte sindacali, il fotografo in redazione p.124
· La nascita della TV e la crisi del rotocalco p.127
· II genere rosa nell'editoria di oggi p.133
Parte seconda: l’evoluzione
Capitolo 6: i ferri del mestiere
· L’evoluzione del mezzo fotografico p.139
· Automazione elettronica p.146
· La fotografia digitale p.150
· Come la tecnologia digitale ha trasformato il fotogiornalismo p.154
Capitolo 7: l’universo delle agenzie
· Il mondo con occhi stranieri: le agenzie fotografiche p.160
· Come funzionano le agenzie p.169
· Ansa p.175
· Associated Press da 150 anni testimone del mondo e dell’Italia p.181
· Contrasto:Roberto Koch e la sua agenzia p.188
· Due stanze e un telefono: nasce Grazia Neri p.191
· Da Sport Informazioni a Olympia Publifoto p.195
· Agenzia d’archivio “stock”! www.trovafoto.it p.197
Capitolo 8 : Come internet ha cambiato una professione
· Fotogiornalista e internet, quali opportunità p.205
· Quando le foto viaggiano on line: le agenzie e internet p.214
· Laura Ronchi Srl, il digitale in agenzia p.223
Capitolo 9: Fotogiornalismo e manipolazione digitale
· Dubitare e poi guardare p.232
· La protezione delle immagini digitali p.240
· Digitale: è davvero meno sicuro? p.244
Conclusioni p.251
Bibliografia
La fotografia è tra le tecniche della comunicazione la più popolare, soprattutto per l’apparente facilità di esecuzione, sua forza primaria. Fotografare è facile, “you press the button we do the rest!” : recitava uno slogan, o si leggeva sul titolo di un manuale; un luogo comune cui si deve la diffusione ma anche l’emarginazione di questo mezzo, perennemente combattuto tra l’essere considerato una forma d’arte o il suo esatto contrario. Nel 1958 Charles Baudelaire definiva la fotografia “palestra di pittori mancati e troppo fedele al vero, nuova nemica della vera arte” .
Un hobby diffuso quello della fotografia sin dalla sua nascita; la sua pratica ha sollecitato nel corso della storia l’interesse di sociologi e psicologi, ed ha sviluppato intorno a sé un imponente apparato industriale che vede ogni giorno concludersi un giro di affari vertiginoso a favore delle numerose agenzie che operano nel settore e case produttrici di apparecchi. Un mercato così forte da condizionarne sempre più spesso i contenuti e la qualità.
La fotografia è infatti un prodotto che viene quotidianamente fruito, spesso inconsciamente, tramite il giornale, il libro, la pubblicità, e che ha determinato un nuovo modo di leggere, ma anche un nuovo modo di vedere.
“Un’immagine vale più di 1000 parole” è sicuramente un luogo comune, che pur nella sua retorica si è realizzato nella nostra società, basata su una cultura dell’immagine, che sempre più necessita di un dialogo. Dialogo che proprio la fotografia consente di realizzare con la sua intrinseca universalità, ma soprattutto, e ciò ne qualifica lo specifico, con il suo potenziale comunicativo che la differenzia nei confronti di altri mezzi tradizionali di fruizione.
La fotografia è inoltre giornalismo per antonomasia nella maniera in cui fornisce informazioni, notizie. La sua stessa invenzione, in definitiva, non è altro che la necessità di un medium comunicativo più preciso del disegno o immediato della parola. Anche la fotografia più elementare è un’immagine giornalistica, che gode di prerogative eccezionali legate alla sua obiettività. Essa è capace di comunicare subito quanto rappresenta, creando inoltre l’illusione che la realtà “immortalata” non abbia subito mediazioni, quindi sofisticazioni di sorta (illusione resa ancor più evidente dall’avvento della fotografia digitale e dalle sue possibilità di “ritocco della realtà”), ma sia invece suscettibile di ulteriori autonome interpretazioni. Il fotografo non è un mero esecutore, i suoi soggetti corrispondono sempre a delle scelte, e la fotografia giornalistica non è la realtà, ma un frammento di essa il cui peso morale ed emotivo dipende da dove viene inserita. Vale per ogni fotografia quello che Wittgenstein diceva delle parole: “che il significato è l’uso” . Che il significato è l’uso lo sapeva bene Mussolini che durante il ventennio fascista utilizzò la fotografia, così altamente testimoniante quindi pericolosa politicamente, manipolandola, limitandola e irregimentandola attraverso la censura. Tanto che Italo Zannier la definirà “non fotografia”, in quanto “Fotografia va d’accordo con libertà” .
Infatti la “Fotografia giornalistica è una scelta”, scelta da fare in libertà, che coinvolge totalmente, attraverso l’acquisizione nel rettangolo del “mirino cornice” (che altro non è se non un campo magnetico, attraversato da forze e da vettori), all’interno del quale tra gli elementi si stabiliscono relazioni, utili non solo a informare, a documentare, ma a proporre un personale, qualificante “point de vue”….. Fotografia anche come scelta militante che significa mettere sulla stessa linea di mira la testa, l'occhio e il cuore; come emergerà negli anni ‘60 dalla fervente attività che vede fotoreporter accomunati dal desiderio di usare la fotografia per documentare l’Italia turbolenta di quegli anni cruciali.
Proprio per il suo carattere di istantaneità, forza comunicativa e “realtà”, la vicenda fotografica è collegata da sempre a quella dell’informazione, che in questi centocinquant'anni si è sviluppata in un “unicum” con essa tramite un intenso e costruttivo scambio tra giornalismo scritto e visivo, sollecitando in entrambi nuove soluzioni tecniche, inedite capacità espressive. Oggi che il fotoreportage pare aver concluso in larga misura la sua funzione informativa - di pari passo con i veicoli di cui si è servito, rotocalchi in primo luogo, superati dal medium televisivo fino ad approdare su Internet con la fotografia digitale - si può trarre un bilancio sulla sua portata storica anche nell’ambito del linguaggio fotografico. È stata una sferzata benefica quella del fotogiornalismo nei confronti della fotografia aulica. Dobbiamo essere in definitiva grati a quegli operatori, anche al discusso “paparazzo” di felliniana memoria, per quel rigoroso impegno di mestiere che ha una regola semplice al di sopra d’ogni altra: “bloccare un istante di vita significativo”.
La storia del fotogiornalismo in Italia non incomincia però con i paparazzi, che troppo spesso vengono identificati con il nostro stile di fotografia giornalistica. La prima notizia relativa all'invenzione di Daguerre pubblicata in Italia sulla Gazzetta Privilegiata di Milano, risale al 15 gennaio 1839. Fu la necessità di riprodurre esattamente e facilmente i tanti monumenti italiani, a dare subito un grande impulso allo sviluppo della nuova tecnica che alimentò in particolare il settore della riproduzione d'arte, mentre per la fotografia sul giornale bisognerà aspettare ancora quasi mezzo secolo (la prima fotografia ufficiale riprodotta è del 1885, sull’Illustrazione Italiana).
Saranno le guerre a sancire la diffusione della fotografia tra il pubblico, la pratica della fotografia istantanea, non più in posa, e la crescita di una cultura visiva in grado di superare a livello comunicativo quella scritta. Sarà l’invasione della Libia, il banco di prova sia dell’industria bellica nazionale che della fotografia, e la prova generale di quanto accadrà allo scoppio della Grande Guerra.
E' infatti la guerra del 1915-18 che riapre definitivamente le coscienze e spazza via dal mondo fotografico italiano il ciarpame "pittorialista". Di immagini di questa guerra, esaltata dai nazionalisti, esecrata da molti altri, ne esiste un numero enorme, grazie all'opera svolta durante il conflitto dal Reparto Fotografico del Comando Supremo del Regio Esercito e ad archivi e raccolte private. La censura militare trasformerà la fotografia in uno strumento di propaganda, scegliendo immagini di una certa guerra e non della guerra nel suo complesso, di cui i giornali (come l'Illustrazione Italiana, assieme alla Domenica del Corriere ed alla Tribuna Illustrata) si fecero promotori anche attraverso i propri corrispondenti che fornivano materiale di prima mano.
Dopo la prima guerra mondiale la nostra fotografia partecipa ai grandi movimenti internazionali dell'avanguardia artistica e, con l'ascesa dei periodici illustrati, diviene un "potere" con cui il potere deve fare i conti. Negli Stati uniti negli anni ‘30 il reportage sociale raggiungeva il suo culmine attraverso le fotografie della Farm Security Administration . La qualità delle immagini realizzate, così come l’ambizione e la lungimiranza del progetto, danno la misura del ritardo della cultura fotografica italiana che in quegli stessi anni era dominata dalla concezione propagandistica del regime fascista e dall’Istituto Luce. La fotografia italiana incominciava a segnare così il primo distacco, che ne caratterizzerà il ritardo nella sua evoluzione, dovuto ad una concezione letteraria dell’informazione, che ha portato a svilire il ruolo svolto in essa dalla fotografia e di un provincialismo culturale che ha pesato sugli sviluppi del fotogiornalismo italiano fino ai giorni nostri.
Dagli anni Venti agli anni Cinquanta, fino al momento del suo lento regresso dinanzi alla televisione, il fotogiornalismo internazionale conobbe uno straordinario sviluppo dovuto a nuove tecniche, nuove idee e, fra l'altro, alla comparsa dell'apparecchio di piccolo formato, maneggevole e rapido: la Leica (1924), che diede un forte impulso al reportage e rivoluzionò l'impaginazione delle riviste, grazie al suo caricatore da 36 pose.
Le agenzie, da sempre intermediarie tra le riviste e i fotografi, cominciarono allora a diventare i luoghi ove si progettavano e si organizzavano i reportages. Nacque, anche, negli anni 30’, La Publifoto di Vincenzo Carrese, una delle agenzie più significative della storia italiana. Purtroppo però l'ascesa del fascismo in Italia e l'aumentare dei pericoli connessi alla verità espressa dal mezzo fotografico in situazioni di regime, determina intorno al 1934, una rottura nell'evoluzione del fotogiornalismo che, fino ad allora incentrato in Germania, riprenderà il suo sviluppo negli Stati Uniti e nel Canada. Nell'Italia mussoliniana la fotografia fu asservita alla costruzione dell'immagine del regime fascista e del suo Duce. Ma la stampa non era tutta “in camicia nera”. Iniziano a diffondersi, in questo periodo, i settimanali e i mensili illustrati (conseguenza anche dell’inevitabile progredire delle tecnologie come la macchina per stampa a rotocalco, le telescriventi, le telefoto), di moda, di cinema e prende corpo l'idea di un giornale più moderno, sull'esempio dei tedeschi, dei francesi e dell'americano Life (1936), che farà particolarmente scuola in Italia.
A segnare inconfondibilmente la qualità, la tipografia, l'uso originale delle fotografie nella stampa periodica in Italia in questo periodo saranno in particolare due riviste: Omnibus (1937-1939), di Leo Longanesi ed il Tempo di Alberto Mondadori (1939).
Queste sono solo le premesse di quanto avverrà all’indomani della Liberazione. La riconquista delle libertà democratiche, dopo un ventennio di dittatura, porta ad una straordinaria effervescenza intellettuale ed editoriale. Dal secondo dopoguerra, il fotogiornalismo ha caratterizzato tutta la produzione editoriale della stampa periodica, diffondendo un nuovo modo di vedere la realtà, che si rifà frequentemente ad una indicazione della rivista Life, la prima rivista a creare una nuova figura di giornalista, “quello armato finalmente solo di macchina fotografica”. Il mito di quella che in gergo fu chiamata la “fotografia stradale” nacque essenzialmente allora, girando a caso per la città con solo una macchina fotografica, seminascosta dalla manica della giacca ma sollecita a balzare fuori al minimo stimolo visivo. E di stimoli visivi nell’Italia del dopoguerra, i fotografi ne trovarono tanti: l’Italia ferita e tristemente fotogenica dei neorealisti che si contrapponeva alla patinata vita della “Hollywood sul Tevere” immortalata dai flash dei fastidiosi paparazzi. La fotografia incominciò a vivere, proprio allora, una nuova avventura, che si polarizzò autorevolmente, qualche anno dopo, sulle pagine de Il Mondo di Pannunzio, de L’Europeo nato nel 1945 con il suo formato “lenzuolo” e di Epoca (1950), il settimanale edito da Arnoldo Mondadori, destinato a lasciare una traccia profonda e duratura nella storia del giornalismo. Viene consacrato così il nuovo ruolo della “fotografia nell’informazione”, (a cui risponde una fitta rete di agenzie, tra cui anche l’Ansa, che si organizzano su territorio nazionale) come d’altronde pretendeva di forza il nuovo fotogiornalismo, che negli anni Cinquanta, viveva anche in Italia, il suo tempo migliore come mass-medium, prima che l’avvento della televisione ne modificasse rapidamente le caratteristiche e la funzione.
Sulla scia della riscoperta della fotografia come strumento di informazione e di lotta, negli anni Sessanta in Italia si afferma un tipo di fotogiornalismo più colto, che caratterizzerà soprattutto le riviste più eleganti, non soltanto quelle di informazione settimanale, bensì mensili come "L'Illustrazione italiana" nuova serie, o "Panorama" di allora, costruito sul modello del "Times" americano, e riviste di moda, architettura, design, rapidamente prolificate. La prima generazione che documenta l’Italia del 68’ è quella di Carla Cerati, Gianni Berengo Gardin, Cesare Colombo, Toni Nicolini. Sono gli anni in cui i fotografi iniziano a riflettere sulla propria funzione di informatori e sul proprio ruolo nei meccanismi dell’informazione cercando di organizzarsi in strutture che tutelino e promuovano la loro professione, ottenendo nel 1976 l’apertura dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti ai fotografi in quanto tali. Ma sono anche e soprattutto quelli di una fervente attività che vede fotoreporter di più generazioni, accomunati dal desiderio di usare la fotografia per documentare le contestazioni in corso in tutta Italia. Il concetto di fotografia come impegno civile continuerà con la generazione che si forma negli anni ’72-’80, che proseguirà con grande impegno professionale e coinvolgimento umano questa attività di documentazione, riflessione e denuncia.
Le agenzie sorte in questi anni ad opera della nuova generazione producono “merce preziosa”, coprono gli avvenimenti, ma ancora una volta la scarsa domanda e attenzione da parte dell’editoria italiana per questo tipo di immagini così “impegnate” non consente alla maggior parte dei fotoreporter di costruire delle strutture fotogiornalistiche solide. Gli anni Sessanta e Settanta saranno anche quelli della grande crisi del reportage tradizionale. C’è un’ecatombe di grandi riviste illustrate che colpisce i colossi dell’informazione per immagini dalla Francia agli Stati Uniti. La concorrenza della televisione ha una parte evidente, perché le fotografie stampate arrivano ormai con grande ritardo sull’attualità teletrasmessa. Problematiche che si rifletteranno abbastanza fedelmente nel giornalismo periodico italiano. I settimanali che usano la fotografia a fini espressivi, si trovano nella necessità di cercare qualcosa d’altro per contrastare il ruolo della televisione come calamita pubblicitaria che diviene sempre più sensibile.
Sarà negli anni Ottanta, che il giornalismo fotografico sembrerà avviarsi al superamento della sua crisi. E’ l’Italia della moda, dei piccoli e medi imprenditori, della nascente televisione privata e dei suoi nuovi personaggi che troveranno spazio a partire dal 1987 sulle pagine dei magazine settimanali proposti dai maggiori quotidiani, inserti patinati allegati al giornale, in grado di competere con il modello televisivo, anche se spesso significa cedere a una disarmante superficialità di fondo.
Di pari passo con la sua evoluzione storica il fotogiornalismo italiano si è sviluppato anche grazie all’evoluzione del suo mezzo, che ne ha migliorato le qualità e accresciuto le potenzialità. Dalla fotografia infatti si sono sempre pretese migliori e maggiori facoltà di rappresentazione documentaria, quali in particolare la nitidezza e la istantaneità nella riproduzione, condizioni che caratterizzano tra l’altro il suo stesso specifico. Nitidezza ed istantaneità: un binomio interdipendente che ha condizionato il modo di fare fotografia e sollecitato sempre più ad elaborare caratteristiche tecniche nei settori chimico, ottico e meccanico, per favorire le più ampie libertà e possibilità di visualizzazione. L’apparecchio fotografico diviene così sempre più piccolo e agile, le emulsioni fotosensibili e gli obiettivi rapidi più dell’occhio umano, al punto che il fotografo non appare più impacciato o limitato da alcunché. Parlare dell’attrezzeria che ha accompagnato il fotografo durante il corso della storia del fotogiornalismo, non è solo un fatto di curiosità ma un omaggio al rapporto sottile che da sempre lega l’uomo al proprio attrezzo di lavoro.
Nasce dall’evoluzione quotidiana con la tecnologia il moderno fotogiornalismo attraverso tappe che formano determinanti capitoli della storia fotografica: “la Leica di Barnak” “la rivista Life”, “il rotocalco illustrato”, “l’agenzia Magnum”, “la camera oscura elettronica”, “internet”, “la fotocamera digitale”...
Oggi i giornali e le riviste italiani, ma non solo, seguono ogni aspetto della nostra vita, dalle mode del momento ai grandi avvenimenti di cronaca, dai drammi della vita di ogni giorno ai cataclismi naturali. Tutto ciò viene amplificato nel segnale che giunge fino a noi tramite l'uso delle immagini. Molte di queste hanno un interesse momentaneo, altre trascendono l'attualità e acquistano un significato che va al di là dell'impatto visivo di una " semplice " fotografia. Un significato destinato a durare nel tempo.
L'ipotesi realistica e documentaria della fotografia è stata infatti la direzione del suo progresso tecnologico, dal dagherrotipo, al digitale, al virtuale. L’informazione fotografica è diventata - anche - un oggetto, trasferibile, utilizzabile, scaricabile senza limitazioni. Il "world wide web" (rete internazionale di collegamento ipertestuale) è uno dei mezzi più utili per il reperimento, la comunicazione e lo scambio di informazioni a livello planetario, non solo, ma la sua facilità di accesso ed i prezzi relativamente contenuti (sia dei computer che dei collegamenti telefonici) ne fanno uno strumento che chi vuole fare o interessarsi al fotogiornalismo, non può permettersi di ignorare.
In rete ci sono milioni di fotografie rubate. Le tecnologie che trasferiscono files, informazioni senza possibilità di controllo si affermano di giorno in giorno (basta pensare a un’applicazione computer sharing tipo gnutella o napster destinata all’immagine…) L’immaterialità dei contenuti presenti in rete forse non consentirà più la sopravvivenza delle tradizionali forme di intermediazione, alla base del rapporto fotografo/agenzia/cliente. Si prospetta una nuova figura di fotografo, editore di se stesso, che sceglie il testo da affiancare alle immagini (o la voce, o la musica, o l’animazione), inserisce il reportage in un contesto serio e che non contenga distrazioni o abbassamenti di tono rispetto al suo soggetto e al modo in cui lo ha svolto, cosa che con l’editoria su carta non era possibile.
A differenza di altre applicazioni in cui il computer ha reso obsoleto l’utilizzo degli strumenti tradizionali, la fotografia riesce però ad essere mutante e al contempo immobile. Come al passo con le innovazioni deve stare il mondo che gira intorno alla fotografia: le agenzie che “o si adattano o muoiono”, (il mercato delle agenzie è in continua evoluzione, lo scenario italiano va da agenzie più tradizionali come l’Ansa ad agenzie di archivio stock on line che lavorano ormai solo su Internet, come Trovafoto.it.) e l’editoria, due giganti che si influenzano a vicenda e non sempre in modo positivo. Oggi la preoccupazione di doversi uniformare al mercato e il desiderio di tenere insieme ogni pubblico possibile producono immagini sterili. La stampa che dovrebbe immaginare un modo diverso di guardare le cose si è ormai uniformata al modello che dovrebbe combattere.
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