Indice.
Introduzione 1
Capitolo 1: L’immagine 4
1. La natura multiforme dell’immagine 4
1.1. Variazioni semantiche 5
1.2. Tipologia delle immagini 6
1.3. Approcci metodologici 7
1.3.1. Approccio iconografico 8
1.3.2. Approccio semiologico 8
1.3.3. Approccio filosofico 10
2. Potenza delle immagini 12
2.1. Platone 12
2.1.1. L’immagine come fonte di conoscenza 13
2.2. Iconofili e iconoclasti 14
2.3. La laicizzazione dell’immagine 18
2.4. L’immagine tecnica 20
2.4.1. L’immagine proliferante 21
Capitolo 2: L’immagine fotografica 24
1. Storia e sociologia dell’immagine fotografica 24
1.1. Forme di comunicazione e struttura sociale 25
1.1.1. Ortoleva e Schwarz: due approcci globali 26
1.2. Cenni storici 27
2. La questione del realismo dell’immagine fotografica 32
2.1. La foto come specchio del reale 33
2.1.1. La fine dell’arte 34
2.1.2. Benjamin e la distruzione dell’aura 35
2.1.3. La liberazione dell’arte per mezzo della fotografia 37
2.2. La fotografia come trasformazione del reale 39
2.2.1. Teorie dell’immagine e psicologia della percezione 40
2.2.2. Le analisi ideologiche dell’immagine fotografica 40
2.3. La fotografia come traccia di un reale 41
2.3.1. Bazin e Barthes, due teorie a metà tra icona e indice 41
2.3.2. Dubois e la pragmatica dell’immagine fotografica 44
3. Usi sociali della fotografia 46
3.1. La nostalgia, la morte e l’esperienza della temporalità 46
3.1.1. La fotografia come strumento di elaborazione del lutto 47
3.2. Il ritualismo fotografico 48
3.3. La fotografia come esperienza di sé 49
Capitolo 3: La rappresentazione visiva delle notizie: il fotogiornalismo 51
1. Le origini del racconto per immagini in ambito giornalistico 51
1.1. Fotomenzogna e fotopropaganda 52
1.1.1. La fotografia sociale 54
1.2. Tra le due guerre: l’età d’oro del fotogiornalismo 58
1.2.1. Le cause del successo del fotogiornalismo 58
1.2.2. I newsmagazine americani 60
1.2.3. Il fotoreporter e le agenzie fotografiche 61
1.3. Verso giornali sempre più visivi: la grafica dei quotidiani 62
1.3.1. Origini e sviluppi della grafica 63
1.3.2. La grafica come comunicazione 65
1.3.3. Visualizzazione della notizia e agenda-setting 67
2. La fotografia come fondamentale elemento visivo dei quotidiani 68
2.1. Oltre la lettura ingenua dell’immagine fotografica 70
2.1.1. La fotografia come atto comunicativo 71
2.1.2. La fotografia come segno 74
2.1.2.1. I segni iconici 75
2.1.2.2. I segni plastici 76
2.1.2.3. i segni linguistici 81
2.1.2.4. La foto impaginata 83
2.2. La fotografia come mezzo di conoscenza della realtà 85
2.2.1. Il sapere laterale 86
2.2.2. Il perturbante 87
3. Per una retorica della fotografia giornalistica 88
3.1. La fotografia stereotipata 90
3.1.1. Il fotografabile 92
3.1.2. Dove sono finiti i fotoreporter? 94
3.1.3. Le foto di marca 96
3.2. Allegoria, simbolo, mito 101
3.2.1. L’allegoria 108
3.2.2. Il simbolo 108
3.2.3. Il mito 115
3.2.4. Verso la ri-mitologizzazione del mondo 121
3.3. Fotografia, storia, memoria 123
3.3.1. La specificità della memoria veicolata dalle immagini fotografiche 124
4. Nella pratica del lavoro redazionale 127
4.1. La scelta della fotografia 127
4.2. Per un’etica dell’immagine fotografica 133
4.2.1. I professionisti dell’immagine 133
Capitolo 4: Iraq 2003 nelle foto pubblicate da El Paìs, il Corriere della Sera, Le Monde 136
1. Criteri di analisi 136
1.1. La scelta dei quotidiani 136
1.2. Perché la guerra 138
1.3. La scelta delle foto da esaminare 139
2. La copertura fotografica della guerra 140
2.1. 23 e 24 marzo 141
2.2. 26 marzo 147
2.3. 27 marzo 152
2.4. 30 e 31 marzo 157
2.5. 1 aprile 166
2.6. 2 aprile 172
2.7. 3 aprile 177
2.8. 10 aprile 181
3. Abbiamo veramente visto la guerra? 189
3.1. "La guerra della disinformazione è iniziata" 190
3.2. Le condizioni di lavoro dei fotoreporter 192
3.3. Vedere è sapere? 195
4. Raccontare con le immagini 197
4.1. Una classificazione delle immagini fotografiche per generi 198
4.1.1. Il genere narrativo 198
4.1.2. Il genere drammatico 201
4.1.3. Drammatizzazione e spettacolarizzazione 205
4.1.4. Il genere oratorio 210
4.1.5. Il genere epico 212
4.1.6. Il genere lirico 215
4.2. La guerra stereotipata 217
4.3. La guerra è bella? 226
4.3.1. Il kitsch 229
5. Corsi e ricorsi 231
5.1. La memoria di un quotidiano 235
5.1.1. La memoria funzionale 237
5.1.2. I rischi del ricordare 239
Conclusioni 240
Appendice 243
1. Le style du Monde 243
2. La dichiarazione di intenti di Le Monde nell’uso delle fotografie 252
3. La Carta del Corriere della Sera 255
4. La Carta dei doveri del giornalista 267
5. La Carta di Treviso 272
6. La redazione grafica del Corriere della Sera 276
7. Il Libro de estilo 287
8. Documento dei giornalisti embedded 288
Bibliografia 290
Indice 298
Introduzione.
Lo scopo del presente lavoro è di proporre una possibile chiave interpretativa dei percorsi comunicativi che si realizzano tra le foto giornalistiche pubblicate dai quotidiani, coloro che decidono di pubblicarle e coloro che le guardano, in quanto lettori di quei quotidiani.
Osservando alcuni quotidiani, italiani e europei, ho notato che, rispetto ad alcuni anni addietro, essi si concentrano molto di più sulla comunicazione visiva delle notizie, sfruttando gli strumenti grafici a loro disposizione. Se, dunque, anche i quotidiani appartengono all’insieme dei cosiddetti manufatti comunicativi, possiamo affermare che la comunicazione cui danno vita, da alcuni decenni a questa parte, è in buona parte una comunicazione visiva. Per raggiungere questi risultati i quotidiani sono ricorsi alle immagini fotografiche: oggi, in quasi la tutte la pagine di cui è composto un quotidiano, troviamo pubblicata almeno una fotografia.
Fin dalla sua invenzione, la fotografia è stata considerata come un modo oggettivo di riprodurre la realtà circostante e, anche per questo motivo, il giornalismo, i cui obiettivi siano l’obiettività e la verità, ha largamente utilizzato questo tipo di immagini come prova che i fatti riportati erano realmente accaduti. Attualmente, di fronte ai meccanismi sempre più complessi della comunicazione, occorrerebbe riflettere più approfonditamente sulla natura e la specificità dell’immagine fotografica.
Le modalità con cui un quotidiano sceglie le foto da pubblicare e poi le impagina assieme agli articoli e agli altri elementi grafici, hanno, infatti, un’importanza decisiva e veicolano una quantità di informazioni superiore (e qualitativamente differente) rispetto ai testi scritti. Dalla lettura dei più importanti quotidiani italiani ed europei, emerge che sono a tuttora pochi quelli che hanno cercato di approfondire la questione dell’uso delle fotografie e, soprattutto, fanno in modo che le loro scelte in ambito iconografico siano rappresentative dello stile della loro testata.
In Italia il ruolo della fotografia occupa ancora un posto subalterno rispetto all’informazione scritta per ragioni storiche e culturali, tra cui la censura imposta dal regime fascista, proprio negli anni in cui nel resto del mondo il fotogiornalismo si stava sviluppando.
Si stanno tuttavia registrando delle inversioni di tendenza grazie alla nascita, negli ultimi anni, di alcuni associazioni: Fotografia&Informazione, che raggruppa formata da giornalisti e fotografi, GRIN, gruppo formato dai photo editor italiani, GSGIV, gruppo di specializzazione dei giornalisti dell’informazione visiva.
Tra i quotidiani italiani si è scelto di analizzare Il Corriere della Sera, il quale, a differenza di la Repubblica, l’altro quotidiano più diffuso in Italia, ha dimostrato maggiore attenzione nell’uso della fotografia, mentre tra i quotidiani europei sono stati presi in considerazione Le Monde e El Paìs, che tra i primi hanno aperto un dialogo con i propri lettori per spiegare loro le modalità con cui usano le fotografie.
Le problematiche emerse da queste prime osservazioni empiriche sono molteplici e possono riassumersi in una serie di domande, innanzitutto: perché, ad un certo punto, si cominciò a pubblicare le immagini fotografiche sui quotidiani di informazione e perché si continua a farlo ancora adesso che possiamo vedere tutto ciò che accade alla televisione? Perché vengono pubblicate alcune fotografie e non altre? Quali informazioni apportano, oltre a quelle già contenute negli articoli? Le fotografie possono creare disinformazione? Perché alcune foto di eventi passati (il miliziano colpito a morte di Robert Capa, la bambina vietnamita che corre con la braccia spalancate dopo un attacco al napalm) sono rimaste così fortemente impresse nella memoria collettiva?
Ogni capitolo di questo lavoro cerca di offrire elementi in più per rispondere esaurientemente a queste domande, anche se, ovviamente, le risposte offerte qui non sono le uniche possibili. Il primo capitolo ripercorre la “storia delle immagini”, evidenziando la pluralità e la diversità delle immagini di cui gli uomini si sono circondati, cominciando con i disegni fatti dagli uomini primitivi sulle pareti delle caverne. Per comprendere la pluralità di significati cui l’uomo attribuisce alle immagini, occorre tener presente gli strumenti offerti da varie discipline: iconografia, semiologia, filosofia.
Allo stesso modo, il secondo capitolo affronta la specificità dell’immagine fotografica, senza tuttavia pervenire ad una definizione precisa. L’immagine fotografica, infatti, allo stesso tempo, essa può essere vissuta come icona, indice o simbolo della realtà che rappresenta, per richiamare la tricotomia di Charles Sander Peirce. Per questo motivo, le immagini fotografiche sono state strumento di numerose elaborazioni simboliche nella realtà sociale e si sono prestate a usi diversi.
Nel terzo capitolo, grazie al contributo dell’analisi semiotica delle immagini, si è cercato di evidenziare il fatto che la lettura di una fotografia non è un’operazione così semplice e immediata, come si è comunemente portati a pensare, proprio perché l’immagine fotografica, di per sé, è un’immagine complessa. E lo è ancora di più quando viene pubblicata sulla pagina di un giornale e deve concorrere con altri elementi, di diversa natura, nel processo di informazione.
Si arriva così a formulare l’ipotesi centrale di questo lavoro: che esista una retorica della fotografia giornalistica, ovvero una serie ricorrente di modi di attribuzione di senso alle immagini fotografiche che troviamo nei quotidiani, innescati sia da parte di coloro che scelgono quali fotografie pubblicare per visualizzare determinate notizie, sia da parte di coloro che fruiscono del giornale così confezionato, vuoi consapevolmente vuoi inconsapevolmente. Esisterebbero tre modi principali attraverso cui le persone elaborano il senso delle immagini fotografiche, che corrispondono alle modalità con cui, da millenni, gli uomini si rapportano alla realtà, per costruire il significato della loro esistenza: l’allegoria, il simbolo e il mito. A questi si aggiunge anche lo stereotipo.
Il capitolo quarto analizza, attraverso gli strumenti teorici trattati nel capitolo precedente, la copertura fotografica della guerra in Iraq tra marzo e aprile 2003 fatta dai tre quotidiani sopra menzionati (Il Corriere della Sera, Le Monde e El Paìs), al fine di verificare se le fotografie sono state utilizzate in modo retorico, nel senso attribuito a questo termine nel capitolo tre. In questo contesto si è anche cercato di applicare, all’insieme delle fotografie prese in considerazione, una suddivisione per generi, così come si fa in letteratura. Un ulteriore elemento di verifica è stata la visita alla redazione del Corriere della Sera e i colloqui con l’art director Gianluigi Colin.
Conclusioni
L’indagine condotta conferma l’atavica necessità dell’uomo di convertire il
mondo in immagini: fin dai primordi, le immagini, di qualsiasi natura, hanno
rappresentato uno dei principali strumenti di intermediazione tra l’uomo, i suoi
sensi e la sua coscienza, e la realtà che lo circonda. Utilizziamo le immagini
per conoscere il mondo, la nostra conoscenza si basa, in gran parte, su ciò che
possiamo vedere; nella nostra cultura visiva occidentale vedere è sapere, è
possedere la realtà.
Le immagini fotografiche pubblicate sui quotidiani
hanno, in prima istanza, questa funzione gnoseologica; i giornalisti e i lettori
si affidano ad esse, perché sono convinti della natura oggettiva, di specchio
del reale, propria di questo tipo di immagini. In particolare, è opinione comune
che la conoscenza veicolata dalle fotografie sia immediata, semplice, veloce,
quindi funzionale alle modalità di comunicazione che si stanno
diffondendo.
L’analisi della copertura fotografica attuata da il Corriere
della Sera, Le Monde e El Paìs della difficile situazione
di guerra verificatesi in Iraq ha evidenziato che le relazioni che si creano tra
queste tre entità: i soggetti che percepiscono la realtà, sia come singoli che
come comunità, la realtà stessa e le fotografie che la rappresentano sono molto
più complesse e problematiche, tuttavia sintetizzabili in tre figure:
l’allegoria, il simbolo e il mito, che da sempre costituiscono le modalità con
cui l’uomo si rapporta alla realtà . Si è parlato, a proposito, di retorica
delle fotografie giornalistiche proprio per sottolineare il carattere ricorrente
di queste figure e, inoltre, il fatto che esse diano vita a percorsi
comunicativi che apportano significazioni che trascendono la mera realtà cui si
riferiscono.
Durante il conflitto in Iraq le fotografie sono state
pubblicate hanno prodotto essenzialmente due effetti: hanno informato e ci hanno
emozionato. Non sempre l’informazione prodotta da queste immagini rappresentava
un valore aggiuntivo rispetto all’informazione veicolata dai testi scritti;
spesso le fotografie offrivano uno sguardo che tendeva a semplificare la realtà,
a ridurla in una serie di stereotipi di facile comprensione. E’ tuttavia una
caratteristica peculiare dell’allegoria, del simbolo e del mito strutturare la
realtà utilizzando categorie e schemi esplicativi elementari, validi
universalmente, che si basano su semplici opposizioni binarie. Del resto, di
fronte ad un evento come la guerra, l’uomo ricerca queste modalità e trova in
esse conforto.
L’informazione prodotta da queste foto allegoriche, simboliche
e mitiche non si riduce, tuttavia, solamente ad una serie di stereotipi. Queste
immagini, infatti, sono in grado di superare la rappresentazione passiva del
dato, attingendo ad un livello veramente espressivo, situato a metà strada tra
l’ideale e il reale, tra il soggettivo e l’oggettivo. Le fotografie, infatti,
attivano la capacità immaginativa dell’uomo che lo induce a muoversi più sul
piano del sentimento e delle intuizioni, che sul piano della ragione.
Pensare la realtà circostante per mezzo di fotografie allegoriche,
simboliche o mitiche spesso ha significato estetizzare questa realtà, attraverso
richiami iconografici dei canoni estetici dell’arte occidentale, soddisfacendo
quel piacere consolatorio di cui l’uomo sente il bisogno accostandosi alla
realtà. Ma le fotografie che rappresentano l’attualità attraverso le modalità
dell’allegoria, del simbolo e del mito rispondono ad un’altra necessità insita
nell’uomo, quella di raccontare, di narrare dei fatti, in vari modi:
drammatizzandoli o spettacolarizzandoli, in tono epico o lirico.
Le
fotografie allegoriche, simboliche e mitiche creano tutta questa serie di
effetti perché attivano un’altra importante modalità di pensiero: quella
mnestica. Le fotografie di questo tipo, infatti, solitamente contengono dei
richiami al passato, attivano la memoria storica, attraverso quella iconica, del
soggetto, proponendogli paralleli analogici tra passato e presente, che
aggiungono ulteriori significazioni. D’altra parte, viene naturale, di fronte ad
eventi di una tale importanza, come la guerra in Iraq, esplorare la nostra
memoria per cercare altri accadimenti simili.
Alla luce di queste modalità di
rappresentazione per immagini della realtà, vediamo che facilmente una
fotografia può perdere la sua peculiarità di foto giornalistica, vale a dire
strettamente informativa, secondo i principi e le regole del giornalismo
scritto. Per questo motivo, sarebbe auspicabile che i quotidiani dedicassero più
attenzione alla questione della comunicazione visiva delle notizie per mezzo
delle immagini fotografiche, aprendo un dialogo tra lettori e giornalisti,
soprattutto in contesto bellico, quando ogni aspetto della comunicazione diviene
ancora più problematico.
Non essendo quello strumento oggettivo di
rappresentazione della realtà che si è sempre comunemente pensato, le fotografie
sono dei mezzi molto efficaci attraverso cui ciascun quotidiano può esprimere la
propria linea editoriale, il proprio modo di vedere le cose. Ognuno dei
quotidiani esaminati ha un proprio stile visivo, indicativo del modo in cui
questi intendono l’attualità e, soprattutto, l’informazione su questa attualità.
Questi approcci diversi alla comunicazione visiva delle notizie attraverso
l’impiego delle immagini fotografiche costituiscono tre modi diversi di fare
informazione e, quindi, tre modi diversi di produrre conoscenza.
Non
possiamo sostenere che un quotidiano che scelga di pubblicare delle fotografie
retoriche, nel senso dato sopra a questo termine, faccia disinformazione tout
court, mentre un quotidiano che pubblichi esclusivamente delle foto descrittive
crei maggiore conoscenza: cosciente della complessità propria dell’immagine
fotografica e delle modalità cognitive cui può dar vita, sarebbe auspicabile che
ogni quotidiano valuti più attentamente, caso per caso, le proprie scelte
visive.
A questo proposito si è cercato di suggerire alcune soluzioni: far
sì che i giornalisti abbiano una cultura dell’immagine di base e che questa
cultura si trasformi in una deontologia; aprire il dialogo tra la redazione e i
lettori sul proprio modo di lavorare; inserire nell’organigramma redazionale
delle figure ad hoc che si occupino della linea visiva del giornale.
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