UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO

FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE

A.A. 2004-2005

ANALISI STORICO-LINGUISTICA DEL FOTOGIORNALISMO COME STRUMENTO DI CONDIZIONAMENTO DELLA LETTURA DELLA REALTA’


Indice

  • Simona Tratzi
  • ANALISI STORICO-LINGUISTICA DEL FOTOGIORNALISMO COME STRUMENTO DI CONDIZIONAMENTO DELLA LETTURA DELLA REALTA’

INTRODUZIONE p. 3

CAPITOLO 1

1. LA NASCITA DEL FOTOGIORNALISMO p. 10
2. LIFE: La vetrina del mondo p. 16
2.1 LA SECONDA GUERRA MONDIALE p. 20
2.2 LA GUERRA DI COREA E DEL VIETNAM p. 25
3. MAGNUM PHOTOS p. 28

CAPITOLO 2

1. L’ITALIA E’ TUTTA DA SCOPRIRE p. 36
2. L’ETA’ DELL’ORO DEL FOTOGIORNALISMO ITALIANO p. 41
3. EPOCA p. 43

CAPITOLO 3

1. LE ORIGINI DELLA MANIPOLAZIONI FOTOGRAFICA p. 59
2. IL VALORE SIMBOLICO DELL’IMMAGINE p. 64
3. LE “PHOTO OPS” p. 68
4. LA STRAGE DI TIMISOARA p. 69
5. LA FOTOGRAFIA DIGITALE p. 71
6. ALCUNI ESEMPI DI MANIPOLAZIONE DIGITALE DELLE IMMAGINI p. 72

CAPITOLO 4

1. LA GUERRA DEL GOLFO E IL CASO DEL CORMORANO NERO p. 78
2. I FOTO-AMATORI DIVENTANO I NUOVI CARTIER-BRESSON p. 81


CONCLUSIONI p. 85

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI p. 87

Introduzione

  • Simona Tratzi
  • ANALISI STORICO-LINGUISTICA DEL FOTOGIORNALISMO COME STRUMENTO DI CONDIZIONAMENTO DELLA LETTURA DELLA REALTA’

Si dice che la fotografia non inganna; essa corrisponde senza alcun dubbio al vero, è l’ unico testimone a cui si possa credere. L’obiettivo di questo lavoro è di smentire questo pregiudizio, ancora valido per la maggior parte dei fruitori dell’immagine.
La prima parte di questo lavoro è di tipo storico, poiché si è voluto descrivere l’uso dell’immagine fotografica sui giornali, dagli anni Trenta ad oggi. L’autenticità che caratterizzava la fotografia le conferì il particolare valore di documento e questo ne favorì da subito l’impiego nella riproduzione degli eventi di cronaca. A fine Ottocento l’invenzione della lastra a mezzatinta e le macchine fotografiche di piccole dimensioni, come la Kodak, la Leica o l’Ermanox, cambiarono definitivamente il rapporto tra fotografia e carta stampata. Nacque così il giornalismo fotografico inteso in senso moderno: una forma di comunicazione capace di integrare fotografia e testo scritto.
Gli anni Trenta costituirono l’età dell’oro del fotogiornalismo, grazie alla diffusione di importanti riviste come “Vu”, l’ “Illustration”, il “Picture Post” e tra il 1936 e il 1937 “Life” e “Look”.
“Life” si distinse dalle altre per aver scelto una linea editoriale in cui erano le immagini a raccontare, non le parole. La fotografia passò dall’essere semplice funzione accessoria di commento a supporto informativo diretto, rovesciando così il rapporto tra parola ed immagine. Sulle pagine patinate della rivista furono raccontate le guerre e i maggiori avvenimenti che accaddero, a livello mondiale, dal 1936 al 1972. Nei suoi trentasei anni di vita “Life” annoverò nel suo staff i migliori fotografi del mondo, tra cui Robert Capa, Alfred Eisenstaedt, Margareth Bourke White, W. Eugene Smith e tanti altri che informarono il pubblico internazionale attraverso le immagini, facendo di “Life” una vera e propria vetrina sul mondo.
“Life” fu uno dei più accesi sostenitori dell'intervento americano alla Seconda guerra mondiale e, all'entrata in guerra, inviò parecchi fotografi in Europa e nel Pacifico per seguirne gli avvenimenti. Fra le poche immagini dello sbarco in Normandia che sono state consegnate alla storia, le più famose sono quelle di Robert Capa, all'epoca accreditato per “Life” insieme ad altri cinque fotografi, fra cui George Rodger, che sarà tra i fondatori dell'agenzia “Magnum”.
Gli ultimi anni Sessanta e i primi anni Settanta furono, sia in America che in Europa, anni di grande impegno sociale e “Life” fu ancora una volta in prima linea nel documentare le guerre e le rivolte studentesche e della comunità nera in America. L’esperienza di “Life” è emblematica perché attraverso la sua storia è stato possibile descrivere come l’avvento della televisione, negli anni Settanta, abbia segnato la fine del fotogiornalismo d’autore rivolto ad un pubblico di massa. E proprio per questo motivo si è voluta raccontare anche la storia della “Magnum Photos”, l’agenzia fotografica più prestigiosa del mondo, fondata nel 1947 da Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, David “Chim” Seymour e George Rodger. Essa rappresenta un’iniziativa unica nel suo genere, un fiore all’occhiello del fotogiornalismo mondiale. Nata da un’idea di Robert Capa, la storica cooperativa, è cresciuta negli anni grazie al talento dei tanti fotografi-membri che hanno raccontato in immagini tutti i capitoli più importanti della storia di mezzo secolo, cogliendo quella parte di realtà che la televisione è in grado solo di accennare o, peggio, di dimenticare.
Parallelamente, nel secondo capitolo, si sono ripercorse le tappe della storia del fotogiornalismo in Italia. Proprio negli anni in cui nella stampa di altri paesi si apriva l’epoca del reportage fotografico, l’Italia visse un periodo buio a causa della censura instaurata dal fascismo. E’ nel dopoguerra che la fotografia italiana vive la sua età dell’oro. Accanto ai quotidiani del mattino si diffusero i settimanali d’attualità che ebbero tirature altissime per l’epoca, visto l’alto tasso di analfabetismo del popolo italiano. Dal 1947 al 1952 nacquero “L’Europeo”, “Tempo”, “Oggi”, “Epoca”: testate dallo stile nazional-popolare, in cui le fotografie corredavano tutti i servizi e talvolta costituivano il servizio stesso, secondo la tradizione del fotogiornalismo americano.
Nella prima metà degli anni Cinquanta, in concomitanza alla diffusione di riviste come “Life” o “Paris Match” e alla scoperta delle potenzialità del racconto fotografico, alcuni fotografi decisero di raccontare l’Italia del dopoguerra mettendo in pratica le lezioni del Bauhaus e delle avanguardie sovietiche. Significativa a riguardo fu la nascita di riviste come il “Politecnico”, il “Mondo”, “Tempo” che divennero l’unico luogo in cui la fotografia assunse un carattere autonomo e integrato ai testi, attraverso immagini che segnalavano la drammatica realtà dell’Italia del dopoguerra. Il neorealismo fotografico terminò a metà degli anni Cinquanta, periodo in cui ci fu l’esplosione dei rotocalchi, che trattavano esclusivamente temi rosa, d’evasione e fatti di cronaca nera, ritornata sui giornali dopo la dittatura fascista. In un paese come l’Italia, ancora prevalentemente agricolo e con altissimi tassi di analfabetismo, la parola scritta rappresentava ancora una possibilità per pochi, mentre la fotografia era accessibile a tutti. Nel boom editoriale che caratterizzò questi anni, alcuni rotocalchi come “L’Europeo”, “Epoca”, “Famiglia Cristiana”, la “Domenica del Corriere” e “Oggi” si posero il problema di utilizzare la fotografia sperimentando un nuovo linguaggio, in cui l’immagine aveva una funzione imprescindibile nell’informazione giornalistica. Per questo motivo si è analizzata la storia del settimanale “Epoca” che, anche se a prima vista nasce come la versione italiana di Life, in realtà ha avuto un’importantissima funzione didattica per i lettori italiani. Attraverso le immagini fotografiche e le illustrazioni sugli inserti, “Epoca” ha raccontato l’immagine vera di quegli anni, dall’esplosione economica degli anni Cinquanta alle profonde trasformazioni sociali degli anni Settanta, attraverso lo sguardo di fotografi eccezionali come Mario de Biasi, Sergio Del Grande, Giorgio Lotti, Walter Mori, Walter Monatti, Vittoriano Rastelli, Mauro Calligani , Nino Leto e molti altri. Anche per il fotogiornalismo italiano, l’avvento della televisione provocò il tracollo delle grandi riviste illustrate (tra cui quello di “Epoca”), che si videro private dell’immagine e della pubblicità.
Nella seconda parte del lavoro si ripercorrono i diversi aspetti del potere di testimonianza della fotografia, che l’ha portata a essere considerata un utile mezzo di propaganda per tutti i tipi di governo, dai regimi totalitari a quelli democraticamente eletti. Nel terzo capitolo, infatti, si mette in evidenza come l’immagine fotografica sia stata utilizzata, durante tutta la storia del fotogiornalismo, come un preciso strumento di controllo e di sorveglianza della società voluto dai governi. La manipolazione delle immagini è un’arte antica, che inizia dai piccoli ritocchi in camera oscura per addolcire i tratti somatici dei soggetti delle foto, fino a giungere a vere e proprie rimozioni e inserimenti di elementi estranei. Attraverso l’analisi di alcuni clamorosi esempi di manipolazione delle fotografie destinate ai media si è voluto dimostrare che non è stato l’avvento della tecnologia digitale a creare problemi etici nel fotogiornalismo: i softwares come Photoshop, infatti, hanno soltanto facilitato questa pratica. La storia del giornalismo è piena di fotografie che, una volta manipolate, sono state utilizzate a scopi propagandistici attraverso plateali e spesso grossolane falsificazioni della realtà. Esempi di questo tipo sono le fotografie di Roger Fenton durante la guerra di Crimea, o quelle della battaglia di Gettysburg di Gardner che non sono false perché alterate chimicamente, ma lo sono perché non istantanee. A questo proposito anche nelle guerre più recenti è possibile appurare come molte delle fotografie che ormai appartengono alla nostra memoria collettiva, in realtà siano delle immagini simboliche volute dal fotografo e non porzioni di realtà colte nel “momento decisivo”. All’interno del capitolo si è analizzato celebri fotografie come “L’istante della morte” di Robert Capa, o quella della bandiera americana sull’isola di Iwo Jima per osservare come queste immagini di guerra, col tempo, acquistino il carattere di documento storico. Si è riflettuto sull’importanza di sapere se esse siano delle “vere” istantanee oppure delle messe in scena, poiché una volta diventate “simbolo” esse rappresentano la sintesi della guerra a cui appartengono, a prescindere dalla loro veridicità.
L’analisi prosegue fino ai giorni nostri, con le eleganti forme di falsificazione che sono le “Photo Opportunites”, in cui si programmano e predispongono situazioni ambientali dove il personaggio viene ritratto in atteggiamenti significativi: come è successo per la fotografia della stretta di mano tra Yitzhak Rabin e Yasser Arafat sul prato della Casa Bianca.
Queste tecniche di manipolazione rientrano in quello che è definito news management (gestione delle notizie), che ha portato a clamorosi falsi giornalistici come il caso della “strage di Timisoara” o dell’episodio del “Cormorano nero” durante la prima guerra del Golfo (esempi presi in esame nel terzo e nel quarto capitolo).
Nella società dell’immagine la fotografia d’informazione ha perso parte della sua spontaneità. I giornali rincorrono la spettacolarità dell’immagine televisiva e le tecnologie digitali permettono di inventare immagini di cronaca drammatiche a costi bassissimi e molto velocemente. Sono caduti in questa deriva dell’infotainment anche giornali illustri come il “Time Magazine” o, in Italia “il Manifesto”, che non hanno esitato a distorcere immagini di cronaca per renderle più “belle” o di maggior impatto visivo, con un semplice clic del mouse. L’invenzione di immagini è una prassi consolidata nella moderna società dell’informazione. Tutti sono a conoscenza della possibilità di manipolare le immagini attraverso il computer, ma sono ancora molto pochi quelli che possiedono gli strumenti per capire i diversi meccanismi che regolano la cronaca e la finzione. A questo proposito nel quarto capitolo si è analizzato come nell’era del trionfo delle tecnologie avanzate e della globalizzazione le guerre, prima che con le armi, vengano combattute attraverso l’informazione. Le ultime due guerre del golfo sono l’esempio lampante di questa tendenza.
La manipolazione e la propaganda delle informazioni e delle immagini hanno avuto il loro apice nella guerra del Golfo (1991), ed è per questo motivo che si è scelto di approfondirne l’analisi. Con la guerra in Iraq il fotogiornalismo entra in una nuova fase della sua storia. A documentare la guerra non sono più i fotografi professionisti, ma i foto-amatori che, indisturbati, girano con le loro macchine fotografiche digitali e scattano semplici foto-ricordo, che diventano una sorta di inconsapevole scoop. Questo è il caso delle foto-ricordo delle torture inflitte agli iracheni, scattate dal soldato Charles Graner nel carcere di Abu Ghraib, o di quelle delle bare dei soldati americani caduti durante il conflitto di Tami Silicio, che sono entrate nel circuito mediatico tramite e-mail, scioccando l’opinione pubblica mondiale.
Oggi siamo diventati tutti testimoni, tutti produttori d’immagini.

Conclusioni

  • Simona Tratzi
  • ANALISI STORICO-LINGUISTICA DEL FOTOGIORNALISMO COME STRUMENTO DI CONDIZIONAMENTO DELLA LETTURA DELLA REALTA’

La fotografia è una forma di linguaggio che supera ogni barriera culturale, sociale e religiosa. Nella storia del fotogiornalismo si è imposta come forma ideologica più manovrabile di altre, in quanto più persuasiva e immediata nella percezione emotiva. La fotografia ha, infatti, l’enorme potere di restituire al lettore un effetto di obiettività incomparabile.
L’immagine su un giornale trasforma la fotografia in un imparziale specchio dei fatti: questo assioma è conosciuto molto bene dagli editori della carta stampata che chiedono soltanto immagini utili a fabbricare consenso, a scapito dell’identità grafica e della qualità dell’immagine fotografica, considerate come una mera questione economica o come problematiche legate all’impostazione grafica del giornale. Ciò ha portato alla deriva del fotogiornalismo d’autore, perché l’immagine è ancora considerata importante, ma serve unicamente a scioccare e non a far riflettere o a informare.
I reportages basati sull’attesa dell’ “istante decisivo” e sul lavoro dell’istantanea diminuiscono costantemente anche sulle pagine delle riviste illustrate di “qualità”, allettate dalle immagini d’archivio e da illustrazioni più pratiche e meno costose. I fotografi che lavorano sul lungo periodo, che continuano ad indagare sugli aspetti più nascosti della nostra società e a penetrare nelle zone dimenticate dalle grandi macchine televisive, sono tutti freelance ed espongono, sempre più spesso, i loro lavori nelle gallerie dei musei, più che sulla carta stampata. La fruizione di questo tipo di reportages è quindi destinata, sfortunatamente, a riguardare una sempre più piccola élite di persone, pur essendo immagini che propongono un punto di vista e stimolano la capacità di pensare: possibilità che non viene offerta dal mezzo televisivo.
Oggi ci si chiede se le tecnologie digitali, l’imporsi delle grandi agenzie di stampa come fonti primaria nel processo di acquisizione delle notizie da parte di ogni giornale e l’avvento dei foto-amatori, stiano portando alla fine del fotogiornalismo di testimonianza e di indagine. Secondo una definizione di Furio Colombo, la qualifica più alta del fotogiornalismo è di “forzare la violenza a confrontarsi con l’opinione del mondo”(36); e da questo punto di vista anche le immagini amatoriali di Abu Ghraib, di Tami Silicio o, più recentemente, quelle dell’attentato nella metropolitana di Londra sembrano assolvere questo compito. Abbiamo visto come negli anni il fotogiornalismo abbia perso la sua spontaneità sofisticata a beneficio di facili fabbricazioni, nella folle corsa contro una televisione sempre più spettacolare. L’efficacia della fotografia “impegnata”, i cui autori credevano di cambiare il mondo, o per lo meno di ribaltare l’opinione pubblica, si rivela oggi praticamente nulla, affogata in un continuo bombardamento d’immagini. Più che parlare di fine del fotogiornalismo forse, sarebbe più opportuno, ridefinire la funzione dell'immagine nell'informazione. La lunga storia della rappresentazione ha raggiunto un bivio: da un lato la fotografia d'autore; dall’altra le immagini immediate in digitale.
Nella società “mediatica”, quindi, i nuovi “professionisti” dell’immagine sono diventati i foto-amatori: persone che non cercano l’avvenimento, che non vogliono documentare un fatto storico. Eppure, le loro immagini sono diventate dei veri e propri documenti storici, perché attestano delle verità che altrimenti sarebbero state taciute per sempre.
Nell’era del trionfo delle tecnologie avanzate e del new management, il potere del vedere appare,quindi, più incisivo del potere delle bombe.

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36 - F. Colombo, Manuale di giornalismo internazionale, Laterza, Bari 1998

Bibliografia

  • Simona Tratzi
  • ANALISI STORICO-LINGUISTICA DEL FOTOGIORNALISMO COME STRUMENTO DI CONDIZIONAMENTO DELLA LETTURA DELLA REALTA’

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RIVISTA “Problemi dell’informazione”

Num. 4/2001
F. Amodeo, Quando l’evento non sta nel format
C. Lenzi, Guerra e pubblicità
Num 2/2003
F. Amodeo, Economia (e iconografia) del conflitto sui media
M. Capovilla, Fotografia e “ Postfotografia”
M. Capovilla e C. Cerchioli, Raccontare per immagini
U. Lucas, L’illusione di riempire un vuoto
S. Petrone, Dall’inviato in Iraq
F. Tonello, “Ecco, Paolo, riesci a sentire il tripudio della folla?
Num 2/2004
Ferrigolo, La notizia, l’immagine, la storia
Num. 4/2003
F. Amodeo,Un altro conto è vedere
M. Foa, Informazione o manipolazione?
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pag.213

CAPITOLO 3

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CAPITOLO 4

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