UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO

FacoltA' di Studi Umanistici

Corso di Laurea magistrale in Teoria e metodi per la comunicazione

A.A. 2011-2012

Le immagini e i media: costruzione e manipolazione della realtà


Indice

  • Sara Pagliarin
  • Le immagini e i media: costruzione e manipolazione della realtà

- INTRODUZIONE  p. 4

- LA FOTOGRAFIA: UN NUOVO MODO DI GUARDARE IL MONDO  p. 7
1. La fotografia e le sue origini   p. 7   
2. Arte e fotografia: un rapporto complicato  p.12
3. La manipolazione delle immagini nella pratica fotografica  p.19

- IL FOTOGIORNALISMO: COME LE IMMAGINI FORMANO IL MONDO  p. 29
1. Alle origini del fotogiornalismo: la formazione di un immaginario iconico comune  p. 29            
2. L’era dei fotoreporters e la nascita della moderna società dell’immagine p. 36
3. La stagione delle grandi riviste illustrate: “Life” e “Time”  p. 45
4. Il caso particolare: il fotogiornalismo in Italia  p. 52
5. Il fotogiornalismo tra descrizione ed interpretazione della realtà: una sottile linea di confine  p. 54
6. La manipolazione fotografica al servizio del potere  p. 58

- LE FORME DELLA MANIPOLAZIONE FOTOGRAFICA: DALL’INTERPRETAZIONE ALLA RISCRITTURA DELLA REALTA’  p. 79
1. I metodi della manipolazione  p. 79
2. Un caso significativo di manipolazione: la rappresentazione dei conflitti  p. 92
3. Una questione particolare: l’avvento del digitale e i suoi effetti sul mezzo fotografico  p. 99

- RIFLESSIONI TEORICHE SULL’IMMAGINE FOTOGRAFICA : LA MANIPOLAZIONE E ALTRE QUESTIONI ETICHE  p. 104
1. Un mondo di immagini  p. 104
2. Fotografia di manipolazione  p. 111
3. L’essenza dell’immagine fotografica: una definizione semiotica  p. 120
4. Il ruolo del fotografo: protagonista o gregario?  p. 132
5. L’instabilità fotografica tra etica ed estetica  p. 139

- CONCLUSIONI  p. 150

- APPENDICE  p. 155

- BIBLIOGRAFIA  p. 169

- SITOGRAFIA  p. 173

Introduzione

  • Sara Pagliarin
  • Le immagini e i media: costruzione e manipolazione della realtà

Il critico d’arte John Berger sostiene che nella percezione umana il vedere venga prima delle parole. Gli esseri umani prima esperiscono il mondo attraverso i sensi, in particolar modo attraverso la vista, e solo in un secondo momento imparano a descrivere ciò che vedono attraverso il linguaggio verbale.
   "E’ il vedere che determina il nostro posto all’interno del mondo che ci circonda" , dunque il modo in cui gli uomini si rapportano ed entrano in contatto con esso passa prima di tutto attraverso la percezione visiva.
   Ecco perché la dimensione visiva e tutto ciò che ha a che fare con essa è così importante per la vita umana, soprattutto quando si tratta di strumenti di rappresentazione del mondo.
   L’immagine infatti si connota fin dalle origini della società umana come la principale forma di descrizione della realtà, nella cultura occidentale visione e conoscenza sono strettamente collegate l’una all’altra (basti pensare alla veggente cieca Cassandra descritta dalla tradizione greca classica). Oltre a ciò l’immagine rappresenta una fondamentale modalità di espressione della propria identità perciò il disegno, la pittura, insomma l’arte considerata in generale, è ed è stata per moltissimo tempo lo strumento prototipico di conoscenza e descrizione del mondo.
  Le procedure con cui l’arte, in particolar modo pittorica, ha sempre rappresentato la realtà si presentano sia come dipendenti dalla percezione umana sia come i mezzi mediante i quali è stato possibile diffondere uno specifico modo di vedere. Essi hanno quindi contribuito allo sviluppo di un regime percettivo ben preciso.
   A partire dall’epoca rinascimentale infatti le ricerche condotte dagli studiosi di quel periodo sullo spazio hanno condotto all’affermazione della prospettiva lineare centrica come modalità rappresentativa di riferimento. Brunelleschi è stato il primo pittore ad applicare alle sue opere la rappresentazione prospettica, basata su un sistema geometrico-matematico in grado di tradurre la tridimensionalità del mondo reale nelle due dimensioni caratteristiche dell’immagine. Dopo di lui Leon Battista Alberti ha perfezionato le sue teorizzazioni e le ha riportate in un libro, Il Trattato della pittura del 1435, divenuto il punto di riferimento da cui partire imprescindibilmente per lo studio della prospettiva, anche ai giorni nostri.
   La forza della prospettiva è insita prima di tutto nel fatto che essa si presenta come il metodo migliore per riprodurre il mondo nella sua naturalezza ed in secondo luogo perché questo sistema di rappresentazione pone l’uomo al centro del mondo, il quale viene quindi osservato e conosciuto attraverso il suo punto di vista.
   La raffigurazione prospettica è talmente vicina alla percezione umana da divenire il regime percettivo dominante della cultura occidentale dal Rinascimento in avanti. Per questo, nonostante i numerosi cambiamenti che si susseguiranno in ambito artistico, la rappresentazione iconica rimarrà sempre e comunque ancorata alla definizione prospettica dello spazio.
   Essa verrà conservata anche in seno ad una nuova forma di rappresentazione della realtà, sviluppatasi a fine Ottocento, e che si porrà fin da subito in un rapporto conflittuale con l’arte tradizionale: la fotografia.
   La pratica fotografica infatti è caratterizzata da un legame contraddittorio con il mondo artistico: da una parte essa è vista come la naturale prosecuzione della tecnica pittorica proprio in virtù dell’utilizzo dei medesimi procedimenti figurativi e stereotipi visivi, mantenuti e riproposti all’interno nel mezzo fotografico, dall’altra però la nuova pratica non è ritenuta degna di esser definita arte, a causa della necessaria presenza di un dispositivo tecnico che svolge un ruolo di mediazione tra la realtà da riprodurre e la persona che si pone dietro l’obiettivo per catturarla una volta per tutte.
   L’utilizzo di tale dispositivo innanzitutto induce l’opinione pubblica a considerare la fotografia un prodotto artigianale, che nulla ha a che fare con il genio artistico, in secondo luogo sminuisce la posizione del fotografo, il quale viene visto come un semplice funzionario subordinato alle regole imposte dall’apparecchio stesso e non come colui che con la sua creatività produce le immagini fotografiche. Per finire esso favorisce lo sviluppo di un postulato relativo all’essenza della pratica fotografica, secondo cui essa svolge una funzione testimoniale nei confronti della realtà, ovvero rappresenta la prova dell’esistenza (nel presente o nel passato) di ciò che negli scatti viene mostrato, poiché essa riproduce in modo mimetico ed imparziale il mondo circostante.
   In realtà le cose non stanno proprio così: la fotografia infatti solo in apparenza descrive il mondo in maniera neutrale, esattamente come esso si presenta, ma se si scava un po’ più a fondo ci si può rendere conto che essa, in quanto segno complesso, fornisce una rappresentazione alterata della realtà tanto quanto la pittura, anche se si tratta di due forme di alterazione che non si equivalgono.
   Quindi la fotografia è manipolazione prima di tutto perché la sua rappresentazione del mondo è sempre parziale, limitata, soggettiva, in quanto espressione del punto di vista del fotografo sul mondo, in secondo luogo perché frequentemente viene attuata la pratica della manipolazione a posteriori delle immagini, ovvero il fotografo o chi per esso, prima di diffondere lo scatto che ha realizzato, decide di apporvi modifiche di vario genere per raggiungere il risultato che non era riuscito ad ottenere in precedenza.
   Questo fenomeno, che coinvolge la pratica fotografica in generale, è utilizzato in modo particolarmente frequente in ambito giornalistico, dove le fotografie vengono considerate proprio in virtù del loro presunto carattere oggettivo.
Tuttavia, con un comportamento assolutamente contraddittorio, accade spesso che laddove una fotografia non corrisponda in toto al messaggio che con essa si voleva veicolare, si interviene con delle correzioni che inevitabilmente modificano l’immagine originaria introducendo quesiti circa la liceità e l’opportunità di queste modifiche.
  Il numero di questo tipo di manipolazioni è straordinariamente elevato e accompagna la storia del fotogiornalismo fin dalle sue origini, vivendo uno sviluppo particolarmente florido durante i regimi dittatoriali, ma non disdegnando nemmeno i governi democratici, poiché le ragioni che stanno alla base di tali alterazioni sono molteplici e pur riguardando ovviamente la politica, attingono anche ad altre motivazioni.
   Dunque la pratica fotogiornalistica fa emergere, anzi racchiude in sé a causa delle proprie contraddizioni interne, problemi di carattere etico, relativi alla necessità di rappresentare la realtà così com’è senza alterazioni, oltre che di tipo estetico, poiché nonostante in quest’ambito ad essere importante sia la dimensione contenutistica, spesso e volentieri l’attenzione dei produttori e conseguentemente quella dei fruitori riguarda la forma, quindi le scelte relative alla composizione estetica dell’immagine.

Conclusioni

  • Sara Pagliarin
  • Le immagini e i media: costruzione e manipolazione della realtà

Nell’elaborazione di questa tesi riguardante il tema della manipolazione fotografica, concentrato soprattutto sulla natura e sul peso di tale manipolazione in ambito fotogiornalistico, sono state affrontate due questioni parallele: prima di tutto è stata affermata l’esistenza di un falso postulato riguardante l’essenza dell’immagine fotografica che da sempre accompagna la definizione della sua pratica.
   Fin dalla nascita di questo mezzo infatti si crede che fotografia sia sinonimo di descrizione neutrale ed obiettiva del mondo che ci circonda. In realtà la fotografia è strettamente legata all’operazione di alterazione della realtà poiché essa la modifica a due livelli: in primis è essa stessa manipolazione della realtà poiché ogni scatto non può descrivere la realtà in maniera esaustiva, può soltanto rappresentare un frammento di tale realtà e quindi un punto di vista specifico, inevitabilmente limitato, parziale sul mondo circostante.
   Questo avviene per diverse ragioni: innanzitutto per lo statuto intrinseco della macchina fotografica che è obbligata a tradurre la tridimensionalità del mondo reale su un supporto a due dimensioni, producendo quindi delle vedute quasi-percettive, risultato di uno sguardo monoculare (proprio dell’apparecchio fotografico) che obbligatoriamente non corrisponde alla percezione visiva umana che è binoculare. Bisogna poi considerare che ogni scatto viene realizzato da un individuo che si pone dietro l’obiettivo e sceglie il soggetto da ritrarre e come ritrarlo, alla luce del suo particolare punto di vista sul mondo, dei valori in cui crede e delle sue convinzioni ideologiche che quindi influenzano l’esito dello scatto. Infine non va dimenticato il fruitore dell’immagine, colui che recepisce fotografie realizzate da altri, il quale a sua volta carica l’oggetto della sua visione della sua cultura personale e della sua specifica concezione della realtà, sovrapponendo al messaggio veicolato dal fotografo, il valore semantico da lui attribuito all’immagine fotografica.
   In secondo luogo la fotografia è soggetta anche ad una manipolazione volontaria, realizzata a posteriori, anche e soprattutto in ambiti come quello giornalistico dove la funzione testimoniale della fotografia è parte integrante del suo uso e della sua funzione.
   Dunque il risultato della prima riflessione consiste nell’aver smentito il postulato secondo cui la fotografia svolge una funzione di testimonianza mimetica ed imparziale del mondo reale, poiché anch’essa, come altre forme di rappresentazione della realtà, esprime un particolare sguardo sull’ambiente circostante, che non può in alcun modo pretendere di essere esaustivo.
   La seconda questione affrontata riguarda in modo specifico la manipolazione a posteriori. La sua importanza, soprattutto nell’ambito della fotografia giornalistica, riguarda proprio il fatto che l’essenza attribuita alla fotografia si basa sul falso postulato secondo cui la fotografia è obiettiva, perché ogni immagine fotografica è portatrice di informazioni generalmente nuove, sconosciute riguardo al mondo e dato che nella società post-industriale odierna l’informazione rappresenta uno dei principali strumenti utilizzati per raggiungere e mantenere il potere socio-politico, quelle che vengono veicolate dalle fotografie, soprattutto a livello mediatico, risultano particolarmente importanti sostanzialmente perché si tratta di immagini che riguardano avvenimenti e/o personaggi rilevanti per la vita della collettività e che quindi direttamente o indirettamente interessano ed influenzano l’esistenza delle persone.
   Per questa ragione se ciò che viene mostrato da queste immagini si presenta come disdicevole o risulta compromettente per qualcuno che ricopra un ruolo di rilievo nella società di riferimento, non è inusuale che venga sottoposto a delle modifiche.
   Tuttavia non è detto che sia solo a causa della reputazione di qualche soggetto che vengono predisposte delle alterazioni, è molto frequente infatti la correzione a posteriori delle immagini da parte degli stessi fotografi che quelle immagini hanno prodotto, perché l’obiettivo che si erano proposti di ottenere non è stato raggiunto.
   Benché in casi come questi non sembri esserci la volontà di manipolare la verità tramite una riproduzione faziosa delle cose, questo è comunque il risultato che si ottiene e che comporta la trasmissione di una rappresentazione alterata della realtà.
   Quindi, sulla base delle riflessioni effettuate, è possibile affermare che la manipolazione sia da intendersi come un elemento costitutivo della pratica fotografica, che non può mai essere totalmente eliminato dalla stessa. Per tale ragione la fotografia si presenta come una pratica artistica che obbligatoriamente altera, modifica il mondo seppure non sempre allo stesso livello ed in maniera diversa a seconda della situazione.
   Tuttavia non bisogna credere che la fotografia menta sempre e comunque, essa si limita a dare, come ogni altro linguaggio, una propria interpretazione del mondo e, proprio in quanto interpretazione, non presenta le cose esattamente così come sono nella realtà. Perciò, sostiene il giornalista Michele Smargiassi, dalla fotografia non si può pretendere di ottenere verità assoluta, essa è piuttosto portatrice di frammenti di verità, poiché attraverso i suoi contenuti è possibile ottenere informazioni su determinati aspetti, particolari del mondo circostante.
   Dunque, nonostante tutto continuiamo ad avere bisogno della fotografia per comprendere la realtà in cui siamo immersi. Per questo la manipolazione, soprattutto delle immagini giornalistiche, è un fenomeno che non può e non deve essere negato, esso deve invece essere affrontato direttamente, denunciandone l’esistenza al pubblico in modo tale che esso si renda conto che ciò che i mass media mostrano non corrisponde praticamente mai alla realtà dei fatti.
   Le considerazioni che sono emerse a partire dalle due questioni affrontate all’interno di questa tesi consentono di giungere a tre diversi livelli di conclusioni.
   Una prima conclusione riguarda la dimensione pratica, ovvero che cosa si può fare concretamente per affrontare il problema della manipolazione fotografica in ambito giornalistico.
   Visto che si tratta di un fenomeno che è possibile controllare solo fino ad un certo punto, la soluzione potrebbe essere quella di disporre la regolamentazione necessaria per proteggere il più possibile l’immagine fotografica da eventuali modifiche di qualunque tipo esse siano, partendo anche dalla formazione dei fotogiornalisti.
   Soprattutto però bisogna educare il pubblico, abituarlo all’idea che la fotografia non è una rappresentazione neutrale della realtà e metterlo nelle condizioni di sapere se un’immagine sia stata alterata e perché oppure no, in modo che il medium che diffonde le immagini garantisca una condotta all’insegna della trasparenza e dell’onestà, nonché un comportamento eticamente corretto e quindi un prodotto comunicazionale di qualità ai propri fruitori.
   Adottando questo comportamento tutti avranno la consapevolezza che la visione che una determinata collettività ha del mondo, essendo costruita sulla base degli elementi informativi forniti dai media, deforma inevitabilmente il mondo che ci circonda e si avrà in questo modo la possibilità di agire di conseguenza . (213)
   La seconda conclusione riguarda il concetto di realismo da utilizzare in ambito fotografico. A tal proposito W. J. T. Mitchell in un saggio intitolato Realismo e immagine digitale sostiene che il realismo a cui fa riferimento l’immagine fotografica è quello descritto in filosofia, secondo il quale "entità astratte e ideali sono “entità reali” nel mondo reale- più reali, invero, del nostro confuso repertorio di impressioni e opinioni comuni. Verità, Giustizia, Essere e “il Reale” stesso sono, per il realismo filosofico, le fondamenta del mondo reale" (214) .
   In pratica si considera l’universale dotato di una esistenza autonoma, indipendente rispetto alla realtà concreta, allo stesso tempo però esso è collegato ad essa da una corrispondenza con gli oggetti del mondo reale. Platone esprime una concezione simile, affermando l’esistenza dell’Iperuranio, uno spazio superiore a quello umano, in cui si trovano tutte le idee le quali esistono indipendentemente dalla realtà terrena ma che con essa hanno uno stretto legame in quanto esse rappresentano modelli universali o paradigmi a cui la mente umana guarda per dare vita ad oggetti concreti.
   Il realismo a cui si fa riferimento quando si parla di fotografia è proprio questo, o meglio questo è l’unico tipo di realismo che può adattarsi alla pratica fotografica e alla sua natura ambigua: i concetti astratti che costituiscono la base teorica del mondo reale possono e vengono realizzati concretamente attraverso la macchina fotografica, cosicché i suoi prodotti si presentano come la materializzazione delle idee platoniche che costituiscono la base su cui il mondo è organizzato.
   Le fotografie in pratica realizzano idee e concetti astratti attribuendo loro una connotazione concreta, materiale, perciò di fatto la loro funzione consiste nel tradurre l’astratto nel concreto.
   Dunque, quando si parla di realismo fotografico lo si deve intendere in questi termini, perché il realismo descritto da questa prospettiva si adatta perfettamente all’attività fotografica. Non va considerato il realismo inteso come adesione perfetta dell’immagine fotografica al referente reale perché, come è emerso da quest’esposizione, tale adesione perfetta non esiste.
   Infine c’è una terza ed ultima conclusione a cui si giunge che riguarda una questione più ampia: la libertà dell’individuo.
   Infatti l’analisi dell’attività fotografica fa emergere il problema più generale relativo alla libertà di cui l’uomo gode nella società contemporanea. Viviamo infatti in un contesto socio-culturale ormai dominato da macchine e strumenti tecnologici che di fatto sostituiscono gli uomini nello svolgimento di mansioni e compiti di vario genere, la questione che quindi si pone riguarda il grado di indipendenza di cui gli esseri umani oggi possono disporre, poiché se la maggior parte dei lavori utili a livello sociale è svolta da apparecchi meccanici si è portati a ritenere che si sia sviluppata una forma di subordinazione dell’uomo alla macchina, al contrario del passato.
   Ebbene questo problema è visibile anche rispetto alla pratica fotografica poiché l’esistenza di programmi prestabiliti insiti nell’apparecchio fotografico che ne guidano l’utilizzo ovviamente può essere visto come un limite alla libertà d’azione dell’uomo inteso prima di tutto come produttore di immagini ma anche come fruitore, perché l’esistenza di una serie di limiti imposti dalla macchina porta a considerare gli scatti realizzati frutto di un automatismo predeterminato e impersonale invece che il prodotto della creatività e dell’intelligenza del fotografo.
   Per questa ragione Flusser ritiene necessaria una filosofia della fotografia, poiché attraverso l’analisi del procedimento con cui vengono realizzate le immagini fotografiche è possibile giungere a capire se l’individuo, nell’attuale società post-industriale, agisca liberamente oppure se le sue azioni siano sempre e comunque influenzate dai dispositivi che lo sostituiscono nello svolgimento delle attività che storicamente erano svolte da lui.
   Dunque la fotografia, come fa in generale ogni forma d’arte, contribuisce ad alimentare il dibattito relativo al problema della libertà umana, divenendo metafora di una delle questioni filosofiche più controverse che mai siano state affrontate e cercando attraverso la propria esperienza di giungere ad una risposta univoca e soddisfacente.

________________________
  213  Caterina Falomo, Fotogiornalismo e manipolazione digitale (http://www.lacritica.net/falomo2.htm), 27 gennaio 2013
  214  W. J. T. Mitchell, “Realismo e immagine digitale”, trad. it. di Federica Mazzara, in Cultura visuale paradigmi a confronto materiali a cura di Roberta Coglitore, Duepunti edizioni, Palermo 2008, pp. 81-99, qui p. 98

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  • Sara Pagliarin
  • Le immagini e i media: costruzione e manipolazione della realtà

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