Convegno "Oltre il dolore degli altri: altre strade del fotogiornalismo"

  • nota: Comunicato stampa del convegno

Nelle righe che seguono troverete:

  • un abstract
  • gli atti (composti dalle registrazioni audio integrali)
  • una sintesi

 

del convegno in oggetto. Condividiamo questi materiali sperando che possano essere utili [ndr]

 

ABSTRACT

Convegno "OLTRE IL DOLORE DEGLI ALTRI: altre strade del fotogiornalismo", tenutosi presso il Nuovo Spazio Guicciardini, via Melloni 3, Milano, sabato 27 maggio 2006 – dalle ore 9.15 alle ore 14.00, organizzato da Fotografia & Informazione, Grin e Provincia di Milano.

 

Il convegno, aperto a tutti e a ingresso libero, era rivolto a giornalisti, fotogiornalisti, photo editor, art director, studenti e docenti delle scuole di giornalismo e dei corsi di Scienze della Comunicazione e di fotografia. Ha affrontato il tema del rapporto tra fotografia, mass media e solidarietà internazionale.

 

Hanno partecipato: Marco Vacca, fotogiornalista e presidente di Fotografia & Informazione. Andrea Di Stefano, direttore di Valori. Alessandro Boscaro, Centro Documentazione Solidea. Marco Deriu, sociologo. Filippo Pittarello (al posto di Roberto Vignola) dipartimento comunicazione di CBM Italia. Francesco Zizola, fotogiornalista. Renata Ferri, photo editor di Io Donna e membro del Grin. Carmine Curci, direttore di Nigrizia.

 

Al termine del convegno è stato proclamato il vincitore della terza edizione del premio Amilcare G. Ponchielli (Massimo Siragusa con "Tempo libero")

 

Durante l'intervento di Filippo Pittarello sono state proiettate alcune immagini del progetto di Stefano De Luigi sulla cecità per la campagna mondiale CBM (che prenderà successivamente il titolo di "Blanco").

 

ATTI

Di seguito le registrazioni audio integrali:

 

01 - Marco Vacca - introduzione ai lavori - 9:25"
02 - Andrea Di Stefano - intro - 0:40"
03 - Alessandro Boscaro - intervento - 24:42"
04 - Andrea Di Stefano - intermezzo1 - 0:43"
05 - Filippo Pittarello - 21:30"
06 - Carmine Curci - 10:56"
07 - Francesco Zizola - 22:02"
08 - Renata Ferri - intervento - 19:07"
09 - Andrea Di Stefano - 9:31"
10 - Marco Vacca - 10:03"
11 - Marco Deriu - 31:17"
12 - Alessandro Boscaro - replica - 5:23"
13 - Renata Ferri - replica - 4:38"
14 - Francesco Zizola - 5:41"
15 - Marco Vacca - replica 3:03"
16 - Francesco Zizola - 1:01"
17 - Laura Incardona - 1:01"
18 - Silvia Morara - 0:30"
19 - Fabiano Avancini - 0:53"
20 - Andrea Di Stefano - 1:53"
21 - Francesco Zizola - 0:48"
22 - Renata Ferri - replica - 3:13"
23 - Francesco Zizola (dibattito con Renata Ferri) - 2:39"
24 - Carmine Curci - 0:38"
25 - Andrea Di Stefano - 0:37"
26 - Marco Vacca - replica 2:33"

 

SINTESI

tratta dagli audio originali


Il convegno "OLTRE IL DOLORE DEGLI ALTRI: altre strade del fotogiornalismo", organizzato da Fotografia e Informazione, dal Grin e dalla Provincia di Milano si è tenuto, in concomitanza con la mostra "STORIE DEL MONDO, tre viaggi fotografici", in cartellone allo spazio Oberdan tra maggio e giugno del 2006.
La giornata di studi, ospitata presso la sala Guicciardini, a Milano, sabato 27 maggio 2006, ha visto la partecipazione di un nutrito gruppo di operatori specializzati e addetti ai lavori.

 

Il prologo ai lavori è di Marco Vacca, fotogiornalista, allora presidente di Fotografia e Informazione. Introduce il tema del rapporto tra Organizzazioni Non Governative (Ong) e il lavoro dei fotoreporter "E' ormai l'unico modo per raccogliere e raccontare storie dal sud del mondo. L'editoria non se ne occupa più, non investe nelle storie "lontane". Purtroppo però non sempre le competenze specifiche, dei fotografi e dei giornalisti, sono rispettate. A volte, da parte delle Ong, c'è la tendenza ad affidare la comunicazione a seconda dell'occasione, al primo cooperante che passa".

 

Andrea Di Stefano, direttore della rivista Valori, incaricato di coordinare la giornata, saluta i presenti e passa la parola ai relatori.

 

Alessandro Boscaro porta le riflessioni maturate lavorando per il Centro Documentazione Solidea (fondato dalle Ong: Cosv, Icei e Intersos). Cita l'esempio di un osservatorio sull'operazione militare Onu Restore Hope (Somalia, 1992-93) e di una rassegna di articoli sulla prima guerra del Golfo (Irak, 1990-91). Porta una riflessione: "l'informazione è il nostro specchio, né meglio né peggio di ciò che siamo". Come scrive Ludwig Wittgenstein nel suo Trattato logico-filosofico, la realtà non è la somma delle cose ma la somma dei fatti. Riferisce di un'intervista del 1994 di Irene Bignardi a George Steiner nella quale viene mostrata negli studi della BBC una enorme stanza piena di scatole che contengono ciò che verrà messo in onda nei 3 anni successivi. Esemplifica, con l'immagine di indumenti su cui sono riprodotte pagine di giornali, l'obsolescenza della notizia: si degrada immediatamente e continuamente, rimanendo al più utile solo come contenitore. Non sappiamo più produrre epica: l'Iliade racconta fatti che durano non più di 15 giorni. Sam Peckinpah in "Pat Garrett & Billy The Kid" c'è un giornalista che costruisce un'epica, ovvero una realtà condivisa, con riferimenti comuni in cui ci riconosciamo.
Infine cita alcuni casi di stupro avvenuti durante Restore Hope, sui quali sono uscite tantissime notizie, a caldo, su tutti i media. Ma nessuno ha poi seguito successivamente le vicende nel loro iter giudiziario. Siamo consumatori d'informazione, difficilmente approfondiamo.

 

Prima di cedere la parola a Filippo Pittarello, Di Stefano afferma: "i giornali italiani sono pieni di buchi, sono pieni di notizie ma ne ignorano molte altre".

 

Filippo Pittarello, del dipartimento comunicazione di Christian Blind Mission Italia (CBM), in luogo del previsto intervento di Roberto Vignola, spiega strategie e flussi comunicativi, in equilibrio tra advertising, found raising e informazione, della Ong per la quale lavora. Durante il proprio intervento Pittarello fa riferimento più volte ad un progetto fotografico per il quale è stato incaricato il reporter Stefano De Luigi. Al termine mostra una parziale selezione delle fotografie che andranno a far parte della campagna mondiale CBM (questo progetto è poi divenuto noto con il titolo di "Blanco" e ha vinto numerosi premi NdR).

 

Carmine Curci, direttore di Nigrizia, con passione descrive strategia e obiettivi di una rivista specializzata nel dar voce alla realtà dei paesi africani.

 

Francesco Zizola, fotogiornalista, inizia il suo intervento raccogliendo da chi lo ha preceduto alcune domande lasciate aperte o inespresse. Si riferisce in particolar modo alla confusione dei ruoli tra informazione editoriale e comunicazione delle Ong: impropria (patologica) relazione tra ruoli molto diversi. Problemi di budget (ovvero di risorse dirottate verso altre forme di comunicazione). Parla di fotografia (ma si può estendere il concetto fino all'intero giornalismo d'inchiesta).
A suo parere la comunicazione delle Ong è "scaltra": la carenza della copertura da parte dell'editoria diventa una buona occasione per utilizzo degli spazi (non a pagamento) lasciati vuoti. Altrimenti l'informazione sulle Ong è considerata al pari della pubblicità.
I rischi sono alti: una nuova forma di embedded photographer. Le conseguenze sono poche, sul fronte editoriale, ma il fotografo deve chiedersi: sono fotogiornalista o fotografo per le Ong. Zizola si chiede: "Qual'è il motivo vero del raccontare con le fotografie? Esiste la realtà? Noi fotografi come vogliamo raccontarla? A volte sembra che la realtà non esista in quanto tale, ma esiste solo la realtà come la raccontiamo. Direttori, photoeditor, qual'è il progetto della narrazione a cui lavorate?"
Poi cita un recente intervento dello scrittore Günter Grass su La Repubblica (un articolo su un convegno in Germania "Scrivere in un mondo senza pace"): "Noi scrittori, che contiamo i morti, possiamo dimenticare la realtà?"
La compianta Susan Sontag confessava: "parlare di una realtà diventata spettacolo è di un provincialismo che lascia senza fiato". Ma in fondo è la realtà dei giornali, dove non c'è vera sofferenza. Vista la parte di mondo lasciata nel silenzio mediatico, i fotografi che hanno intenzione di raccontare la realtà possono trovare una buona sponda nelle Ong.

 

Renata Ferri, photoeditor del magazine D (La Repubblica), inizia il suo intervento citando casi importanti di fotogiornalisti che hanno lavorato per le agenzie umanitarie e le Ong: Unicef e lo stesso Zizola; Medici Senza Frontiere e Sebastiao Salgado; in Italia i progetti fotografici delle Ong sono nati molto tardi. Tutto comincia con la guerra nei Balcani, molte Ong coinvolte con molti fotografi (cita la sua esperienza, all'epoca come producer di Contrasto). C'è l'esigenza dei fotografi di fare autopromozione e delle Ong di fare raccolta fondi. Ma la fotografia è un linguaggio, se è casuale è un boomerang; purtroppo ciò prodotto un sacco di lavori di basso livello. Ferri riferisce: "Me ne accorgo ora che arrivano alla redazione di D. Ho coordinato un progetto difficile (con Contrasto) di mappatura sul lavoro clandestino, irregolare e immigrato, in sud Italia. Era straordinario ma ha trovato difficilissimo sbocco, perché nessuno sapeva cosa accompagnare (nel senso dei testi) alle immagini. Invece va per la maggiore la produzione di un'iconografia vecchia, che non racconta più. La fotografia è cresciuta. L'esempio di CBM è molto buono, perché c'è consapevolezza: sono necessari percorsi di adeguamento a un linguaggio così evoluto".
Presto su D verrà pubblicato un lavoro di Paolo Pellegrin sull'epidemia di colera in Angola. L'Italia (e le sue Ong) non sono glamour. Chi vuole pubblicare un lavoro sull'anoressia va a cercarlo in America. Con la comunità di Capodarco abbiamo fatto un lavoro sul disagio, ma difficilissimo da veicolare. La serialità spaventa i giornali, che dicono: "non possiamo parlare sempre delle stesse cose".
Ferri conclude con un appello per alzare la qualità della comunicazione fotografica da parte delle Ong. Altrimenti nella marea di autoproduzioni i testimonial (per le Ong) prendono il sopravvento.

 

Andrea Di Stefano, direttore della rivista Valori (edita dalla Fondazione Banca Etica), a conclusione della prima parte degli interventi prende la parola per raccontare il senso del progetto editoriale di cui si occupa. Insieme all'art director Francesco Camagni, si è deciso di tentare di uscire dal racconto della società-spettacolo. In Italia manca l'approfondimento. Domanda Di Stefano: "Chi manda un giornalista ad approfondire? Nessuno! Quanto approfondimento è richiesto al fotogiornalista? Non c'è il rischio che si fermi all'impatto emotivo?"
Molto pericolosa la confusione dei ruolo del fotografo: indagare o celebrare? E' difficile anche per le Ong destreggiarsi. E' frequente il rischio di imboccare la strada più facile ovvero scegliere la spettacolarizzazione. Senza cattiva intenzione, si porta fuori dal seminato il fotogiornalista quando gli si chiede di raccontare una realtà, in modo funzionale alla Ong. E' spesso il fotografo che cerca la notizia, non il giornalista. Quando è il giornalista la cosa potrebbe diventare ancora più pericolosa.
In Italia siamo all'apoteosi del conflitto d'interessi: nessuno degli editori ha davvero interessi solo per l'informazione, ma tutti gli altri obiettivi la condizionano pesantemente. Infine Di Stefano conclude con un appello: perché non costituire un 5x1000 per la buona informazione, per sostenere la buona informazione?

 

Viene mostrata un'intervista registrata al sociologo Marco Deriu. Egli interviene, tra i vari aspetti, sulla rappresentazione dell'alterità presente nei giornali e nelle campagne umanitarie. Le fotografie, spiega, mostrano intere zone del pianeta come perse, distrutte, senza elementi ambientali o sociali positivi. Nel complesso è restituita una rappresentazione di queste alterità primitivizzata: le persone ritratte sono spogliate innanzitutto di un senso di identità. Sono, inoltre, infantilizzate: non è un caso che siano spesso accompagnate da operatori umanitari e si trovino in una posizione subordinata. Più in generale sono rappresentate attraverso la maschera della “vittima”, quindi di un individuo che non ha nessun ruolo attivo, che non porta nessuna risorsa personale. “Assistiamo dunque – afferma Deriu – a una cancellazione dell'alterità, a un degrado molto forte della sua immagine”. Quali possibilità stiamo riconoscendo a queste popolazioni – si chiede il sociologo – se proprio il mondo di persone che si dice più impegnato, che si mette in qualche modo più in gioco in scambi e relazioni con queste popolazioni è anche il più attivo a costruire e propagare un immaginario che in realtà degrada l'immagine delle nostre alterità o addirittura cancella l'immagine di una soggettività delle nostre alterità?"

 

Marco Vacca riprende la parola per sottolineare di fotografi mandati allo sbaraglio, dalle Ong. Ma nella stampa non è molto diverso: cita una corrispondenza (per La Repubblica, Ndr) dall'Iraq scritta da Amman, in Giordania. "Ho potuto fare un lavoro sul Darfur solo mettendo insieme 4-5 Ong. Perché non si pone assolutamente il problema di andare in una redazione a proporre una storia". Segue una proiezione di foto dal servizio sul Darfur (prodotto da Intersos, Cosv, Cesvi e Coopi, finanziato dall'Assessorato alla Cultura della Provincia di Roma, mostra e libro). L'editoria non ha avuto interesse per questo lavoro. Le risposte erano "Ne abbiamo già parlato un anno fa".

 

Poi riprende il confronto. Si alternano in maniera più serrata brevi risposte e interventi. Renata Ferri spiega: "Il rischio che corriamo noi che facciamo i giornali è fare illustrazione, non informazione. Girano servizi di moda realizzati nelle bidonville. Però molto materiale dei lavori delle Ong è stato premiato nei concorsi internazionali. Il futuro (già in parte presente) è il lavoro di fotografi locali che passa per network internazionali."

 

Francesco Zizola si domanda: "Perché non parliamo più dei media come responsabili dell'informazione? Io credo che sia perché sono sempre più condizionati dalle pagine pubblicitarie. E' pericoloso che i fotografi producano immagini che saranno usate per diversi obiettivi. Ancora dall'articolo di Günter Grass: 'Anche la fame è guerra. Il vecchio sistema di sottomettere attraverso il bisogno funziona ancora oggi' con la fotografia e la conoscenza del mondo".

 

Incalza Marco Vacca: "Fare giornali così è più semplice. Chi tiene in vita i giornali è il marketing. Sono ricchi, ma non sono più autonomi. Ma davvero questi temi allontanano i lettori? Una volta i giornali aiutavano l'Italia a capire se stessa…"

 

Francesco Zizola suggerisce per approfondire un testo di David Riff: "Un giaciglio per la notte. Il paradosso umanitario" che contiene un inchiesta durata 10 anni.

 

Seguono domande dal pubblico: perché i giornali di news muoiono di fame? E Di Stefano, Zizola e Ferri rispondono: perchè siamo bombardati da messaggi non informativi. E comunque ci sono anche giornali che fanno informazione e vivono dignitosamente (vedi Internazionale). Però bisogna confrontarsi con il mercato, che è fatto non solo di militanza ma di giornali che vivono di pubblicità. Siamo cresciuti (fotografi, photoeditor, direttori…) non c'è troppo da piangere. A proposito di Darfur e di Africa: si pubblica perché c'è un'emergenza. L'ambizione è pubblicare. Non sempre si produce, ogni tanto si compra, ci sono compromessi.

 

Francesco Zizola ribatte, in particolar modo a Renata Ferri, che il problema resta che le produzioni le fanno le Ong. I giornali italiani hanno abdicato alla loro funzione informativa.

 

Curci introduce il tema dei finanziamenti statali: quanti soldi ricevono i quotidiani dallo stato? Il Guardian o Le Monde non hanno questi fondi...

 

Marco Vacca aggiunge: per i giornali italiani le nuove tecnologie non sono una risorsa. Negli Usa le risorse derivanti dalle versioni internet (il caso del New York Times) vengono usati per integrare quelle a disposizione delle newsroom.

 

In chiusura del convegno Kitty Bolognesi (Gruppo Redattori Iconografici Redazionali, Grin) annuncia la terza edizione del Premio Amilcare Ponchielli: hanno concorso 75 lavori. 15 sono i finalisti: Monteleone, Dapuetto, Sabatino, Monzoni, Croppi, Brogioni, Scibetta, Mastrorillo, Arcari, Siragusa, Cocco, Ceraudo, Balbontin, Mancuso, Pellecchia. Il progetto vincitore è "l'Italia del divertimento" di Massimo Siragusa.