Eccesso di Photoshop?

  • didascalia: Haiti
  • fonte: www.pressefotografforbundet.dk
  • nota: Elaborazione a partire da una delle immagini di Klavs Bo Christensen. A sinistra il file Raw con le impostazioni di default, a destra lo stesso file con le impostazioni decise dal fotografo.

Dalla Danimarca si estende a tutto il mondo la polemica seguita alle accuse ad un fotoreporter per "eccesso di Photoshop".

Dalle NOTIZIE PER GLI ASSOCIATI 25/2009 del Gruppo di specializzazione dei giornalisti dell'informazione visiva - Associazione lombarda dei giornalisti e dal sito LSDI riportiamo questa notizia, scritta da Amedeo Vergani, presidente Gsgiv.

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Il reportage di un fotografo danese è stato escluso dal premio nazionale "Picture of the Year" della prestigiosa 'Unione danese dei fotogiornalisti" perché la giuria ha ritenuto esagerati i ritocchi alle caratteristiche cromatiche e al contrasto di almeno tre degli scatti presentati - Per nulla d'accordo moltissimi fotogiornalisti - Le ragioni di chi contesta

E' uno "sgarro" all'etica professionale rafforzare al massimo colori e contrasto delle immagini digitali di un fotoreportage? Sulle possibili risposte ne stanno discutendo da qualche giorno i fotogiornalisti danesi dopo che un reportage su Haiti del fotoreporter locale Klavs Bo Christensen è stato escluso per "eccesso di Photoshop" dal premio nazionale "Picture of the Year" organizzato da 35 anni in Danimarca da Presse Fotograf Forbundet, la prestigiosa 'Unione danese dei fotogiornalisti" (800 membri) che, fondata nel 1912, ha pure il primato di essere la più antica aggregazione di fotogiornalisti dell'intero pianeta.

La decisione di non ammettere le foto di Christensen è stata presa dai componenti della giuria dopo aver visionato, grazie ad una clausola del regolamento del premio, gli originali realizzati in formato Raw delle otto immagini del reportage presentato dal fotoreporter. Per i giurati - vedi il sito dell'associazione - Klavs Bo Christensen è andato con mano troppo pesante nel correggere con Photoshop le caratteristiche cromatiche e il contrasto di almeno tre degli scatti originali.

Il fotoreporter da parte sua, pur ammettendo di essere "andato a tutto gas" con gli strumenti offerti dal famosissimo programma di ritocco di Adobe, non è però per nulla d'accordo sul fatto che i suoi interventi abbiano stravolto il valore rigorosamente fotogiornalistico del suo racconto. Dalla sua parte anche moltissimi colleghi che basano la loro assoluzione fondamentalmente sul fatto che comunque Klavs Bo Christensen non ha manipolato la realtà: le scene ritratte, contrasti e rafforzamento dei colori a parte, sono infatti rimaste esattamente quelle riprese in origine. Nessuna manipolazione ai contenuti informativi.

Se avesse "tradotto" il suo reportage su Haiti dal colore al bianco e nero - sostengono in molti - certamente nessuno avrebbe avuto nulla da ridire, proprio come nessuno ha mai avuto nulla da contestare persino su molte delle foto più famose della storia del fotogiornalismo che , se sono diventate tali, lo devono spesso in parte anche alla capacità di abilissimi stampatori che le hanno valorizzate tecnicamente al massimo. Photoshop infatti - affermano - ha solo reso meno difficile e, soprattutto molto più rapido ed economico, quello che è sempre avvenuto nelle camere oscure tra ingranditori, carte sensibili e acidi.

Resta però aperto, ovviamente, il problema se "il rispetto della verità sostanziale dei fatti" - principio etico, per esempio, imposto ai giornalisti italiani direttamente dalla legge sull'ordinamento professionale - può essere messo a rischio da un eventuale uso eccessivo di Photoshop nello schiarire o scurire, nel contrastare, nell'"imbottire" sovraesposizioni e colori e in tutte le altre fasi di trattamento delle immagini che non intaccano il rispetto sostanziale degli elementi informativi presenti nella scena ritratta.

Su questo le scuole di pensiero che hanno determinato i variegati codici di comportamento che regolano la materia nel mondo del giornalismo occidentale lasciano più o meno tutte larghi margini all'interpretazione del principio che i fotoreporter - come indica per esempio l'agenzia americana Black Star - non devono alterare le loro foto "oltre il limite dettato dal miglioramento tecnico della qualità dell'immagine". Qual è però esattamente la linea di confine di questo limite da non superare nel miglioramento tecnico resta un fatto piuttosto vago e soggettivo. Così includendo anche qualche caso come quello dell'agenzia internazionale Associated Press che nel regolamento interno di comportamento per i suoi dipendenti, dopo aver specificato l'accettabilità dei miglioramenti tecnici generici di "stampa" già ammessi prima dell'avvento del digitale, stabilisce molto blandamente che nel ritocco "l'aggiustamento dei colori dovrebbe essere effettuato al minimo".

Il tema del dibattito danese ora si sta allargando anche in altri Paesi e in ambienti non sempre direttamente legati al giornalismo. In Italia, per esempio, ne stanno discutendo anche nel sito www.canoniani.it
Per chi volesse approfondire per farsi una propria opinione, l'Unione danese dei fotogiornalisti ha pubblicato anche gli accostamenti tra le otto immagini originali del reportage e quelle presentate da Christensen alla giuria del "Picture of the Year".

Amedeo Vergani, presidente Gsgiv dell'Alg

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Aggiungiamo, noi di fotoinfo, che questa non è certo la prima volta che un fotogiornalista viene sanzionato perché i suoi interventi con i software di fotoritocco vengono giudicati eccessivi rispetto a quanto è considerato eticamente accettabile. Addirittura con il licenziamento era stato punito tre anni fa il fotografo Patrick Schneider, dello staff del Charlotte Observer, quotidiano statunitense del North Carolina, per aver saturato e scurito in maniera considerata eccessiva il cielo e il sole in una immagine apparsa in prima pagina. Poiché analoga infrazione era stata commessa dal fotografo qualche anno prima, nel 2003, e in quell'occasione il ritocco era costato al fotografo un richiamo ufficiale, questa seconda volta il giornale aveva invece deciso, data la recidività, di licenziare il fotogiornalista.
Per avere un'idea di quali manipolazioni digitali siano considerate accettabili nel mondo giornalistico nordamericano, si può leggere in proposito l'articolo di Kenneth Irby , docente della fondazione Poynter , esperto di etica e deontologia del fotogiornalismo.

In Italia il dibattito su questo tema non è mai molto decollato. Ci riproponiamo di stimolarlo su questo sito, aprendolo anche ai vostri contributi.